\\ Home Page : Storico per mese (inverti l'ordine)
Di seguito tutti gli interventi pubblicati sul sito, in ordine cronologico.
Di Raffaele Lauro (del 01/12/2010 @ 21:35:42, in Il commento politico, linkato 495 volte)
SENATO DELLA REPUBBLICA
AS ....
———– XVI LEGISLATURA ———–
DISEGNO DI LEGGE
d’iniziativa del senatore LAURO
———–
Delega al Governo per l'abolizione
del valore legale del titolo di studio
———–
Onorevoli Senatori. - Come noto, i titoli rilasciati alle autorità scolastiche a conclusione di un ciclo di studi, sotto il profilo giuridico, sono volti a comprovare il compimento del percorso formativo prescritto dalle norme in vigore e sono rilasciati a seguito di esami o valutazioni finali. Essi producono effetti sia nell’ambito dell’ordinamento scolastico, sia in ambito extrascolastico, sulla base delle prescrizioni di legge che contemplano le modalità di rilascio e di utilizzo e che ne definiscono gli effetti. In particolare, per quanto concerne l’ambito scolastico, il possesso di un titolo riconosciuto è, quasi sempre, la condizione necessaria per il proseguimento degli studi. In ambito extrascolastico il valore legale ha significato principalmente in due direzioni:
a) per l’accesso alle professioni liberali (secondo le regole stabilite da ciascun ordinamento professionale), spesso dopo il superamento di un esame di stato (per l’abilitazione professionale), per il quale il titolo specifico è condizione necessaria ma non esaustiva;
b) per accedere ai soli pubblici impieghi che richiedono il possesso di un apposito titolo di istruzione.
Il 9 gennaio 2009, in sede di esame, presso la Camera dei deputati, del disegno di legge di conversione del decreto-legge n. 180 del 2008 recante "Diritto allo studio, valorizzazione del merito e qualità del sistema universitario e della ricerca", approvato dal Senato, il rappresentante del Governo dichiarava di accogliere l'ordine del giorno Grimoldi n. 9/1966/56, una volta riformulato il dispositivo, nel quale le parole: "abolire il requisito del valore legale del titolo di studio" furono sostituite dalle seguenti: "un graduale superamento del valore legale del titolo di studio".
Nelle motivazioni premesse al suddetto ordine del giorno, si specifica che l’attuale titolo di studio, legalmente riconosciuto, sarebbe alla base della trasformazione degli atenei in "laureifici": la sua abolizione indurrebbe, al contrario, una concorrenza virtuosa tra gli atenei che darebbero sempre maggiore importanza alla qualità della didattica. La mancanza, inoltre, della necessità del "pezzo di carta" per accedere al mercato del lavoro, implicherebbe la frequenza delle scuole e delle università solo da parte dei ragazzi veramente motivati, con un conseguente miglioramento dell'offerta formativa.
La richiesta abolizionista si rifà sostanzialmente al modello statunitense, dove non vi è alcun controllo statale sui contenuti di studi svolti, come sulla competizione tra le istituzioni formative, sulla valutazione del valore dei titoli affidata interamente al mercato.
Coloro che si oppongono all’abolizione del titolo di studio sostengono che una misura di tal genere condurrebbe verso un sicuro declino culturale a ragione del fatto che essa determinerebbe esclusivamente una liberalizzazione del sistema formativo che, accompagnata dalla sua privatizzazione, comporterebbe un'esplosione di corsi privati dall'incerta qualificazione in un "mercato formativo" fatalmente influenzabile, in maniera esclusiva, da logiche economiche.
Come si vede il dibattito è aperto, anzi non si è ancora concluso da quando lo stesso Einaudi, coerentemente con la sua ispirazione liberale, chiedeva allo Stato di fare un decisivo passo indietro, rinunciando alla pretesa di definire sistemi di istruzione fondati su schemi e regole valevoli per tutti.
Il disegno di legge, proponendo la abolizione del valore legale del titolo accademico, riprende l'impostazione liberale einaudiana e la aggiorna rispetto alla evoluzione della società e del mercato: si, lo Stato deve fare un decisivo passo indietro, rinunciando ad un criterio che imporrebbe un livellamento dei sistemi d’istruzione, limitando l’innovazione e la concorrenza, con l’imposizione di schemi rigidi e di regole comuni applicate a tutti gli istituti scolastici operanti sul territorio nazionale.
L'acquisizione di un titolo di studio non può avere il valore di certificazione burocratica. Infatti non è il pezzo di carta che nel mondo reale, ovvero quello delle imprese e delle professioni, orienta i criteri di selezione delle risorse umane, semmai è l’affidabilità di quel pezzo di carta, ovvero la reputazione ed il rating dell’ateneo che l’ha rilasciato.
A ben vedere, peraltro, la distinzione tra qualifiche accademiche e qualifiche professionali, pur avendo radici nella stessa Costituzione che, all'articolo 33, prescrive l'esame di Stato per l'abilitazione all'esercizio professionale, determina come conseguenza che il possesso della sola qualifica accademica non sia sufficiente per l'accesso alle professioni pubbliche e private; la legge prescrive, infatti, in aggiunta al titolo di studio, ulteriori accertamenti di preparazione professionale, tirocini pratici e, in alternativa agli esami di Stato, esami di concorso per l'accesso al pubblico impiego con funzione selettiva e comparativa degli aspiranti.
Possiamo concludere quindi che il valore del titolo legale, in Italia, si esaurisce nella legittimazione a sostenere esami di abilitazione per determinate professioni o a partecipare a concorsi per l'accesso alla pubblica amministrazione. La sua abolizione può consentire di differenziare il prodotto offerto dai singoli atenei, facendo entrare le università in concorrenza tra loro, creando così un circolo virtuoso.
Art. 1.
1. Il Governo è delegato ad adottare, entro un anno dalla data di entrata in vigore della presente legge, un decreto legislativo volto ad abolire il valore legale del diploma di laurea e degli altri diplomi universitari.
2. Il decreto legislativo di cui al comma 1 è adottato nel rispetto dei seguenti princìpi e criteri direttivi:
a) abrogazione delle disposizioni di legge in vigore che conferiscono valore legale al diploma di laurea e agli altri diplomi universitari;
b) adozione delle necessarie disposizioni di coordinamento in materia di accesso alle professioni e agli impieghi pubblici.
3. Lo schema di decreto legislativo di cui al comma 1 è trasmesso alle Camere per l'espressione del parere da parte delle competenti Commissioni parlamentari, che deve essere reso entro quarantacinque giorni dalla data di trasmissione.
Comunicato stampa su DDL abolizione del valore legale del titolo di studio (Senato, 3 dicembre 2010)
Di Raffaele Lauro (del 02/12/2010 @ 23:05:45, in Il commento politico, linkato 453 volte)
UNIVERSITA'. Lauro (PdL): Delega al Governo per l'abolizione del valore legale del titolo di studio. Una "scelta enaudiana" più efficace di mille riforme per rinnovare e per riqualificare l'università italiana
Con un disegno di legge, in un articolo unico, presentato stamane al Senato, il sen. Raffaele Lauro (PdL) propone di conferire una delega al Governo per l'abolizione del valore legale del titolo di studio, facendo riferimento all'ordine del giorno Grimoldi n. 9/1966/56, accolto dal Governo il 9 gennaio 2009, presso la Camera dei deputati, nel corso dell'esame del disegno di legge di conversione del decreto-legge n.180 del 2008, recante "Diritto allo studio, valorizzazione del merito e qualità del sistema universitario e delle ricerca", con il quale il Governo si impegnava a superare "gradualmente" il valore legale del titolo di studio. "Le resistenze conservatrici, autoreferenziali ed opportunistiche del mondo accademico, di fronte a qualsiasi tentativo di riforma universitaria, confermate in queste ultime settimane di scioperi e di tensioni sulla riforma Gelmini, dovrebbero convincere il Governo e il Parlamento - ha dichiarato Lauro - della necessità di abolire, al più presto, il valore legale del titolo di studio, che ha trasformato i nostri atenei in autentici laureifici. L' abolizione indurrebbe, al contrario, una concorrenza tra gli atenei che darebbero esclusiva importanza alla qualità della didattica. La mancanza, inoltre, del ricorso al pezzo di carta per accedere al mercato del lavoro, implicherebbe la frequenza delle scuole e delle università solo da parte dei ragazzi veramente motivati, con un conseguente miglioramento dell'offerta formativa. Nè può valere oltre l'obiezione strumentale che una liberalizzazione del sistema formativo comporterebbe un'esplosione di corsi privati dall'incerta qualificazione in un mercato formativo fatalmente influenzabile, in maniera esclusiva, da logiche economiche." " La mia proposta dell'abolizione del valore legale del titolo accademico - ha aggiunto il sen. Lauro -, riprende l'impostazione liberale einaudiana e la aggiorna rispetto alla evoluzione della società e del mercato: si, lo Stato deve fare un decisivo passo indietro, rinunciando ad un criterio che imporrebbe un livellamento dei sistemi d’istruzione, limitando l’innovazione e la concorrenza, con l’imposizione di schemi rigidi e di regole comuni applicate a tutti gli istituti scolastici operanti sul territorio nazionale." "L'acquisizione di un titolo di studio - ha coincluso Lauro - non può avere il valore di certificazione burocratica. Non è il pezzo di carta che, nel mondo reale, ovvero quello delle imprese e delle professioni, orienta i criteri di selezione delle risorse umane, semmai è l’affidabilità di quel pezzo di carta, ovvero la reputazione ed il rating dell’ateneo che l’ha rilasciato. Solo così sarà possibile differenziare il prodotto offerto dai singoli atenei, facendo entrare le università in concorrenza tra loro, creando un circolo virtuoso, indispensabile alla ripresa della crescita culturale ed economica del nostro Paese"
Di Raffaele Lauro (del 03/12/2010 @ 10:29:29, in il commento politico, linkato 441 volte)
ADN0094 5 POL 0 RTD POL NAZ
UNIVERSITA': LAURO (PDL), DELEGA A GOVERNO PER ABOLIZIONE VALORE LEGALE TITOLO STUDIO =
PRESENTATO DDL AL SENATO, SCELTA 'ENAUDIANA' PIU' EFFICACE DI
MILLE RIFORME PER RINNOVARE E RIQUALIFICARE SISTEMA
Roma, 3 dic. (Adnkronos) - Conferire al Governo una delega per
l'abolizione del valore legale del titolo di studio. E' quanto prevede
un disegno di legge, in un articolo unico, presentato stamane al
Senato, da Raffaele Lauro (PdL), facendo riferimento ad un ordine del
giorno a firma Grimoldi, accolto dal Governo il 9 gennaio 2009, presso
la Camera dei deputati, nel corso dell'esame del disegno di legge di
conversione del decreto-legge sul "Diritto allo studio, valorizzazione
del merito e qualita' del sistema universitario e delle ricerca", con
il quale il Governo si impegnava a superare "gradualmente" il valore
legale del titolo di studio.
"Le resistenze conservatrici, autoreferenziali ed
opportunistiche del mondo accademico, di fronte a qualsiasi tentativo
di riforma universitaria, confermate in queste ultime settimane di
scioperi e di tensioni sulla riforma Gelmini - ha evidenziato Lauro -
dovrebbero convincere il Governo e il Parlamento della necessita' di
abolire, al piu' presto, il valore legale del titolo di studio, che ha
trasformato i nostri atenei in autentici laureifici''.
''L' abolizione - ha spiegato - indurrebbe, al contrario, una
concorrenza tra gli atenei che darebbero esclusiva importanza alla
qualita' della didattica. La mancanza, inoltre, del ricorso al pezzo
di carta per accedere al mercato del lavoro, implicherebbe la
frequenza delle scuole e delle universita' solo da parte dei ragazzi
veramente motivati, con un conseguente miglioramento dell'offerta
formativa''. (segue)
(Sin-Bis/Gs/Adnkronos)
03-DIC-10 08:47
ADN0101 5 POL 0 RTD POL NAZ
UNIVERSITA': LAURO (PDL), DELEGA A GOVERNO PER ABOLIZIONE VALORE LEGALE TITOLO STUDIO (2) =
(Adnkronos) - Secondo Lauro non puo' nemmeno piu' ''valere
l'obiezione strumentale che una liberalizzazione del sistema
formativo comporterebbe un'esplosione di corsi privati dall'incerta
qualificazione in un mercato formativo fatalmente influenzabile, in
maniera esclusiva, da logiche economiche".
"La mia proposta dell'abolizione del valore legale del titolo
accademico - ha aggiunto Lauro - riprende l'impostazione liberale
einaudiana e la aggiorna rispetto alla evoluzione della societa' e del
mercato: si, lo Stato deve fare un decisivo passo indietro,
rinunciando ad un criterio che imporrebbe un livellamento dei sistemi
d'istruzione, limitando l'innovazione e la concorrenza, con
l'imposizione di schemi rigidi e di regole comuni applicate a tutti
gli istituti scolastici operanti sul territorio nazionale".
"L'acquisizione di un titolo di studio - ha concluso Lauro - non
puo' avere il valore di certificazione burocratica. Non e' il pezzo
di carta che, nel mondo reale, ovvero quello delle imprese e delle
professioni, orienta i criteri di selezione delle risorse umane,
semmai e' l'affidabilita' di quel pezzo di carta, ovvero la
reputazione ed il rating dell'ateneo che l'ha rilasciato. Solo cosi'
sara' possibile differenziare il prodotto offerto dai singoli atenei,
facendo entrare le universita' in concorrenza tra loro, creando un
circolo virtuoso, indispensabile alla ripresa della crescita culturale
ed economica del nostro Paese".
(Sin-Bis/Gs/Adnkronos)
03-DIC-10 08:57
Universita', Lauro (Pdl): Abolire valore legale titolo di studio
Roma, 03 DIC (Il Velino) - Con un disegno di legge, in
un articolo unico, presentato stamane al Senato, il senatore
Raffaele Lauro (Pdl) propone di conferire una delega al
governo per l'abolizione del valore legale del titolo di
studio, facendo riferimento all'ordine del giorno Grimoldi n.
9/1966/56, accolto dal governo il 9 gennaio 2009, presso la
Camera dei deputati, nel corso dell'esame del disegno di
legge di conversione del decreto-legge n.180 del 2008,
recante "Diritto allo studio, valorizzazione del merito e
qualita' del sistema universitario e delle ricerca", con il
quale il governo si impegnava a superare "gradualmente" il
valore legale del titolo di studio. "Le resistenze
conservatrici, autoreferenziali ed opportunistiche del mondo
accademico, di fronte a qualsiasi tentativo di riforma
universitaria, confermate in queste ultime settimane di
scioperi e di tensioni sulla riforma Gelmini, dovrebbero
convincere il governo e il Parlamento - ha dichiarato Lauro -
della necessita' di abolire, al piu' presto, il valore legale
del titolo di studio, che ha trasformato i nostri atenei in
autentici laureifici. L' abolizione indurrebbe, al contrario,
una concorrenza tra gli atenei che darebbero esclusiva
importanza alla qualita' della didattica. La mancanza,
inoltre, del ricorso al pezzo di carta per accedere al
mercato del lavoro, implicherebbe la frequenza delle scuole e
delle universita' solo da parte dei ragazzi veramente
motivati, con un conseguente miglioramento dell'offerta
formativa. Ne' puo' valere oltre l'obiezione strumentale che
una liberalizzazione del sistema formativo comporterebbe
un'esplosione di corsi privati dall'incerta qualificazione in
un mercato formativo fatalmente influenzabile, in maniera
esclusiva, da logiche economiche. La mia proposta
dell'abolizione del valore legale del titolo accademico - ha
aggiunto il senatore Lauro -, riprende l'impostazione
liberale einaudiana e la aggiorna rispetto alla evoluzione
della societa' e del mercato: si, lo Stato deve fare un
decisivo passo indietro, rinunciando ad un criterio che
imporrebbe un livellamento dei sistemi d'istruzione,
limitando l'innovazione e la concorrenza, con l'imposizione
di schemi rigidi e di regole comuni applicate a tutti gli
istituti scolastici operanti sul territorio nazionale.
L'acquisizione di un titolo di studio - ha coincluso Lauro -
non puo' avere il valore di certificazione burocratica. Non
e' il pezzo di carta che, nel mondo reale, ovvero quello
delle imprese e delle professioni, orienta i criteri di
selezione delle risorse umane, semmai e' l'affidabilita' di
quel pezzo di carta, ovvero la reputazione ed il rating
dell'ateneo che l'ha rilasciato. Solo cosi' sara' possibile
differenziare il prodotto offerto dai singoli atenei, facendo
entrare le universita' in concorrenza tra loro, creando un
circolo virtuoso, indispensabile alla ripresa della crescita
culturale ed economica del nostro Paese". (com/sbm)
031037 DIC 10 NNNN
UNIVERSITA', LAURO (PDL): DELEGA PER FINE VALORE LEGALE TITOLO STUDIO
(9Colonne) Roma, 3 dic - Con un disegno di legge, in un articolo unico,
presentato stamane al Senato, il senatore Raffaele Lauro (Pdl) propone di
conferire una delega al Governo per l'abolizione del valore legale del titolo
di studio, facendo riferimento all'ordine del giorno Grimoldi n. 9/1966/56,
accolto dal Governo il 9 gennaio 2009, presso la Camera, nel corso dell'esame
del disegno di legge di conversione del decreto-legge n.180 del 2008, recante
"Diritto allo studio, valorizzazione del merito e qualità del sistema
universitario e delle ricerca", con il quale il Governo si impegnava a
superare "gradualmente" il valore legale del titolo di studio. "Le resistenze
conservatrici, autoreferenziali ed opportunistiche del mondo accademico, di
fronte a qualsiasi tentativo di riforma universitaria, confermate in queste
ultime settimane di scioperi e di tensioni sulla riforma Gelmini, dovrebbero
convincere il Governo e il Parlamento - ha dichiarato Lauro - della necessità
di abolire, al più presto, il valore legale del titolo di studio, che ha
trasformato i nostri atenei in autentici laureifici. L' abolizione indurrebbe,
al contrario, una concorrenza tra gli atenei che darebbero esclusiva
importanza alla qualità della didattica. La mancanza, inoltre, del ricorso al
pezzo di carta per accedere al mercato del lavoro, implicherebbe la frequenza
delle scuole e delle università solo da parte dei ragazzi veramente motivati,
con un conseguente miglioramento dell'offerta formativa. Nè può valere oltre
l'obiezione strumentale che una liberalizzazione del sistema formativo
comporterebbe un'esplosione di corsi privati dall'incerta qualificazione in un
mercato formativo fatalmente influenzabile, in maniera esclusiva, da logiche
economiche". "L'acquisizione di un titolo di studio - ha concluso Lauro - non
può avere il valore di certificazione burocratica. Non è il pezzo di carta
che, nel mondo reale, ovvero quello delle imprese e delle professioni, orienta
i criteri di selezione delle risorse umane, semmai è l'affidabilità di quel
pezzo di carta, ovvero la reputazione ed il rating dell'ateneo che l'ha
rilasciato. Solo così sarà possibile differenziare il prodotto offerto dai
singoli atenei, facendo entrare le università in concorrenza tra loro, creando
un circolo virtuoso, indispensabile alla ripresa della crescita culturale ed
economica del nostro Paese".
UNIVERSITA': LAURO "DELEGA A GOVERNO PER ABOLIRE VALORE LEGALE TITOLO"
ROMA (ITALPRESS) - Con un disegno di legge, in un articolo unico,
presentato stamane al Senato, il senatore del Pdl Raffaele Lauro,
propone di conferire una delega al Governo per l'abolizione del
valore legale del titolo di studio. "Le resistenze conservatrici,
autoreferenziali e opportunistiche del mondo accademico, di fronte
a qualsiasi tentativo di riforma universitaria, confermate in
queste ultime settimane di scioperi e di tensioni sulla riforma
Gelmini, dovrebbero convincere il Governo e il Parlamento - ha
dichiarato Lauro - della necessita' di abolire, al piu' presto, il
valore legale del titolo di studio, che ha trasformato i nostri
atenei in autentici laureifici. L'abolizione indurrebbe, al
contrario, una concorrenza tra gli atenei che darebbero esclusiva
importanza alla qualita' della didattica. La mancanza, inoltre,
del ricorso al pezzo di carta per accedere al mercato del lavoro,
implicherebbe la frequenza delle scuole e delle universita' solo
da parte dei ragazzi veramente motivati, con un conseguente
miglioramento dell'offerta formativa. Ne' puo' valere oltre
l'obiezione strumentale che una liberalizzazione del sistema
formativo comporterebbe un'esplosione di corsi privati
dall'incerta qualificazione in un mercato formativo fatalmente
influenzabile, in maniera esclusiva, da logiche economiche".
"La mia proposta dell'abolizione del valore legale del titolo
accademico - ha concluso Lauro - riprende l'impostazione liberale
einaudiana e la aggiorna rispetto alla evoluzione della societa' e
del mercato. L'acquisizione di un titolo di studio non puo' avere
il valore di certificazione burocratica. Solo cosi' sara'
possibile differenziare il prodotto offerto dai singoli atenei,
facendo entrare le universita' in concorrenza tra loro, creando un
circolo virtuoso, indispensabile alla ripresa della crescita
culturale ed economica del nostro Paese".
(ITALPRESS).
Di Raffaele Lauro (del 10/12/2010 @ 16:48:25, in Il commento politico, linkato 614 volte)
SENATO DELLA REPUBBLICA
AS ....
———– XVI LEGISLATURA ———–
DISEGNO DI LEGGE
d’iniziativa del senatore LAURO
———–
Abrogazione dell'ordine dei giornalisti
———–
Onorevoli senatori. - Il disegno di legge pone all'attenzione del Senato la soppressione dell'ordine dei giornalisti, come disciplinato dalla legge n. 69 del 1963 e che compone quella parte della legislazione statale che nel corso dei decenni si è stratificata in materia di comunicazione e di informazione.
Tale intento soppressivo deriva sostanzialmente dai profondi ed irreversibili mutamenti che i processi telematici e di Internet hanno determinato sul versante della liberalizzazione dei sistemi di comunicazione.
La rivoluzione informatica, già nei fatti, ha determinato uno spostamento radicale dalla "materialità" della carta stampata al mondo del web, determinando di conseguenza anche concettualmente una coincidenza tra il concetto di libertà di stampa con quello di libertà di opinione.
Se questo è il processo in atto, in fase già avanzata, allora la difesa dell'ordine dei giornalisti, così come il permanere delle provvidenze a favore dell'editoria ed anche l'attuale assetto della RAI, concessionaria del servizio pubblico radiotelevisivo, risultano essere ormai strumenti obsoleti da superare.
Per quanto riguarda l'ordine dei giornalisti, la legge istitutiva che qui si intende abrogare, a parere del presentatore, ma anche di una vasta porzione di opinione pubblica, ha garantito e tutelato, fin dal suo nascere, più che la libertà di stampa, la stampa, intesa come «corporazione» giornalistica.
Già nel 1945, dalle colonne di "Risorgimento liberale", Luigi Einaudi aveva levato la sua voce contro l’istituzione di un ordine dei giornalisti: “L’albo obbligatorio è immorale, perché tende a porre un limite a quel che limiti non ha, e non deve avere, alla libera espressione del pensiero. Ammettere il principio dell’albo obbligatorio sarebbe un risuscitare i peggiori istituti delle caste e delle corporazioni chiuse, prone ai voleri dei tiranni e nemiche acerrime dei giovani, dei ribelli, dei non-conformisti”. Una previsione, quella del primo Presidente della Repubblica, che trova drammatico riscontro nella realtà odierna.
La legge istitutiva dell’Ordine dei giornalisti, che qui si intende abrogare, ha garantito non la libertà di stampa di tutti i cittadini, quindi, ma la libertà della stampa, intesa come corporazione giornalistica.
Il dettato costituzionale e la lettera stessa dell’articolo 21 della Costituzione (libertà di pensiero e di stampa) consentono a tutti i cittadini l'esercizio della libertà di stampa; la legge n. 69 del 1963 ha stabilito al contrario, che «nessuno può assumere il titolo, né esercitare la professione di giornalista, se non è iscritto nell'albo professionale».
Con la soppressione dell'Ordine della proposta di legge, che qui si illustra, viene a cadere un'anomalia italiana all'interno dell'Unione europea e si restituisce piena dignità professionale a chi svolge la professione di giornalista. Ogni singolo professionista risponde della sua capacità di esercitare la professione nei termini di legge: avremmo professionisti che non vedrebbero minato il loro diritto alla libertà di opinione od espressione semplicemente, perché un ordine impone, come etica collettiva, quella che invece dovrebbe essere un’ etica individuale.
Resta ovviamente salvo il diritto per ogni categoria di organizzarsi come ritiene più opportuno, ad esempio con associazioni di categoria o associazioni parasindacali, ma non tramite ordini, ai quali è obbligatorio iscriversi.
Nel resto d’Europa la professione è governata da logiche prevalentemente associativo-sindacali, anche se non mancano iniziative di regolazione professionale con il concorso di autorità pubbliche.
In Austria, Belgio, Danimarca, Finlandia, Germania, Grecia, Regno Unito il giornalismo non è considerata una professione. In Belgio, Francia, Norvegia, Portogallo è attività professionalizzata ma l’abilitazione è affidata alle organizzazioni sindacali, in alcuni casi attraverso commissioni miste in cui sono presenti gli editori (Belgio e Francia) o solo i giornalisti (Norvegia, Portogallo). In Austria, il titolo abilitante è rilasciato da una Commissione mista editori-giornalisti con il visto del Ministero degli Interni.
Rispetto all’Italia, nel resto d’Europa dunque il giornalismo non è considerato una libera professione alla stregua dell’avvocatura, della medicina, dell’ingegneria.
In particolare, in Francia l’attività giornalistica è regolamentata da norme di legge, con il rilascio di un documento di identificazione da parte di una commissione statale. Non esiste un Ordine professionale; per esercitare il lavoro di giornalista non viene richiesto un titolo di studio specifico, mentre è necessario aver svolto un periodo di praticantato di almeno due anni.
L’art. 762‑1 del codice del lavoro francese dà la definizione legale del giornalista. “Giornalista è colui che ha per professione principale, abituale e retribuita, l’esercizio della sua professione in una o più pubblicazioni, quotidiane e periodiche o in una o più agenzie di stampa e da cui ricava la sua entrata principale”. In conclusione l’esercizio della professione giornalistica in Francia è libero.
In Germania non è presente alcuna forma di regolazione della professione da parte dello Stato, né forme di protezione del titolo professionale di giornalista. Chiunque può titolarsi giornalista e può svolgere attività giornalistica professionalmente. Non è richiesto dalla legge alcun titolo di studio né generale né specifico.
Anche nel Regno Unito e in Irlanda la professione giornalistica non è sottoposta ad un controllo normativo di natura pubblica, mentre esistono associazioni private di categoria. Queste associazioni hanno una identità organizzativa complessiva a metà strada tra il sindacato e il club. Di fatto non è previsto un vincolo di adesione ad un’organizzazione specifica per l’esercizio della professione giornalistica, anche se le varie strutture associative mettono in atto specifiche iniziative di promozione e di tirocinio per i propri i scritti.
In sostanza si vede chiaramente che nel resto d’Europa l’attività giornalistica è concepita secondo logiche di mercato, associativo-sindacali e organizzative proprie delle aziende editoriali in cui viene svolto il lavoro vero e proprio. Da una parte gli editori, dall’altra i giornalisti (tutelati da uno o più sindacati). Lo Stato interviene in rari casi, partecipando alle commissioni che abilitano i giornalisti alla professione. In altri casi, come in Gran Bretagna o in Germania, lo Stato non c’entra affatto.
Conclusivamente, alle considerazioni già esposte in premessa si aggiunge quella ulteriore per la quale non si vede come possa sussistere un Ordine in aperto contrasto con gli indirizzi prevalenti in Europa circa la modalità della professione giornalistica.
La scarsa fiducia nella categoria dei giornalisti, che l’Ordine, recepito come un organismo che tutela i loro interessi corporativi, è poi un elemento che dovrebbe spingere verso il modello più avanzato europeo e aprire l’esercizio della professione a tutti coloro che la esercitano di fatto.
Il lungo dibattito sulla riforma dell’Ordine, dibattito che non è arrivato a nulla, dimostra probabilmente l’impossibilità di riformarlo, mentre il coraggio di proporne l'abolizione, unitamente al depotenziamento di posizioni di rendita e di potere di pochi comporterebbe di sicuro una maggiore responsabilizzazione di coloro che scrivono.
PROPOSTA DI LEGGE
Art. 1.
(Abrogazione)
1. La legge 3 febbraio 1963, n. 69, e successive modificazioni, sull'ordinamento della professione di giornalista, e il relativo regolamento di esecuzione, di cui al decreto del Presidente della Repubblica 4 febbraio 1965, n. 115, e successive modificazioni, sono abrogati.
Di Raffaele Lauro (del 10/12/2010 @ 16:52:28, in Il commento politico, linkato 429 volte)
COMUNICATO STAMPA DEL SEN. RAFFAELE LAURO (PdL)
(Senato, 10 dicembre 2010)
ORDINE GIORNALISTI. LAURO (PdL): Con l'abolizione dell'Ordine dei Giornalisti verrà a cadere un'anomalia tutta italiana all'interno dell'Unione Europea e si restituirà piena dignità professionale a chi svolge la professione di giornalista. Tornare alla rivoluzione liberale di Luigi Eiunaudi
Con un disegno di legge, in un unico articolo, presentato stamane al Senato, il sen. Raffaele Lauro (PdL) propone l'abolizione dell'Ordine dei Giornalisti, come disciplinato dalla legge n. 69 del 1963 e che compone quella parte della legislazione statale che, nel corso dei decenni, si è stratificata in materia di comunicazione e di informazione. Tale intento soppressivo deriva sostanzialmente dai profondi ed irreversibili mutamenti che i processi telematici e di Internet hanno determinato sul versante della liberalizzazione dei sistemi di comunicazione. La rivoluzione informatica, già nei fatti, ha determinato uno spostamento radicale dalla "materialità" della carta stampata al mondo del web, determinando di conseguenza anche concettualmente una coincidenza tra il concetto di libertà di stampa con quello di libertà di opinione. "La legge che propongo di abrogare - ha dichiarato Lauro - ha garantito e tutelato, fin dal suo nascere, più che la libertà di stampa, la stampa, intesa come corporazione giornalistica. Già nel 1945, Luigi Einaudi aveva levato la voce contro l’istituzione di un Ordine dei Giornalisti, definendo addirittura immorale un albo obbligatorio, perché avrebbe posto un limite a quel che limiti non ha, e non dovrebbe avere, cioè alla libera espressione del pensiero. Ammettere il principio dell’albo obbligatorio avrebbe resuscitato i peggiori istituti delle caste e delle corporazioni chiuse, prone ai voleri dei tiranni e nemiche acerrime dei giovani, dei ribelli, dei non-conformisti. Una previsione, quella di Einaudi, primo Presidente della Repubblica, che ha trovato drammatico riscontro nella realtà di questi decenni repubblicani, fino ad oggi. Il dettato costituzionale e la lettera stessa dell’articolo 21 della Costituzione (libertà di pensiero e di stampa) consentono a tutti i cittadini l'esercizio della libertà di stampa, mentre la legge n. 69 del 1963 ha stabilito il contrario, perchè nessuno può assumere il titolo, né esercitare la professione di giornalista, se non è iscritto nell'albo professionale." "Con l'abolizione dell'Ordine - ha aggiunto Lauro - verrà a cadere un'anomalia tutta italiana all'interno dell'Unione Europea e si restituirà piena dignità professionale a chi svolge la professione di giornalista. Ogni singolo professionista risponderà della sua capacità di esercitare la professione nei termini di legge. Avremo professionisti che non vedrebbero minato il loro diritto alla libertà di opinione od espressione, semplicemente perché un ordine impone, come etica collettiva, quella che invece dovrebbe essere un’etica individuale. Resterà ovviamente salvo il diritto per ogni categoria di organizzarsi come ritiene più opportuno, ad esempio con associazioni di categoria o associazioni parasindacali, ma non tramite ordini, ai quali è obbligatorio iscriversi." " Parliamo sempre di Europa, ma difendiamo tutte le vecchie logiche corporativistiche. Nel resto d’Europa - ha concluso Lauro -la professione è governata da logiche prevalentemente associativo-sindacali, anche se non mancano iniziative di regolazione professionale con il concorso di autorità pubbliche. In sostanza, si vede chiaramente che l’attività giornalistica è concepita secondo logiche di mercato, associativo-sindacali e organizzative proprie delle aziende editoriali, in cui viene svolto il lavoro vero e proprio. Da una parte gli editori, dall’altra i giornalisti (tutelati da uno o più sindacati). Lo Stato interviene in rari casi, partecipando alle commissioni che abilitano i giornalisti alla professione. In altri casi, come in Gran Bretagna o in Germania, lo Stato non c’entra affatto. Bisogna spingere verso il modello più avanzato europeo ed aprire l’esercizio della professione a tutti coloro che la esercitano di fatto. Il lungo dibattito sulla riforma dell’Ordine non è arrivato a nulla e dimostra probabilmente l’impossibilità di un'autoriforma. Solo con l'abrogazione della legge, unitamente al depotenziamento di posizioni di rendita e di potere di pochi, si otterrà anche una maggiore responsabilizzazione di coloro che scrivono."
--------ADNKRONOS, venerdì 10 dicembre 2010, 13.31.01
GIORNALISTI: LAURO (PDL) PRESENTA DISEGNO LEGGE PER ABOLIRE ORDINE
Roma, 10 dic. (Adnkronos) - Con un disegno di legge, in un unico
articolo, presentato oggi a Palazzo Madama, il senatore del Pdl,
Raffaele Lauro, propone l' abolizione dell' Ordine dei Giornalisti, come
disciplinato dalla legge n.69 del 1963. "La legge che propongo di
abrogare -spiega Lauro- ha garantito e tutelato, fin dal suo nascere,
piu' che la liberta' di stampa, la stampa, intesa come corporazione
giornalistica. Gia' nel 1945, Luigi Einaudi aveva levato la voce
contro l' istituzione di un Ordine dei giornalisti, definendo
addirittura immorale un albo obbligatorio, perche' avrebbe posto un
limite a quel che limiti non ha, e non dovrebbe avere, cioe' alla
libera espressione del pensiero''.
'' Ammettere il principio dell' albo obbligatorio -rimarca Lauro-
avrebbe resuscitato i peggiori istituti delle caste e delle
corporazioni chiuse, prone ai voleri dei tiranni e nemiche acerrime
dei giovani, dei ribelli, dei non-conformisti. Una previsione, quella
di Einaudi, primo Presidente della Repubblica, che ha trovato
drammatico riscontro nella realta' di questi decenni repubblicani,
fino ad oggi''.
'' Il dettato costituzionale -ricorda il senatore del Pdl- e la
lettera stessa dell' articolo 21 della Costituzione (liberta' di
pensiero e di stampa) consentono a tutti i cittadini l' esercizio della
liberta' di stampa, mentre la legge n. 69 del 1963 ha stabilito il
contrario, perche' nessuno puo' assumere il titolo, ne' esercitare la
professione di giornalista, se non e' iscritto nell' albo
professionale". (segue)
(Pol-Gkd/Col/Adnkronos)
10-DIC-10 13:23
Oggetto: GIORNALISTI: LAURO (PDL) PRESENTA DISEGNO LEGGE PER ABOLIRE ORDINE
(2)
ADNKRONOS, venerdì 10 dicembre 2010, 13.41.28
GIORNALISTI: LAURO (PDL) PRESENTA DISEGNO LEGGE PER ABOLIRE ORDINE (2)
(Adnkronos) - "Con l' abolizione dell' Ordine -ha aggiunto Lauro-
verra' a cadere un' anomalia tutta italiana all' interno dell' Unione
Europea e si restituira' piena dignita' professionale a chi svolge la
professione di giornalista. Restera' ovviamente salvo il diritto per
ogni categoria di organizzarsi come ritiene piu' opportuno, ad esempio
con associazioni di categoria o associazioni parasindacali, ma non
tramite ordini, ai quali e' obbligatorio iscriversi''.
'' Nel resto d' Europa, invece -fa notare il senatore Pdl- la
professione e' governata da logiche prevalentemente
associativo-sindacali, anche se non mancano iniziative di regolazione
professionale con il concorso di autorita' pubbliche".
"Bisogna, quindi, spingere verso il modello piu' avanzato
europeo -conclude Lauro- ed aprire l' esercizio della professione a
tutti coloro che la esercitano di fatto. Il lungo dibattito sulla
riforma dell' Ordine non e' arrivato a nulla e dimostra probabilmente
l' impossibilita' di un' autoriforma. Solo con l' abrogazione della
legge, unitamente al depotenziamento di posizioni di rendita e di
potere di pochi, si otterra' anche una maggiore responsabilizzazione
di coloro che scrivono".
(Pol-Gkd/Col/Adnkronos)
10-DIC-10 13:34
NNN
Odg, Lauro (Pdl): Con abolizione Ordine cade anomalia tutta italiana
Romac, 10 DIC (Il Velino) - Con un disegno di legge, in
un unico articolo, presentato stamane al Senato, il senatore
Raffaele Lauro (Pdl) propone l'abolizione dell'Ordine dei
Giornalisti, come disciplinato dalla legge n. 69 del 1963.
"La legge che propongo di abrogare - dichiara Lauro - ha
garantito e tutelato, fin dal suo nascere, piu' che la
liberta' di stampa, la stampa intesa come corporazione
giornalistica. Gia' nel 1945, Luigi Einaudi aveva levato la
voce contro l'istituzione di un Ordine dei Giornalisti,
definendo addirittura immorale un albo obbligatorio, perche'
avrebbe posto un limite a quel che limiti non ha e non
dovrebbe avere, cioe' alla libera espressione del pensiero".
"Ammettere il principio dell'albo obbligatorio - spiega Lauro
- avrebbe resuscitato i peggiori istituti delle caste e delle
corporazioni chiuse, prone ai voleri dei tiranni e nemiche
acerrime dei giovani, dei ribelli, dei non-conformisti. Una
previsione, quella di Einaudi, primo presidente della
Repubblica, che ha trovato drammatico riscontro nella realta'
di questi decenni repubblicani, fino ad oggi. Il dettato
costituzionale e la lettera stessa dell'articolo 21 della
Costituzione (liberta' di pensiero e di stampa) consentono a
tutti i cittadini l'esercizio della liberta' di stampa,
mentre la legge n. 69 del 1963 ha stabilito il contrario,
perche' nessuno puo' assumere il titolo, ne' esercitare la
professione di giornalista, se non e' iscritto nell'albo
professionale". "Con l'abolizione dell'Ordine - aggiunge
Lauro - verra' a cadere un'anomalia tutta italiana
all'interno dell'Unione Europea e si restituira' piena
dignita' professionale a chi svolge la professione di
giornalista. Restera' ovviamente salvo il diritto per ogni
categoria di organizzarsi come ritiene piu' opportuno, ad
esempio con associazioni di categoria o associazioni
parasindacali, ma non tramite ordini, ai quali e'
obbligatorio iscriversi. Nel resto d'Europa, invece, la
professione e' governata da logiche prevalentemente
associativo-sindacali, anche se non mancano iniziative di
regolazione professionale con il concorso di autorita'
pubbliche". "Bisogna quindi spingere verso il modello piu'
avanzato europeo ed aprire l'esercizio della professione a
tutti coloro che la esercitano di fatto. Il lungo dibattito
sulla riforma dell'ordine non e' arrivato a nulla e dimostra
probabilmente l'impossibilita' di un'autoriforma. Solo con
l'abrogazione della legge, unitamente al depotenziamento di
posizioni di rendita e di potere di pochi - conclude Lauro -
si otterra' anche una maggiore responsabilizzazione di coloro
che scrivono". (com/ant)
101406 DIC 10 NNNNGIORNALISTI: LAURO (PDL) PRESENTA DDL PER ABOLIZIONE ORDINE =
(AGI) - Roma, 10 dic - Con un disegno di legge, in un unico
articolo, presentato stamane al Senato, il senatore Raffaele
Lauro (PdL) propone l'abolizione dell'Ordine dei Giornalisti,
come disciplinato dalla legge n. 69 del 1963. "La legge che
propongo di abrogare - ha dichiarato Lauro - ha garantito e
tutelato, fin dal suo nascere, piu' che la liberta' di stampa,
la stampa, intesa come corporazione giornalistica. Gia' nel
1945, Luigi Einaudi aveva levato la voce contro l'istituzione
di un Ordine dei Giornalisti, definendo addirittura immorale un
albo obbligatorio, perche' avrebbe posto un limite a quel che
limiti non ha, e non dovrebbe avere, cioe' alla libera
espressione del pensiero. Ammettere il principio dell'albo
obbligatorio avrebbe resuscitato i peggiori istituti delle
caste e delle corporazioni chiuse, prone ai voleri dei tiranni
e nemiche acerrime dei giovani, dei ribelli, dei
non-conformisti. Una previsione, quella di Einaudi, primo
Presidente della Repubblica, che ha trovato drammatico
riscontro nella realta' di questi decenni repubblicani, fino ad
oggi. Il dettato costituzionale e la lettera stessa
dell'articolo 21 della Costituzione (liberta' di pensiero e di
stampa) consentono a tutti i cittadini l'esercizio della
liberta' di stampa, mentre la legge n. 69 del 1963 ha stabilito
il contrario, perche' nessuno puo' assumere il titolo, ne'
esercitare la professione di giornalista, se non e' iscritto
nell'albo professionale". "Con l'abolizione dell'Ordine - ha
aggiunto Lauro - verra' a cadere un'anomalia tutta italiana
all'interno dell'Unione Europea e si restituira' piena dignita'
professionale a chi svolge la professione di giornalista.
Restera' ovviamente salvo il diritto per ogni categoria di
organizzarsi come ritiene piu' opportuno, ad esempio con
associazioni di categoria o associazioni parasindacali, ma non
tramite ordini, ai quali e' obbligatorio iscriversi. Nel resto
d'Europa, invece, la professione e' governata da logiche
prevalentemente associativo-sindacali, anche se non mancano
iniziative di regolazione professionale con il concorso di
autorita' pubbliche". "Bisogna, quindi, spingere verso il
modello piu' avanzato europeo ed aprire l'esercizio della
professione a tutti coloro che la esercitano di fatto. Il lungo
dibattito sulla riforma dell'Ordine non e' arrivato a nulla e
dimostra probabilmente l'impossibilita' di un'autoriforma. Solo
con l'abrogazione della legge, unitamente al depotenziamento di
posizioni di rendita e di potere di pochi, si otterra' anche
una maggiore responsabilizzazione di coloro che scrivono"
conclude Lauro.(AGI)
Mal
101735 DIC 10
GIORNALISTI: LAURO (PDL) ABOLIRE L'ORDINE, E' UN'ANOMALIA
(ANSA) - ROMA, 10 DIC - Con un disegno di legge, in un unico
articolo, presentato stamane al Senato, il senatore del Pdl
Raffaele Lauro propone l'abolizione dell'Ordine dei Giornalisti,
disciplinato da una legge del 1963 perche' si difende ''una
corporazione'' ed e' ''un'anomalia italiana''.
''La legge che propongo di abrogare - spiega Lauro - ha
garantito e tutelato, fin dal suo nascere, piu' che la liberta'
di stampa, la stampa, intesa come corporazione giornalistica.
Gia' nel 1945, Luigi Einaudi aveva levato la voce contro
l'istituzione di un Ordine dei Giornalisti, definendo
addirittura immorale un albo obbligatorio, perche' avrebbe posto
un limite a quel che limiti non ha, e non dovrebbe avere, cioe'
alla libera espressione del pensiero. Ammettere il principio
dell'albo obbligatorio avrebbe resuscitato i peggiori istituti
delle caste e delle corporazioni chiuse, prone ai voleri dei
tiranni e nemiche acerrime dei giovani, dei ribelli, dei
non-conformisti''.
''Una previsione, quella di Einaudi, - sostiene Lauro - che ha
trovato drammatico riscontro nella realta' di questi decenni
repubblicani, fino ad oggi. Il dettato costituzionale e la
lettera stessa dell'articolo 21 della Costituzione (liberta' di
pensiero e di stampa) consentono a tutti i cittadini l'esercizio
della liberta' di stampa, mentre la legge n. 69 del 1963 ha
stabilito il contrario, perche' nessuno puo' assumere il titolo,
ne' esercitare la professione di giornalista, se non e' iscritto
nell'albo professionale''.
''Con l'abolizione dell'Ordine - sottolinea Lauro - verra' a
cadere un'anomalia tutta italiana all'interno dell'Unione
Europea e si restituira' piena dignita' professionale a chi
svolge la professione di giornalista. Restera' ovviamente salvo
il diritto per ogni categoria di organizzarsi come ritiene piu'
opportuno, ad esempio con associazioni di categoria o
associazioni parasindacali, ma non tramite ordini, ai quali e'
obbligatorio iscriversi. (ANSA).
SES
10-DIC-10 19:07 NNNN