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Di seguito tutti gli interventi pubblicati sul sito, in ordine cronologico.
 
 
Commemorazione dell’on. Federico Brini - Provincia di Roma, Palazzo Valentini Sala della Pace - Lunedì 20 aprile 2009, ore 17.00 - La Sua personale e ben nota sensibilità, umana e politica, Assessore Serena Visintin, e la generosa disponibilità dei collaboratori dell'Assessorato, in particolare della dott.ssa Maiocco, consentono, oggi, in questa pubblica assemblea, alla presenza dei familiari, di rendere omaggio, in maniera non formale, ma interiormente avvertita, e commossa, alla memoria di Federico Brini, una personalità di rilievo della politica e dell'economia nazionale, che ha recato un prezioso contributo "di pensiero e di azione" in tutti gli incarichi ricoperti e, in particolare, nella responsabilità, quasi decennale, di membro del Comitato di Solidarietà per il sostegno alle vittime del racket e dell'usura. Rendo questo omaggio, con un approccio lieve, pudico ed insieme orgoglioso, come si conviene a chi deve tratteggiare il profilo di un abruzzese eccellente, memore delle parole di un altro abruzzese purosangue: Raffaele Mattioli, presidente della Banca Commerciale Italiana, uomo di straordinaria cultura, non solo economico-finanziaria, irripetibile mecenate, idealmente affine ai miei Maestri culturali e politici: Benedetto Croce, Ugo La Malfa e Francesco Compagna. Diceva Mattioli: "Si nasce dove si nasce. Se chiedi ad un abruzzese non inurbato - tu di dove sei? - ti sentirai rispondere - di lu paese me' - conosco troppo bene la gente della mia terra e so quanto sia ritrosa di fronte alle manifestazioni ufficiali ". **** Non si può cogliere il carattere abruzzese: - senza conoscere la bellezza singolare di questa terra: aspra, avvolta di neve, di ghiaccio e di vento, e, tuttavia, maestosa; - senza capire Celestino V e la filosofia di Pietro da Morrone: umiltà e rassegnazione, ma non sottomissione, coraggio delle proprie azioni, sprezzo dell'opportunismo e del vantaggio personale; - senza ricordare l'opera del Cardinale Mazzarino, che, in tre anni, ristrutturò tutto il sistema burocratico della Francia reale. Le radici dell'educazione abruzzese, riassunte da Ignazio Silone, affondano nella transumanza che, per 2000 anni, ha segnato la storia sociale dell'Abruzzo: - allontanarsi dalla propria terra; - essere accettati in “terre straniere”; - contare soltanto sull'assoluta onestà e su una specchiata moralità; - reagire ai tormenti del clima, delle alluvioni e dei terremoti; - resistere al dolore, alla delusione e alle disgrazie. Quelle stesse radici riassunte in una celebre espressione di Benedetto Croce: "Quando c'è bisogno non solo di intelligenza agile e di spirito versatile, ma di volontà ferma, di persistenza e di resistenza, io mi sono detto a voce alta: tu sei abruzzese! ". Queste radici abruzzesi, tutte compresenti nella formazione di Federico Brini, non ne esauriscono la complessa e ricca personalità, né spiegano il Suo "cursus honorum", né la Sua etica della responsabilità o il palpitante spirito solidale verso i più deboli. Bisogna ricorrere all'altra chiave di lettura, costituita della Sua rigorosa militanza politica nel Partito Comunista Italiano, che lo trasformò, negli anni, da militante a maestro di formazione politica e guida di nuove generazioni militanti abruzzesi. Federico Brini, nel farsi maestro di giovani aquilani, punto di riferimento costante per l'interpretazione dei processi sociali e per conoscere il mondo dell'impresa, sempre a fianco degli operai e dei lavoratori, applicava due lezioni di Antonio Gramsci: - la prima, sui giovani, espressa ne "La città futura": - “L'avvenire è dei giovani. La storia è dei giovani. Ma di quei giovani che, pensosi del compito che la vita impone a ciascuno, si preoccupano di armarsi adeguatamente per risolvere nel modo che più si confà alle loro ultime convinzioni, si preoccupano di crearsi quell'ambiente in cui la loro energia, la loro intelligenza, la loro attività trovino il massimo svolgimento, la più perfetta e fruttuosa affermazione ". - la seconda lezione gramsciana, sull'intellettuale organico, chiamato a "sentire" il popolo -nazione: - “Non si può sapere senza comprendere e specialmente senza sentire. Non si può essere intellettuale e vivere staccato dal popolo-nazione, cioè senza sentire le passioni elementari del popolo. Non si può far politica senza questa passione ". Come sottolineava Rocco Scotellaro: "O si canta la stessa canzone della classe, di cui si chiede la redenzione, oppure rimarremo, pur savie, ma pecore del padrone ". Queste matrici costituiscono l’arco ideale, le coordinate entro le quali si svolge l'intenso percorso umano di Federico Brini: nel partito; nelle Istituzioni rappresentative, locali e nazionali; nel mondo dell'economia e dell'impresa e, infine, nel servizio pubblico della solidarietà. Stimato dirigente comunista, fu eletto, nella seconda metà degli anni 60, Consigliere Provinciale e, di seguito, dal 1970 al 1972, Consigliere della Regione Abruzzo. Nel 1072, appunto, divenne deputato al Parlamento della sesta legislatura e fu confermato nella settima e nell'ottava legislatura repubblicana, ricoprendo l'incarico di Segretario del Gruppo Parlamentare del PCI. Successivamente, da Segretario Generale della CNA, contribuì a trasformare la stessa, in una grande associazione per tutte le imprese e l'organizzazione di punta per i servizi reali agli associati. Nel 1994 divenne Consigliere del CNEL ed, infine, come rappresentante del CNEL, più volte membro del Comitato di Solidarietà per il sostegno alle vittime del racket e dell'usura. **** Se questo è il profilo politico ed istituzionale di Federico Brini, ricavato dai documenti e dalle testimonianze, personale, molto personale, almeno nell'ultimo biennio 2006 - 2007, è il mio discernimento sul ruolo incisivo, da Lui svolto in seno al Comitato di Solidarietà. A nessuno può sfuggire come questa commemorazione sia collocata in un crocevia di coincidenze, che si intrecciano, in modo emblematico, tra loro e si legano con un filo rosso, quasi provvidenziale, alla figura e all'opera di Brini. La prima coincidenza è rappresentata dalla contestuale presentazione di questo libro- testimonianza, che raccoglie il lavoro biennale del Comitato di Solidarietà, del quale Brini è stato autorevole membro, presenza che ha costituito, per me, l'occasione privilegiata di conoscenza, di apprezzamento e di ammirazione. Questo libro, al di là dell'Autore, è il frutto del lavoro del Comitato, un lavoro collettivo, sempre unanime, un insieme organico di decisioni, di analisi, di riflessioni e di proposte al Governo e al Parlamento, per rendere sempre più incisivo il sostegno alle vittime e per liberare il nostro Paese dal cancro della criminalità organizzata, dell'estorsione e dell'usura. Quell'usura, che l'Assessore Visintin, in riferimento alla provincia di Roma, ha ben definito, in una recente audizione al Senato “...l'unica economia che, a Roma e in provincia, respira a pieni polmoni! ". Coautori sono, quindi, tutti i membri del Comitato, tutti i Dirigenti e tutto il personale dell'Ufficio del Commissario Straordinario, molti dei quali presenti a questa assemblea. La seconda coincidenza riguarda l'approvazione, avvenuta, di recente, al Senato, del disegno di legge contro l'estorsione e contro l'usura, ora all'attenzione della Camera, in seconda lettura: disegno di legge che ha recepito, anche attraverso alcuni miei emendamenti, la prassi decennale del Comitato e che integrerà, laddove approvato, la legislazione antiracket e antiusura del 1996 e del 1999. La terza coincidenza, la più dolorosa, riguarda il terremoto dell'Aquila, che, a 306 anni, dal precedente, catastrofico sisma del 2 febbraio 1703, ha di nuovo portato la distruzione in quella nobile città. Anche se, oggi, rispetto al passato, la solidarietà nazionale ha dato una risposta esemplare all'emergenza e, speriamo, la dia ad una ricostruzione, rapida e trasparente. Anche ora, come allora, “la resistenza e la rinascenza dell'Aquila e dell'Abruzzo” saranno fondate sulle qualità del popolo abruzzese e aquilano: il rigore, la tenacia, la forza morale, l'onestà, la forte identità culturale e quella dimensione etica, che rende gli abruzzesi parte eminente del nostro popolo e della nostra nazione. In queste richiamate coincidenze: nel libro, nel nuovo disegno di legge e nelle illustrate qualità del popolo abruzzese vive il profilo, umano ed intellettuale, di Federico Brini. Lo dico sommessamente, ma in piena consapevolezza, ai familiari presenti: Federico è stato un esempio incomparabile di dignità, di amore per gli altri, per i più deboli, di tolleranza e di rispetto per tutti; sempre teso, con quello stile inconfondibile di galantuomo e di gran signore, a ritrovare una soluzione, ad individuare un nobile compromesso, purché finalizzato all'aiuto, incisivo e concreto, nei confronti di chi aveva avuto il coraggio di denunziare e di ribellarsi alla sopraffazione, alla violenza, fisica e morale, e alle compromissioni, anche istituzionali. "In un Italia dilaniata dal muro contro muro - mi ha scritto Paolo Giusto, altro autorevole membro del Comitato 2206/2008 - , Federico, nei suoi rapporti personali, dimostrava sempre una capacità di andare oltre. Se io, da cattolico, convinto e professante, sentivo le vittime come "fratelli", Lui contrapponeva, nelle decisioni da assumere, la saggezza e la serenità di giudizio". Ecco perchè, Presidente, Assessore, partecipanti a questa assemblea, il nostro debito di gratitudine nei confronti di Federico Brini è inestinguibile, come lo è quello di quanti lo hanno visto operare o ne hanno avvertito l’opera: dalle Fondazioni antiusura alle Associazioni antiracket e Antiusura, alle centinaia di vittime, dal volto ignoto, che Lui ha sempre sostenuto. Ecco perchè mi inchino alla Sua memoria ed offro questi sentimenti di solidarietà, di stima e di riconoscenza, ai familiari presenti. Concludo con un ricordo personale. Oggi ho indossato la cravatta, che Federico volle regalarmi, poche settimane prima della scomparsa, avvenuta il 15 dicembre del 2007. Mi chiese un appuntamento e venne nel mio ufficio, con quel pudore, con quella semplicità e con quella signorilità, che erano la cifra del suo modo di relazionarsi agli altri, la cifra che solo i maestri di vita possiedono e che rappresenta un patrimonio da conservare, nella memoria di ciascuno di noi. Parlammo prima, a lungo, di Ignazio Silone e non mancai, nel corso della conversazione, conoscendo la Sua storia di dirigente comunista, di provocarlo: - prima, sull'anarchismo evangelico e sull'utopia di un mondo retto dall'amicizia e dall'amore, presenti nell'opera di Silone "L'avventura di un povero cristiano" (1968); - e, poi, sull'espulsione di Silone dal PCI e sui cinici commenti, da parte di Togliatti, sullo scrittore abruzzese. Mi rispose con la consueta pacatezza, dopo avermi guardato intensamente negli occhi, quasi a volermi significare di aver colto le miei provocazioni intellettuali: “Mi riconosco, caro Commissario, pienamente, negli ideali socialisti dei primi cristiani e riconosco la lucidità di Silone, nell'aver colto, prima del XX Congresso, il carattere illiberale ed autoritario del socialismo reale. Io sono per un socialismo umano e per la libertà ". Fu a quel punto che mi allungò la confezione con la cravatta ed al mio stupore per quel dono, inatteso ed apparentemente immotivato, contrappose, con un sorriso lieve e una stretta di mano, queste parole: “Questo dono è un segno di stima, per come Lei ha affrontato questa missione istituzionale e perchè, nelle decisioni che ci aiuta ad assumere, mette, come ho fato sempre io, non solo la cognizione e l'intelligenza, ma il sentimento ed il cuore, verso i più sfortunati, i più deboli, i più bisognosi, gli ultimi degli ultimi di questa nostra società, complicata e difficile ". Grazie, caro Federico, per quel dono e, in particolare, per quelle parole che dovrebbero rappresentare il viatico per tutti noi, ai diversi livelli istituzionali; per chi, nel pubblico e nel privato, incarna la solidarietà verso le persone che hanno il coraggio di ribellarsi e di rinnovare il loro patto di lealtà e di fiducia, con lo Stato e con le Istituzioni democratiche!
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Emendamento Lauro all'Atto Senato 1079 - Il mio emendamento è volto a disciplinare il libero esercizio della prostituzione, svolto in forma autonoma, a domicilio, da chi abbia compiuto la maggiore età. L'oggetto della regolamentazione è dunque strettamente limitato all'attività di prostituzione che viene scelta, in piena libertà, da persone maggiorenni. Sono pertanto escluse da tale regolamentazione sia le forme di prostituzione libera che si svolgono nelle strade sia ogni forma di prostituzione coatta, che deve essere severamente combattuta agendo, tanto in via preventiva quanto con un opportuno apparato sanzionatorio, contro chi, a vario titolo, sfrutta la prostituzione di terzi. L'emendamento appare pienamente coerente con gli obiettivi perseguiti dal disegno di legge di iniziativa governativa il quale - come noto - è volto a contrastare il fenomeno della prostituzione in strada e il suo sfruttamento. La proposta infatti, nel regolare, sotto alcuni aspetti, l'attività di prostituzione autonoma e libera, mira a completare l'intera disciplina del settore: per combattere adeguatamente il fenomeno, infatti, occorre anche regolare tutte quelle forme libere ed autonome di prostituzione, riconducibili ad attività che, come confermato da indagini approfondite, coinvolgono un numero considerevole di cittadini. Si è ritenuto opportuno affidare la disciplina della materia al Governo, autorizzandolo ad intervenire con uno o più regolamenti di delegificazione sugli aspetti più sensibili connessi all'attività di prostituzione. In primo luogo, si prevede l'introduzione di controlli sanitari periodici. Gli esiti dei controlli sanitari effettuati, nel rispetto del diritto alla riservatezza sia del cliente sia delle persone che si prostituiscono, dovranno inoltre essere annotati in appositi registri dalle autorità sanitarie. Al Governo è poi affidata la predisposizione di adeguate sanzioni in caso di mancata osservanza di questi obblighi sanitari, la cui violazione può produrre - come è facile comprendere - rischi elevatissimi per la salute pubblica. In secondo luogo, è previsto un obbligo di registrazione fiscale delle prestazioni. Anche tale attività deve essere effettuata nel rispetto del diritto alla riservatezza. L'opportunità di una previsione di tale natura nasce dall'esigenza di ricondurre, per assimilazione, l'attività di prostituzione, quando è fonte autonoma di reddito, all'ambito delle attività professionali ed imprenditoriali. Essa non può pertanto sfuggire al controllo del fisco, proprio ai fini delle determinazione dell'imposta sul reddito. In terzo luogo, il regolamento governativo dovrà regolare le modalità attraverso le quali la persona che si prostituisce può pubblicizzare la propria attività, sia attraverso inserzioni sulla stampa, sia tramite messaggi in televisione, sia con altre forme di comunicazione (in particolare Internet). Tale attività deve svolgersi senza incorrere nei reati concernenti le offese al pudore e all'onore sessuale (atti osceni, pubblicazioni e spettacoli osceni, commercio di scritti, disegni o altri oggetti contrari alla pubblica decenza, atti contrari alla pubblica decenza, turpiloquio). Inoltre le forme della pubblicità e i suoi contenuti non devono assumere caratteri lesivi della dignità umana. L'obiettivo è dunque duplice: proteggere le stesse persone che esercitano la prostituzione, di cui l'ordinamento deve tutelare al massimo grado la dignità, come per qualsiasi altro cittadino; in secondo luogo, tutelare quanto più possibile i terzi, soprattutto minori, che purtroppo, con estrema facilità, hanno la possibilità di accedere, tramite i motori di ricerca di Internet, a siti ove vengono proposti contenuti osceni e lesivi del pudore.
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Ti ringrazio veramente, caro Raffaele, per questa lettura, che mi colpisce in un momento di particolare sensibilità verso un argomento: gli intellettuali italiani. Credo che le persone perbene e intelligenti dovrebbero finalmente interrogarsi. Io lo faccio, e mi piacerebbe se tu volessi farti promotore di una riflessione pubblica, in tal senso. Lo faccio mentre sullo sfondo mi arriva da un'altra stanza la televisione con il suo quotidiano intollerabile rumore della politica parlata, chiacchiere e urla sempre uguali, che oramai mi sono insopportabili. L'invadenza dello Stato nella cosa pubblica ha reso servi gli intellettuali italiani che hanno preferito mendicare qualche posto o consulenza piuttosto che assolvere a un ruolo storico: quello della coscienza critica. Senza coscienza critica un paese muore, e tanto più il nostro, che non è mai stato un paese di eroi del quotidiano, semmai di quotidiani opportunismi intervallati da rare eroiche gesta, dovute alla necessità di affrontare l'emergenza via via che si presentava. Io sono un'intellettuale e ne sono fiera. Sono una passionale e ne sono fiera. Sono anche razionale e ne sono fiera. Ma non riesco più a essere fiera di collocarmi fra gli intellettuali italiani, avvolti nel loro opportunistico assordante silenzio, immersi in una sorta di anestetico, sempre pronti ad andare in soccorso al vincitore. Condivido la frase di gramsci che hai citato. Non le successive, nelle quali si teorizza che l'intellettuale deve essere organico alle lotte. L'intellettuale deve a mio parere essere non organico per definizione, scomodo, non assoldabile per nessuna battaglia, che non sia quella che parte dalla sua mente, dal suo sentire e dalla sua coscienza. L'intellettuale non può essere il militante che dice sempre sì. Può essere un militante che fa la spina nel fianco del suo partito. Solo in questo caso lo si può ancora definire tale. E venendo ai giorni nostri: la crisi si inserisce in un quadro già sconfortante e si occupa di allargare un po' in tutto l'occidente il terreno di influenza dello Stato: che ne sarà di noi in italia? Gli intellettuali tacciono, il giornalismo è morto, la politica è spesso al servizio di poteri tanto più forti. La democrazia vive di interessi contrapposti e di chi sappia rappresentarli. Intorno a me vedo solo omologazione e buonismo ipocrita. Scusa lo sfogo, ma la vedo davvero brutta! DANIELA BRANCATI Roma, 21 aprile 2009
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Alla presentazione del tuo nuovo libro, caro senatore, c'era una folla enorme, forse inattesa da parte degli organizzatori. Non si entrava nella sala. Non si respirava. A Roma, di solito, vanno quattro gatti, e bisogna attirarli con qualche gnam gnam, anche un modesto cocktail va bene! C'erano politici, prefetti, consiglieri di Stato e della Corte dei Conti, dirigenti della Presidenza della Repubblica e del Consiglio, giornalisti, attrici, attori, professori universitari, presidenti di associazioni, volontari della solidarietà...eccetera, eccetera!! Insomma mai vista tanta gente, così qualificata e "rapita". Non ho capito cosa abbia funzionato, visto che non era predisposto neppure un misero cocktail, anzi l'antipasto della manifestazione era la commemorazione di un ex deputato PCI, alla presenza dei familiari. Bella, intensa, colta, emozionante. Quel ricordo della cravatta è stata un'operazione oratoria alla Demostene. Ma è vera o è una tua invenzione retorica? Ciò che più mi ha colpito, tuttavia, sono state le Tue conclusioni, a braccio, dopo la presentazione del libro, da parte degli autorevoli relatori, anzi degli "incensatori". Ti ho spesso ascoltato negli interventi pubblici. Ma, stavolta, oltre che passionale, chiaro e diretto, hai superato il segno, nella forma e nei contenuti! Cosa ti succede? Hai fatto un intervento, sul nostro futuro nazionale, durissimo, radicale, eretico, apocalittico. Mi chiedo? Perchè sei stato così aggressivo, solo per scatenare l'entusiamo plaudente della platea? Hai perduto ogni speranza o c'è dell'altro? ANONIMO ROMANO Roma 22 aprile 2009 RISPOSTA DEL SEN. LAURO ALL'ANONIMO ROMANO Caro Anonimo Romano, non é più tempo di discorsi paludati e di ipocrisie! L'episodio della cravatta è autentico! Comunque, grazie per il commento agrodolce! RL
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Di Raffaele Lauro (del 25/04/2009 @ 09:22:09, in Il commento politico, linkato 537 volte)
Intervenendo nell'Assemblea dei Gruppi PdL del Senato e della Camera, che si tenne alla vigilia del Primo Congresso fondativo del "Popolo della Libertà", a fine marzo, alla Nuova Fiera di Roma, ebbi modo di definire, parlando di società della comunicazione e leardership politica, e parafrasando il filosofo francese Bergson, l'iniziativa innovatrice di Silvio Berlusconi, a partire dal suo ingresso in politica, nel 1994, come "intuizione creatrice". Un'intuizione creatrice, che senza enfasi, lo pone nella condizione, di anticipare, salvo verifica, nell'esercizio del diritto di voto, da parte dei cittadini-elettori, i processi politici, economici e sociali, sia nel nostro Paese che a livello di rapporti internazionali. Le decisioni di tenere il Consiglio dei Ministri nei luoghi dove si manifestano gravissimi problemi, che hanno investono la comunità mediatica globale (rifiuti in Campania e terremoto in Abruzzo), e, ancor più di trasferire il G8 dalla Maddalena all'Aquila, rappresentano una conferma della "intuizione creatrice" del Presidente del Consiglio dei Ministri.
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