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DDL Lauro per abolizione ordine dei giornalisti (senato, 10 dicembre 2010)
Di Raffaele Lauro (del 10/12/2010 @ 16:48:25, in Il commento politico, linkato 614 volte)
SENATO DELLA REPUBBLICA AS .... ———– XVI LEGISLATURA ———– DISEGNO DI LEGGE d’iniziativa del senatore LAURO ———– Abrogazione dell'ordine dei giornalisti ———– Onorevoli senatori. - Il disegno di legge pone all'attenzione del Senato la soppressione dell'ordine dei giornalisti, come disciplinato dalla legge n. 69 del 1963 e che compone quella parte della legislazione statale che nel corso dei decenni si è stratificata in materia di comunicazione e di informazione. Tale intento soppressivo deriva sostanzialmente dai profondi ed irreversibili mutamenti che i processi telematici e di Internet hanno determinato sul versante della liberalizzazione dei sistemi di comunicazione. La rivoluzione informatica, già nei fatti, ha determinato uno spostamento radicale dalla "materialità" della carta stampata al mondo del web, determinando di conseguenza anche concettualmente una coincidenza tra il concetto di libertà di stampa con quello di libertà di opinione. Se questo è il processo in atto, in fase già avanzata, allora la difesa dell'ordine dei giornalisti, così come il permanere delle provvidenze a favore dell'editoria ed anche l'attuale assetto della RAI, concessionaria del servizio pubblico radiotelevisivo, risultano essere ormai strumenti obsoleti da superare. Per quanto riguarda l'ordine dei giornalisti, la legge istitutiva che qui si intende abrogare, a parere del presentatore, ma anche di una vasta porzione di opinione pubblica, ha garantito e tutelato, fin dal suo nascere, più che la libertà di stampa, la stampa, intesa come «corporazione» giornalistica. Già nel 1945, dalle colonne di "Risorgimento liberale", Luigi Einaudi aveva levato la sua voce contro l’istituzione di un ordine dei giornalisti: “L’albo obbligatorio è immorale, perché tende a porre un limite a quel che limiti non ha, e non deve avere, alla libera espressione del pensiero. Ammettere il principio dell’albo obbligatorio sarebbe un risuscitare i peggiori istituti delle caste e delle corporazioni chiuse, prone ai voleri dei tiranni e nemiche acerrime dei giovani, dei ribelli, dei non-conformisti”. Una previsione, quella del primo Presidente della Repubblica, che trova drammatico riscontro nella realtà odierna. La legge istitutiva dell’Ordine dei giornalisti, che qui si intende abrogare, ha garantito non la libertà di stampa di tutti i cittadini, quindi, ma la libertà della stampa, intesa come corporazione giornalistica. Il dettato costituzionale e la lettera stessa dell’articolo 21 della Costituzione (libertà di pensiero e di stampa) consentono a tutti i cittadini l'esercizio della libertà di stampa; la legge n. 69 del 1963 ha stabilito al contrario, che «nessuno può assumere il titolo, né esercitare la professione di giornalista, se non è iscritto nell'albo professionale». Con la soppressione dell'Ordine della proposta di legge, che qui si illustra, viene a cadere un'anomalia italiana all'interno dell'Unione europea e si restituisce piena dignità professionale a chi svolge la professione di giornalista. Ogni singolo professionista risponde della sua capacità di esercitare la professione nei termini di legge: avremmo professionisti che non vedrebbero minato il loro diritto alla libertà di opinione od espressione semplicemente, perché un ordine impone, come etica collettiva, quella che invece dovrebbe essere un’ etica individuale. Resta ovviamente salvo il diritto per ogni categoria di organizzarsi come ritiene più opportuno, ad esempio con associazioni di categoria o associazioni parasindacali, ma non tramite ordini, ai quali è obbligatorio iscriversi. Nel resto d’Europa la professione è governata da logiche prevalentemente associativo-sindacali, anche se non mancano iniziative di regolazione professionale con il concorso di autorità pubbliche. In Austria, Belgio, Danimarca, Finlandia, Germania, Grecia, Regno Unito il giornalismo non è considerata una professione. In Belgio, Francia, Norvegia, Portogallo è attività professionalizzata ma l’abilitazione è affidata alle organizzazioni sindacali, in alcuni casi attraverso commissioni miste in cui sono presenti gli editori (Belgio e Francia) o solo i giornalisti (Norvegia, Portogallo). In Austria, il titolo abilitante è rilasciato da una Commissione mista editori-giornalisti con il visto del Ministero degli Interni. Rispetto all’Italia, nel resto d’Europa dunque il giornalismo non è considerato una libera professione alla stregua dell’avvocatura, della medicina, dell’ingegneria. In particolare, in Francia l’attività giornalistica è regolamentata da norme di legge, con il rilascio di un documento di identificazione da parte di una commissione statale. Non esiste un Ordine professionale; per esercitare il lavoro di giornalista non viene richiesto un titolo di studio specifico, mentre è necessario aver svolto un periodo di praticantato di almeno due anni. L’art. 762‑1 del codice del lavoro francese dà la definizione legale del giornalista. “Giornalista è colui che ha per professione principale, abituale e retribuita, l’esercizio della sua professione in una o più pubblicazioni, quotidiane e periodiche o in una o più agenzie di stampa e da cui ricava la sua entrata principale”. In conclusione l’esercizio della professione giornalistica in Francia è libero. In Germania non è presente alcuna forma di regolazione della professione da parte dello Stato, né forme di protezione del titolo professionale di giornalista. Chiunque può titolarsi giornalista e può svolgere attività giornalistica professionalmente. Non è richiesto dalla legge alcun titolo di studio né generale né specifico. Anche nel Regno Unito e in Irlanda la professione giornalistica non è sottoposta ad un controllo normativo di natura pubblica, mentre esistono associazioni private di categoria. Queste associazioni hanno una identità organizzativa complessiva a metà strada tra il sindacato e il club. Di fatto non è previsto un vincolo di adesione ad un’organizzazione specifica per l’esercizio della professione giornalistica, anche se le varie strutture associative mettono in atto specifiche iniziative di promozione e di tirocinio per i propri i scritti. In sostanza si vede chiaramente che nel resto d’Europa l’attività giornalistica è concepita secondo logiche di mercato, associativo-sindacali e organizzative proprie delle aziende editoriali in cui viene svolto il lavoro vero e proprio. Da una parte gli editori, dall’altra i giornalisti (tutelati da uno o più sindacati). Lo Stato interviene in rari casi, partecipando alle commissioni che abilitano i giornalisti alla professione. In altri casi, come in Gran Bretagna o in Germania, lo Stato non c’entra affatto. Conclusivamente, alle considerazioni già esposte in premessa si aggiunge quella ulteriore per la quale non si vede come possa sussistere un Ordine in aperto contrasto con gli indirizzi prevalenti in Europa circa la modalità della professione giornalistica. La scarsa fiducia nella categoria dei giornalisti, che l’Ordine, recepito come un organismo che tutela i loro interessi corporativi, è poi un elemento che dovrebbe spingere verso il modello più avanzato europeo e aprire l’esercizio della professione a tutti coloro che la esercitano di fatto. Il lungo dibattito sulla riforma dell’Ordine, dibattito che non è arrivato a nulla, dimostra probabilmente l’impossibilità di riformarlo, mentre il coraggio di proporne l'abolizione, unitamente al depotenziamento di posizioni di rendita e di potere di pochi comporterebbe di sicuro una maggiore responsabilizzazione di coloro che scrivono. PROPOSTA DI LEGGE Art. 1. (Abrogazione) 1. La legge 3 febbraio 1963, n. 69, e successive modificazioni, sull'ordinamento della professione di giornalista, e il relativo regolamento di esecuzione, di cui al decreto del Presidente della Repubblica 4 febbraio 1965, n. 115, e successive modificazioni, sono abrogati.
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