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Di seguito tutti gli interventi pubblicati sul sito, in ordine cronologico.
 
 
SENATO DELLA REPUBBLICA AS .... ———– XVI LEGISLATURA ———– DISEGNO DI LEGGE d’iniziativa del senatore LAURO ———– Contratto di mutuo sostegno ———– Onorevoli colleghi. - 1. Gli ordinamenti giuridici non possono essere considerati come un’architettura immobile o cristallizzata nel tempo, rispetto all’evoluzione della società, che spesso si articola in forme nuove e consolidate di comunità di persone. Per tale ragione, queste forme diventano meritevoli di tutela da parte del legislatore. Ciò risulta tanto più evidente in presenza di una legge fondamentale, la nostra Costituzione repubblicana, che, nei suoi principi fondamentali, promuove il valore relazionale delle persone e la loro capacità di contribuire, attraverso le formazioni sociali, alla vita e alla crescita della comunità nazionale, e solennemente stabilisce, all’articolo 2, che “La Repubblica riconosce e garantisce i diritti inviolabili dell’uomo, sia come singolo sia nelle formazioni sociali dove si svolge la sua personalità, e richiede l’adempimento dei doveri inderogabili di solidarietà politica, economica e sociale.” Il ritardo, talora miope ed ostinato, derivante talvolta da falsi pregiudizi ideologici e moralistici, mostrato finora dal legislatore, come nel caso della mancata disciplina delle unioni di fatto, rischia, se dovesse persistere, di ampliare il divario tra le Istituzioni ed i cittadini, tra lo Stato e la comunità nazionale, tra la Repubblica democratica e la società civile. Né può valere oltre l’obiezione che un tale disciplina possa costituire un attentato all’istituto della famiglia, che rimane il fondamento dell’organizzazione sociale, tutelato dalla Costituzione, all’articolo 29. La nostra Costituzione, infatti, nei principi fondamentali che la ispirano, mostra, a tal riguardo, una modernità veramente stupefacente, ed offre, con l’articolo 2, uno spazio costituzionale idoneo, confermato dalla più recente giurisprudenza costituzionale, affinché la regolamentazione delle unioni di fatto possa essere inquadrata nello spirito delle formazioni sociali, senza ledere o minacciare l’insostituibile istituto della famiglia, provvedendo, nel contempo, a tutelare diritti costituzionalmente garantiti, che riguardano le persone, e ponendo fine ad una discriminazione tra cittadini di serie A e cittadini di serie B, confinati finora nel ghetto dell’autonomia negoziale, senza che la stabilità del rapporto affettivo, disciplinato privatisticamente, meriti un successivo riconoscimento pubblico, con effetti extracontrattuali e validi erga omnes. Si tratta di una discriminazione non più tollerabile in una democrazia, non formale, incentrata sulla dignità della persona e sulla tutela dei suoi diritti fondamentali. 2. Nell'ambito del generale fenomeno della convivenza, è possibile individuare una molteplicità di tipologie, anche se quanti si occupano di schemi familiari distinguono due tipologie principali: forme giuridiche presuntive e forme giuridiche opzionali. Nelle forme giuridiche opzionali il riconoscimento della famiglia alternativa richiede che i partner pubblicizzino questa loro necessità, da cui discende la presenza di una registrazione di questa forma familiare con le modalità più disparate. Al contrario, nelle forme giuridiche presuntive, non vi è necessità di dare pubblicità alla sussistenza della relazione di fatto, ma è il diritto che, in presenza di certi requisiti, come ad esempio la coabitazione per un certo numero di anni, attribuisce ai partner diritti reciproci e nei confronti dello Stato. La forma giuridica presuntiva è stata scelta dagli ordinamenti che avevano maggior timore di non tutelare il partner debole della coppia, dato che nella forma giuridica opzionale bisogna comunque addivenire ad una registrazione consensuale, mentre in quella presuntiva è sufficiente una situazione di fatto, cioè il fare coppia. L'esistenza di una relazione affettivo-sessuale distingue le forme giuridiche alternative al matrimonio da quelle che invece sono considerate unioni di mutuo soccorso, che possono sussistere, ad esempio, tra partner anziano e partner giovane o tra studenti coabitanti. Spesso gli ordinamenti ignorano quale tipo di rapporti personali debbano esistere. Tale silenzio lascia intendere il massimo rispetto della libertà personale. In ogni caso, al di là dei reciproci rapporti patrimoniali e personali che si vengono (o si possono venire) a creare fra i partner dei nuclei familiari strutturati secondo le nuove forme giuridiche qui in esame, l'accesso a tali nuove forme familiari comporta anche che tali partner beneficino, nei confronti dello Stato, di alcuni diritti che l'ordinamento statale dapprima riconosceva solamente ai coniugi, ovvero alle coppie di fatto. Si tratta, ad esempio, del diritto di beneficiare del medesimo trattamento fiscale di una coppia di coniugi ovvero di alcuni diritti riconosciuti ai pubblici dipendenti rispetto ad avvenimenti relativi all'altro coniuge (permesso per morte o malattia grave del partner, riduzione dell'orario di lavoro in caso di partner incapace). Quanto ai rapporti di filiazione, i primi esperimenti di schemi familiari alternativi al matrimonio, quelli danese, olandese e dei Paesi scandinavi, non contenevano disposizioni in materia di rapporto di filiazione nella partnership registrata. Però oggi la tendenza si è invertita: gli ordinamenti della Germania, dell'Olanda e della Danimarca, con alcune modifiche, e anche la recente disciplina inglese della partnership, tutti prevedono, ormai, la possibilità per i partner, anche se non uniti in matrimonio, di ricorrere all'istituto dell'adozione sia di un bambino esterno alla coppia, terzo rispetto alla coppia, sia del bambino dell'altro partner. In riferimento allo scioglimento del rapporto, vi è un'assoluta valorizzazione della volontà delle parti. Basta la semplice dichiarazione di volontà di uno dei partner per sciogliere, ad esempio, il PACS francese o la partnership registrata danese. L'ordinamento tedesco è un po' più rigoroso, in quanto occorre aspettare da uno a tre anni prima dello scioglimento. Dal punto di vista patrimoniale, in caso di scioglimento del rapporto, quasi tutti gli ordinamenti dettano una disciplina ad hoc a tutela del partner più debole. Soltanto l'ordinamento francese rimette anche i rapporti patrimoniali conseguenti allo scioglimento del rapporto all'autonomia delle parti, sebbene vi sia un certo intervento del giudice. I Paesi scandinavi sono stati tra i primi in Europa a prevedere una disciplina in materia di unioni di fatto. Tra le varie possibilità di regolamentazione di tale tipo di rapporti, la soluzione prescelta è stata quella di introdurre un nuovo istituto, quello delle unioni o convivenze registrate, destinato alle coppie omosessuali. Matrimonio e unione registrata, dunque, sebbene formalmente distinti, ricevono una regolamentazione che è sostanzialmente identica. In particolare, la Danimarca è stato il primo Paese europeo a dare la possibilità a due persone dello stesso sesso di registrare la loro unione, in seguito all'adozione della legge 7 giugno 1989, n. 372 ("Lov om registreret partnerskab"). Mediante un generale rinvio alle disposizioni del diritto danese riguardanti il matrimonio, la legge in esame garantisce alle coppie che hanno provveduto a registrare la propria unione gli stessi diritti riconosciuti alle coppie sposate. Le eccezioni riguardano principalmente il diritto alla fecondazione assistita e all'adozione. Le coppie la cui unione è stata registrata non possono infatti adottare insieme un bambino. Tuttavia, è consentita l'adozione, da parte di uno dei partner, del figlio che l'altro partner abbia avuto dalla relazione con un soggetto terzo. Non vi è invece una disciplina generale in materia di convivenza informale, anche se alcune disposizioni normative specifiche vi ricollegano taluni effetti giuridici . In Islanda, l'unione registrata tra due persone dello stesso sesso è stata introdotta dalla legge 4 giugno 1996, n. 87 ("Lög um staðfesta stamvit"), anch'essa sostanzialmente identica alla legge danese. L'unione, che può riguardare esclusivamente due persone dello stesso sesso, è registrata da un giudice, nel corso di una cerimonia analoga a quella prevista per il matrimonio fra due persone di sesso diverso. A differenza di quanto avviene in Danimarca, a partire dal 2006 le coppie omosessuali islandesi hanno accesso all'adozione e alla fecondazione assistita. In Finlandia, dal 2002 (legge 9 novembre 2001, n. 950 - "Laki rekisteröidystä parisuhteesta") è possibile l'unione registrata di due persone dello stesso sesso di età superiore ai 18 anni: le coppie possono usufruire della maggior parte dei diritti matrimoniali, tra cui il diritto all'eredità, al divorzio e all'adozione. Anche in Finlandia l'unione registrata è possibile solo fra persone dello stesso sesso. La Norvegia e la Svezia avevano inizialmente leggi sulla unione registrata, analoghe a quella danese (in Norvegia, la legge 30 aprile 1993, n. 40 ("Lov om registrert partnerskap"; in Svezia, la legge 23 giugno 1994 ["Lag (1994:1117) om registrerat partnerskap"]). Tali leggi sono state abrogate nel momento in cui i suddetti paesi hanno introdotto il matrimonio tra persone dello stesso sesso. In Svezia è tuttora in vigore la legge sulla convivenza domestica del 2003. Per conviventi si intendono due persone che vivono insieme come coppia in maniera stabile e che possiedono un'abitazione comune. La legge si applica dunque sia alle coppie di sesso differente che a quelle dello stesso sesso. La legge in questione adotta un sistema presuntivo: essa si applica dunque indipendentemente dal compimento di atti formali, per il solo fatto della sussistenza di una convivenza. Essa disciplina i profili patrimoniali del rapporto tra i conviventi e, in particolare, il regime dei beni comuni in costanza di convivenza e successivamente alla fine della stessa. L'istituto giuridico della "convivenza registrata" (eigentragene Lebenspartnerschaft) è stato introdotto in Germania dalla legge per la cessazione della discriminazione nei confronti delle coppie o dei conviventi dello stesso sesso ("Gesetz zur Beendigung der Diskriminierung gleichgeschlechtlicher Gemeinschaften: Lebenspartnerschaften") del 16 febbraio 2001, entrata in vigore il 1 agosto successivo. Analogamente a quanto previsto negli ordinamenti scandinavi, la legge tedesca sulla convivenza registrata è rivolta esclusivamente a coppie omosessuali, legate da un rapporto affettivo-sessuale. La legge sulla convivenza registrata non equipara a tutti gli effetti la convivenza al matrimonio, pur applicando alle persone che decidono di costituire tale forma di convivenza disposizioni analoghe a quelle contenute nel codice civile per la disciplina del matrimonio. Perché due persone dello stesso sesso possano dar vita ad una convivenza registrata, devono dichiarare reciprocamente, personalmente e in contemporanea presenza dinanzi all'autorità competente, di voler condurre una convivenza a vita. Come i coniugi uniti in matrimonio, anche i conviventi hanno un obbligo di assistenza e sostegno reciproci, nonché di organizzazione della vita in comune. La convivenza registrata conferisce gli stessi diritti del matrimonio in materia di cittadinanza (ad esempio la procedura agevolata per ottenere la naturalizzazione) e assicura il diritto alla ricongiunzione per le coppie conviventi straniere. In Lussemburgo, la legge 9 luglio 2004 riconosce taluni effetti giuridici ad alcune forme di unione, anche alle coppie dello stesso sesso, registrate presso l'ufficiale di stato civile della città di residenza. La normativa lussemburghese presenta dunque una prima differenza rispetto a tutte quelle esaminate finora, in quanto introduce un istituto al quale possono fare ricorso anche le coppie costituite da soggetti di sesso diverso. In Svizzera, il 18 giugno 2004 è stata approvata la "Legge federale sull'unione domestica registrata di coppie omosessuali" (LUD): approvata anche dal referendum del giugno 2005, essa è entrata in vigore il 1 gennaio 2007. È stabilito che due persone dello stesso sesso possono far registrare ufficialmente la loro unione domestica. In tal modo si uniscono in una comunione di vita con diritti e doveri reciproci. Il loro stato civile è "in unione domestica registrata". Anche la Francia ha optato per l'introduzione di un istituto governato da una disciplina autonoma e differente da quella del matrimonio. Esso è caratterizzato dall'importante ruolo demandato all'autonomia negoziale dei soggetti coinvolti. La legge n. 99-944 del 15 novembre 1999 definisce la nuova forma di unione - il patto civile di solidarietà (PACS) - come un contratto concluso tra due persone maggiorenni, dello stesso sesso o di sesso diverso, al fine di organizzare la loro vita in comune (art. 515-1 del codice civile). L'art. 1 della legge introduce nel libro I del codice civile un Titolo XII intitolato "Du pacte civil de solidarité e du concubinage". Pena la nullità assoluta, il patto civile di solidarietà non può essere concluso tra persone già sposate o legate da un precedente PACS e tra ascendenti e discendenti in linea retta, tra parenti in linea retta e tra collaterali, sino al terzo grado incluso (circostanza che già di per sé esclude che il PACS possa essere considerato come un mero strumento di mutua assistenza). Il PACS comporta una serie di obblighi: i partners si impegnano in primo luogo a condurre una vita in comune, che, come ha precisato il Conseil constitutionnel, non consisterebbe solo nella "comunione di interessi" ("communauté d'intérêts") e nell'"esigenza di coabitazione", ma soprattutto nella "residenza in comune" e nella "vita di coppia" ("véritable vie de couple"). Anche tale circostanza sottolinea come il PACS sia ricondotto all'ambito delle relazioni affettivo-sessuali e non alle mere unioni di mutuo soccorso. I partner assumono altresì l'impegno all'assistenza reciproca e all'aiuto materiale. I partner sono solidalmente responsabili nei confronti dei terzi per le obbligazioni assunte da ciascuno di loro per soddisfare i bisogni della vita quotidiana. La solidarietà non si applica in caso di spese manifestamente eccessive. Salvo patto contrario, ciascun partner conserva l'amministrazione, il godimento e la disponibilità dei propri beni personali. Ciascuno resta obbligato per le obbligazioni personali sorte precedentemente o durante il patto. Il PACS differisce dalla convivenza, definita dall'art. 518-1 del codice civile francese "un'unione di fatto, caratterizzata dalla vita in comune, stabile e continuativa, tra due persone di sesso differente o dello stesso sesso, che vivono in coppia". Alla convivenza sono ricollegati effetti giuridici più limitati (ad esempio, in campo previdenziale). Il Portogallo ha optato per un sistema in cui, indipendentemente dalla sottoscrizione di un atto formale, i conviventi, al verificarsi di determinate circostanza previste dalla legge, si vedono riconosciuti una serie di diritti. Nel 2001 sono state approvate due leggi che hanno disciplinato, rispettivamente, le situazioni giuridiche della "economia comune" ("Lei n. 6/2001, de 11 de maio, adopta medidas de protecção das pessoas que vivam em economia comun") e della "unione di fatto" ("Lei n. 7/2001, de 11 de maio, adopta medidas de protecção das uniões de facto"). La legge n. 6 del 2001 si applica alle persone che, da più di due anni, vivono in "economia comune", definita come la situazione di persone che vivano in comunione di vitto e alloggio da più di due anni ed abbiano stabilito un genere di vita comune basato sull'assistenza reciproca o la ripartizione delle risorse. La legge n. 7 del 2001 intende, a sua volta, regolamentare "la situazione giuridica di due persone, indipendentemente dal sesso, che vivano un'unione di fatto da più di due anni". Mentre l'economia comune rientra nell'ambito delle unioni di mutuo soccorso, l'unione di fatto costituisce una relazione affettivo-sessuale. Si segnala che l'Assembleia da Repùblica portoghese ha recentemente approvato una legge che introduce il matrimonio tra persone dello stesso sesso, che si affianca - senza sostituirle - alle due leggi di cui si è dato conto. In Gran Bretagna, nel novembre 2004, è stato approvato il Civil Partnership Act, entrato in vigore il 5 dicembre 2005, il cui scopo è quello di consentire a partner dello stesso sesso di ottenere il riconoscimento legale del proprio rapporto attraverso la costituzione di un'unione registrata. La legge in questione è estremamente complessa, in considerazione della tecnica normativa propria del sistema giuridico in esame, che è sempre estremamente dettagliata, e della struttura del Regno Unito, che richiede l'adattamento dei singoli istituti alle peculiarità degli ordinamenti anglo-gallese, nord-irlandese e scozzese. L'Adoption and Children Act del 2002 prevede la possibilità di acquisire la parental responsibility (cioè, sostanzialmente il potere di concorrere ad adottare tutte le decisioni necessarie alla crescita e all'educazione di un minore) sul figlio del partner, qualora quest'ultimo sia a sua volta titolare di tale potestà, sia d'accordo e vi sia anche l'accordo dell'altro genitore. La Law Commission, organo preposto a segnalare al Parlamento l'esigenza di modifiche legislative, sta attualmente conducendo uno studio sull'opportunità di riconoscere formalmente una serie di diritti alle coppie di conviventi che non siano sposati né abbiano sottoscritto una civil partnership. La soluzione adottata più di recente da alcuni ordinamenti è stata quella di ampliare l'istituto del matrimonio, trasformandolo da un'unione tra un uomo e una donna in un'unione tra due persone. Al contrario delle esperienze esaminate finora, non vi è una duplicazione di istituti, ma un unico istituto - il matrimonio - valido per eterosessuali e omosessuali. Al matrimonio, vengono poi eventualmente affiancate altre forme di convivenza, anch'esse accessibili indipendentemente dal sesso dei partner. I Paesi Bassi, con la legge 21 dicembre 2000, entrata in vigore il 1 aprile del 2001, sono stati il primo paese al mondo a riconoscere il matrimonio tra persone dello stesso sesso. Attualmente, le coppie olandesi, indipendentemente dal fatto che siano composte da persone di sesso diverso o dello stesso sesso, hanno a disposizione quattro opzioni: 1) matrimonio; 2) unione registrata (ai sensi della legge 5 luglio 1997); 3) contratto di coabitazione; 4) convivenza non formalizzata. Matrimonio e unione registrata, disciplinati dal codice civile, sono entrambi riconducibili alle relazioni affettivo-sessuali. Conseguentemente, tali istituti sono applicabili solo a coppie (nel senso di unioni formate da non più di due soggetti). Inoltre, i partner devono avere stato libero e non essere legati da rapporti di parentela. Da entrambi i rapporti derivano obblighi di assistenza reciproca e la creazione di rapporti di affinità con i parenti del partner. In entrambe i casi è prevista la possibilità di adottare, indipendentemente dal fatto che i partner siano di sesso diverso o dello stesso sesso (salvo il caso di adozione internazionale, per la quale esistono regole particolari). Il contratto di coabitazione può invece avere il contenuto più vario ed essere dunque riconducibile all'ambito delle relazioni affettivo-sessuali o a quello delle unioni di mutuo soccorso, a seconda delle esigenze dei contraenti (tanto che il contratto può essere anche plurilaterale). I partner possono poi ovviamente scegliere di non formalizzare la propria unione, ma anche in questi casi la giurisprudenza e specifiche disposizioni di legge riconoscono vari diritti. In Belgio, in un primo momento, la legge 23 novembre 1998, entrata in vigore il 1° gennaio 2000, ha istituito la convivenza legale (cohabitation légale), inserendo nel Libro III del Codice civile un nuovo Titolo V bis, intitolato appunto "Della convivenza legale", composto dagli artt. da 1475 a 1479. Le disposizioni in esame non fanno riferimento al sesso del partner, lasciando dunque aperta la possibilità che vi possano ricorrere anche coppie omosessuali. Per "convivenza legale" si intende la situazione di vita comune di due persone che hanno fatto una espressa dichiarazione. Inoltre, la legge 13 febbraio 2003 ha autorizzato il matrimonio tra persone dello stesso sesso, modificando alcune disposizioni del codice civile. La legge 18 maggio 2006 ("Loi modifiant certaines dispositions du Code civil en vue de permettre l'adoption par des personnes de même sexe") ha reso infine possibile l'adozione per le coppie sposate o conviventi legali, indipendentemente dal sesso. In Spagna, a partire dal 1998, in assenza di una normativa nazionale che disciplinasse le unioni al di fuori del matrimonio, le singole regioni hanno iniziato a legiferare in materia di unioni di fatto, considerando tale aspetto come rientrante tra le competenze proprie di diritto civile, con riferimento particolare alla registrazione dello stato civile, nonché di autoorganizzazione della funzione pubblica. La Catalogna è stata la prima regione ad approvare, nel 1998, una legge sulle unioni stabili di coppia. La legge catalana è divisa in due parti, la prima concernente la unione stabile eterosessuale e la seconda relativa alla unione stabile omosessuale. Dopo la Catalogna altre undici regioni spagnole hanno approvato leggi sulle unioni di fatto, per un totale di 12 regioni su 17. In particolare, si tratta dell'Aragona nel 1999, la Navarra nel 2000, la Comunità di Valencia, le Isole Baleari e la Comunità di Madrid nel 2001, le Asturie e l'Andalusia nel 2002, le Canarie , l'Estremadura ed i Paesi Baschi nel 2003, la Cantabria nel 2005. Non tutte le regioni hanno utilizzato le stesse espressioni. Dopo le "unioni stabili di coppia" (uniones estables de pareja) della Catalogna e le "coppie stabili non sposate" (parejas estables no casadas) dell'Aragona, hanno prevalso le "unioni di fatto" (uniones de hecho) della Comunità di Valencia e di Madrid, le "coppie stabili" (parejas estables) della Navarra, delle isole Baleari e delle Asturie e le "coppie di fatto" (parejas de hecho) dell'Andalusia, delle Canarie, dell'Estremadura, dei Paesi baschi e della Cantabria. In tutti i casi, vi è una definizione univoca del tipo di unione, che lega due persone adulte, indipendentemente dal sesso e dall'orientamento sessuale, con divieto di ogni forma di discriminazione. Talora è richiesto il requisito della convivenza minima per uno o due anni, ai fini dell'iscrizione in appositi registri. Il matrimonio tra persone dello stesso sesso è entrato di recente nell'ordinamento giuridico spagnolo a seguito dell'approvazione della legge 1 luglio 2005 n. 13, con la quale si modifica il codice civile in materia di diritto a contrarre matrimonio, sostituendo i termini "marito e moglie" con "i coniugi" e le parole "padre e madre" con "genitori". Il matrimonio avrà gli stessi requisiti ed effetti nel caso in cui i contraenti siano dello stesso sesso o di sesso opposto. La legge stabilisce che tutti i diritti e i doveri che hanno le coppie formate da persone di sesso diverso sono estesi anche alle coppie di persone dello stesso sesso che decidono di sottoscrivere un contratto di fronte ad un ufficiale di stato civile. Le modifiche consentono l'adozione congiunta da parte delle coppie omosessuali, o la co-adozione, cioè l'adozione da parte del coniuge della madre o del padre del bambino. In Norvegia, il 1 gennaio 2009 è entrata in vigore la legge che ammette le coppie formate da persone dello stesso sesso a contrarre matrimonio, con le stesse modalità previste per le persone eterosessuali. In Svezia, dal 1 maggio 2009, la legislazione in materia di matrimonio non fa più alcun riferimento al genere dei nubendi e la legislazione in materia di unioni registrate è stata abrogata (rimane in vigore quella sulla convivenza). Anche in Portogallo è stata approvata una legge che autorizza il matrimonio tra persone dello stesso sesso. In Islanda, il Parlamento ha recentemente approvato una legge che introduce il matrimonio tra persone dello stesso sesso. Dopo che l'Austria ha approvato il disegno di legge governativo che riconosce le unione registrate tra persone dello stesso sesso (entrato in vigore il 1 gennaio 2010), attualmente, in Europa occidentale, gli unici Paesi che hanno scelto di non introdurre ancora una disciplina in materia di coppie di fatto sono, oltre all'Italia, l'Irlanda e la Grecia. In Irlanda, tuttavia, l'opportunità di introdurre provvedimenti legislativi in materia di convivenza è stata negli ultimi anni all'esame della Law Reform Commission (autorità preposta a segnalare al Parlamento l'esigenza di legiferare in determinate materie) che, nel dicembre 2006, ha pubblicato un rapporto ed una bozza di disegno di legge che riconosce la convivenza e conferisce una serie di diritti alle coppie di conviventi, indipendentemente dal fatto che essi siano di sesso diverso o dello stesso sesso. Un disegno di legge governativo in tale senso è attualmente all'esame del Parlamento. Infine, occorre ricordare che in Argentina, il 15 luglio 2010, il Senato ha definitivamente approvato un disegno di legge recante modifiche al codice civile in materia di matrimonio di coppie formate da persone dello stesso sesso. Analogamente a quanto recentemente accaduto in altri Paesi (da ultimi, Portogallo e Islanda), anche la legge argentina modifica le disposizioni codicistiche in materia di matrimonio, sostituendo alle parole "marito e moglie" il termine "contraenti". Viene inoltre chiarito espressamente che requisiti ed effetti del matrimonio sono gli stessi, indipendentemente dal fatto che i contraenti siano di sesso diverso o dello stesso sesso. I coniugi dello stesso sesso pertanto potranno adottare. Non è stato necessario modificare la legge sull'adozione, in quanto questa impiegava già il termine neutro "coniugi", ma la legge appena approvata introduce espresse modifiche al codice civile, ad esempio sul cognome del figlio adottivo di genitori dello stesso sesso. 3. In Italia, appare ormai non più rinviabile una piena assunzione di responsabilità, da parte del Parlamento, affinché sia introdotta una normativa in materia, equilibrata e coerente con il nostro sistema costituzionale. D'altra parte, la giurisprudenza ha in più occasioni affermato che spetta proprio al legislatore colmare quella che è ormai avvertita da molti come una lacuna dell'ordinamento, attesa la rilevanza sociale delle unioni di fatto, diverse da quelle fondate sul matrimonio. Nella recentissima sentenza n. 138 del 2010, la Corte costituzionale ha affermato la rilevanza costituzionale delle unioni omosessuali, in quanto "formazioni sociali", di cui all'articolo 2 della Carta, che prescrive che alla persona debbano essere riconosciuti diritti inviolabili e imposti doveri inderogabili, sia come singolo sia nelle formazioni sociali, in cui si svolge la sua personalità. Alle persone dello stesso sesso unite da una convivenza stabile spetta, secondo la Corte, il diritto fondamentale di vivere liberamente una condizione di coppia, ottenendone, nei tempi, nei modi e nei limiti stabiliti dalla legge, il riconoscimento giuridico con i connessi diritti e doveri. Ciò proprio perché, per formazione sociale, deve intendersi ogni forma di comunità, semplice o complessa, idonea a consentire e favorire il libero sviluppo della persona nella vita di relazione, nel contesto di una valorizzazione del modello pluralistico. Non si può infatti non tenere conto della nascita spontanea di forme diverse, seppur minoritarie, di convivenza, che, ispirandosi al modello tradizionale (la famiglia), chiedono adeguata protezione e un pieno riconoscimento giuridico. Nuovi bisogni, legati anche all'evoluzione della cultura e della civiltà, necessitano di tutela, imponendo un'attenta meditazione sulla persistente compatibilità delle tradizionali interpretazioni con i princìpi costituzionali. Affermazioni di questo tenore, nel momento in cui si parla di diritti fondamentali, impegnano il Parlamento a intervenire, con urgenza, dal momento che, in caso contrario, si priverebbero le persone coinvolte di diritti costituzionalmente garantiti. Spetta al Parlamento, dunque, nell'esercizio della sua piena discrezionalità, individuare, nell'ambito applicativo dell'articolo 2 della Costituzione, le forme di garanzia e di riconoscimento per le unioni di fatto, restando riservata ai giudici solo la possibilità di intervenire a tutela di specifiche situazioni. A fronte della possibile obiezione circa l'incompatibilità di tale soluzione con il sistema costituzionale e con il modello sociale prefigurato dal costituente, la Corte afferma che, in relazione a ipotesi particolari, sarebbe riscontrabile la necessità di un trattamento omogeneo tra la condizione della coppia coniugata e quella della coppia omosessuale. In tal modo, non può più, quindi, sostenersi che non sia possibile creare "contiguità" tra disciplina del matrimonio e disciplina delle unioni di fatto. Ancora più incisivo è il contenuto della Carta dei diritti fondamentali dell'Unione europea. All'articolo 21, è vietata ogni forma di discriminazione basata sulle tendenze sessuali; all'articolo 9, si afferma che il diritto di sposarsi e di costituire una famiglia devono essere garantiti secondo le leggi nazionali che ne disciplinano l'esercizio. Ciò che appare essenziale, nell'articolo 9 della Carta dei diritti, è la distinzione tra il diritto di sposarsi e il diritto di costituire una famiglia. Tale diversificazione, infatti, consente la costituzione legale di unioni, distinte da quelle tra persone di sesso diverso. Nel quadro costituzionale europeo, quindi, avrebbero legittimazione due categorie di unione destinate a regolare i rapporti di vita tra due persone, due categorie che non possono non avere analoga rilevanza giuridica e medesima dignità. L'esigenza di una regolamentazione giuridica generale si fonderebbe, dunque, sulla “stabilità” della relazione sociale, che costituisce una forma di realizzazione dei soggetti coinvolti. Proprio in forza di questa stabilità, un legame di tale natura risulta, infatti, dotato di una notevole rilevanza sociale e costituzionale. L'obiettivo del presente disegno di legge è proprio quello di disciplinare una relazione interpersonale già in essere, di cui il diritto prende atto, su esplicita richiesta di coloro che sono interessati. Per questa via, si potrebbe articolare la tutela dei diritti e dei doveri delle persone in modo più convincente e adeguato alla effettiva situazione in gioco, senza focalizzare il ragionamento solo sui diritti dell'individuo, singolarmente considerato. Certamente, occorre tenere ferme la specificità e l'unicità dell'istituto matrimoniale, che deve restare il luogo in cui rilevanza essenziale assume la differenza tra i sessi. Inteso come unione di un uomo e di una donna aperta alla generazione, il matrimonio rappresenta, infatti, la fondamentale mediazione istituzionale, attraverso la quale la sessualità è socialmente valorizzata. Il diritto, pertanto, deve continuare a promuovere il matrimonio e la famiglia, difendendoli da rivendicazioni settoriali e minoritarie che potrebbero condurre a modificare il loro senso di istituzione universale ed insostituibile. Lo stesso diritto, però, al contempo, non può più trascurare di prendere in considerazione la rilevanza sociale delle relazioni interpersonali che si stabiliscono tra i conviventi. Tali unioni verrebbero disciplinate esclusivamente in ragione dei diritti e dei doveri a cui dà origine una relazione stabile. D'altra parte, già da tempo la Corte costituzionale ha affermato il valore sociale della convivenza more uxorio, ai cui membri deve essere riconosciuta la titolarità di diritti e doveri, e ha legittimato l'ipotesi di una legge ordinaria che disponesse in questo senso, quando le convivenze presentano i caratteri di durata e relativa stabilità. Il carattere della stabilità è, in definitiva, il dato cui ricollegare il necessario riconoscimento di un rapporto che dia fondamento all'esercizio di diritti e all'adempimento di doveri. Se si fa riferimento alla stabilità, risultano irrilevanti le caratteristiche dei membri che fanno parte della formazione sociale. Si apre così la via a una pluralità di ipotesi che possono includere convivenze amicali, parentali, di persone dello stesso sesso o di sesso diverso. Una convivenza di qualunque tipo, che si svolga con una sufficientemente apprezzabile continuità, è indice di un particolare rapporto di affectio. Tale rapporto dà fondamento naturale a una reciproca solidarietà e ad un mutuo sostegno, che l'ordinamento può specificare in diritti e doveri giuridicamente rilevanti. In definitiva, la rilevanza di una convivenza stabile e il riconoscimento dei diritti e dei doveri dei suoi membri costituisce un contributo all'affermazione dei valori di solidarietà che risultano socialmente apprezzabili e, quindi, giuridicamente tutelabili. Proprio perché si riconosce nella stabilità la fonte di questi diritti e doveri, risulterebbe contrario al principio di uguaglianza escludere da queste garanzie certi tipi di convivenze. Solo il riconoscimento di un rapporto offre titolo cui ancorare i doveri di solidarietà. La stretta relazione tra diritti e doveri può essere facilmente assicurata solo in riferimento a un rapporto riconosciuto sulla base di una documentata stabilità. In altre parole, la necessità di un riconoscimento comunitario è presupposto indispensabile per rendere efficace la realizzazione di diritti fondamentali, quando essi siano previsti legislativamente e destinati a essere fatti valere nei riguardi della universalità dei soggetti. La soluzione non può essere l'introduzione di modelli paralleli a quelli matrimoniali, né il ricorso puro e semplice all'autonomia privata. Nel primo caso, infatti, rischieremmo di ledere il principio del favor familiae, di cui all'articolo 29 della Costituzione; nel secondo caso, non garantiremmo adeguatamente i diritti che, nelle formazioni sociali, sono riconosciuti ai sensi dell'articolo 2 della Costituzione. Un punto di equilibrio tra divergenti istanze è il riconoscimento del rapporto stabile che, da una parte, si sottrae alla necessità di un'espressa manifestazione di consenso e, dall'altra, assicurando un pieno riferimento ai diritti e doveri richiamati dall'articolo 2 della Costituzione, rappresenta strumento sicuro di individuazione del titolo giuridico che consente l'esercizio dei diritti e l'adempimento dei relativi doveri. Impostato in questi termini, il riconoscimento giuridico del legame tra persone, quale presa d'atto di relazioni già in essere, trova la sua giustificazione in quanto tale relazione sociale concorre alla costruzione del bene comune: prendersi cura dell'altro, stabilmente, è forma di realizzazione del soggetto e al tempo stesso contributo alla vita sociale in termini di solidarietà e condivisione. Il legame viene garantito non nella forma di un privilegio concesso in funzione di una particolare relazione sessuale, ma nella forma di riconoscimento del valore e del significato comunitario di questa prossimità. Il diritto esaurisce qui il proprio compito, prendendo atto, senza ulteriori precisazioni, di un legame in essere. Non spetta al legislatore indagare in che modo la relazione viene vissuta sotto altro profilo che non sia quello generico della assunzione pubblica, della cura e della promozione dell'altro, che assume tipologie e manifestazioni diverse, fatto salvo il rispetto e la tutela della persona. Una scelta politica che volesse stabilire a priori forme accettabili di espressione di quel legame - in base ad esse riconoscere e garantire determinate tutele - invaderebbe campi che non le appartengono. 4. A questa ratio è ispirato il presente disegno di legge che si compone di 4 articoli. L'articolo 1 introduce nel Libro I del codice civile un nuovo Titolo XV dedicato al contratto di mutuo sostegno. In particolare, il nuovo articolo 455-bis definisce il contratto di mutuo sostegno quale contratto concluso fra due o più persone per l'organizzazione continuativa della vita in comune e prevede che ad esso si applichino la disciplina codicistica sui contratti in generale, nonché le leggi speciali vigenti in materia. L'articolo in questione prevede inoltre che il contratto di mutuo sostegno non possa essere stipulato da alcune categorie di soggetti (ad esempio, minori, interdetti, persone non libere di stato, persone tra le quali intercorrano vincoli di parentela). Il contratto di mutuo sostegno, ai sensi del nuovo articolo 455-ter, si stipula mediante dichiarazione resa dalle parti ad un notaio. L'articolo 455-quinquies prevede che lo straniero regolarmente soggiornante in Italia, che intenda stipulare il contratto, deve osservare le disposizioni relative al matrimonio dello straniero nella Repubblica di cui all'articolo 116, primo e terzo comma, del codice civile. Si tratta, come noto, della norma che prevede l'autorizzazione dell'autorità competente del Paese di provenienza dello straniero dal quale risulta che, per la celebrazione del matrimonio in Italia nulla osta, a tenore della legge cui lo straniero è sottoposto. L'estensione di tale norma anche alla disciplina dei contratti di mutuo sostegno contribuisce a escludere, per quanto possibile, un uso improprio e illegittimo di tale istituto, per finalità estranee a quelle sue proprie, scongiurando così il rischio di trasformare di fatto tali contratti in "contratti di convenienza". Decorsi due anni di convivenza, le parti possono chiedere la trascrizione del contratto in un apposito registro presso l'anagrafe (articolo 455-quater). Se le parti, tuttavia, dimostrano documentatamene una convivenza almeno triennale, il termine per la registrazione è ridotto a sei mesi. In presenza di figli naturali riconosciuti, il termine si riduce ulteriormente a tre mesi. E' dal momento della registrazione - che, giova ribadirlo, può intervenire solo dopo tre anni di convivenza - che dal contratto discendono i diritti ed i doveri reciproci individuati dal nuovo articolo 455-sexies: obbligo della convivenza; obbligo di portarsi aiuto reciproco e di contribuire alle necessità della vita comune; diritti e doveri spettanti ai parenti di primo grado in relazione all'assistenza e alle informazioni di carattere sanitario e penitenziario; diritto all'uso della casa comune e alla reversibilità della pensione, in caso di morte di una delle parti. Ai sensi dell'articolo 455-septies, il contratto si risolve per comune accordo delle parti ovvero per decisione unilaterale, matrimonio o morte di uno dei contraenti. L'articolo 455-octies disciplina gli effetti della risoluzione. L'articolo 2 prevede che le parti del contratto di mutuo sostegno rientrino fra coloro ai quali si devolve l'eredità in caso di successione legittima, qualora il contratto sia stato registrato da almeno nove anni. In particolare, le parti del contratto avranno diritto ad un quarto dell'eredità, se concorrono con figli, ascendenti legittimi, fratelli o sorelle; a metà dell'eredità, se concorrono con parenti entro il sesto grado; a tutta l'eredità, se non vi sono parenti. L'articolo 3 modifica la disciplina della locazione degli immobili urbani, prevedendo che la parte del contratto di mutuo sostegno succeda nel contratto di locazione, in caso di morte del conduttore. L'articolo 4 stabilisce che i trattamenti da attribuire alle parti superstiti del contratto di mutuo sostegno verranno disciplinati dalla legge in sede di riordino della normativa previdenziale e pensionistica, stabilendo requisiti di durata minima del contratto stesso e tenendo conto dei prevalenti diritti dei figli minori o non autosufficienti. Articolo 1 (Contratto di mutuo sostegno) 1. Dopo il titolo XIV del libro I del codice civile, è inserito il seguente: Titolo XV Del contratto di mutuo sostegno 455-bis. Contratto di mutuo sostegno. Il mutuo sostegno è un contratto concluso fra due o più persone per l'organizzazione continuativa della vita in comune. Il contratto di mutuo sostegno non può essere stipulato, a pena di nullità: 1) da persona minore d'età; 2) da persona interdetta per infermità di mente; 3) da persona non libera di stato; 4) tra due persone che abbiano vincoli di parentela in linea retta o collaterale entro il secondo grado, o che siano vincolate da adozione, affiliazione, tutela, curatela o amministrazione di sostegno; 5) da persona condannata per omicidio consumato o tentato sul coniuge dell'altra o sulla persona con la quale l'altra conviveva, nonché da persona condannata per reati di cui agli articoli 609-bis, 609-ter, 609-quater, 609-quinquies, 609-sexies e 609-octies. Nel caso di persona rinviata a giudizio o sottoposta a misura cautelare, la stipula è sospesa fino a quando non è pronunciata sentenza di scioglimento. Al mutuo sostegno si applicano le norme in materia di contratti di cui al Titolo II del libro IV, ivi comprese le cause di nullità previste dall'articolo 1418 e seguenti, nonché le disposizioni delle vigenti leggi speciali in materia di contratti. 455-ter. Stipulazione del contratto. Il contratto di mutuo sostegno si stipula mediante dichiarazione congiunta davanti ad un notaio competente per il comune di residenza di uno dei contraenti. La volontà di modificare un contratto di mutuo sostegno in vigore deve essere espressamente e congiuntamente dichiarata dai contraenti davanti al notaio. L'atto che porta le modifiche deve essere unito al contratto originario. 455-quater. Registro dei contratti di mutuo sostegno. Decorsi due anni di convivenza, le parti possono chiedere che il contratto di mutuo sostegno sia trascritto in apposito registro, istituito presso l'anagrafe del comune di residenza di uno dei contraenti, senza ulteriori formalità. Per le persone che dimostrino una convivenza di almeno tre anni, il termine di decorrenza per la registrazione del contratto è di sei mesi. In presenza di figli naturali riconosciuti, il termine è di tre mesi. Sullo stesso registro sono annotate le variazioni dei contratti di mutuo sostegno. 455-quinquies. Mutuo sostegno dello straniero nello Stato. Lo straniero regolarmente soggiornante in Italia che intenda sottoscrivere un contratto di mutuo sostegno deve osservare le disposizioni di cui all'articolo 116, commi primo e terzo. 455-sexies. Assistenza. Dalla registrazione del contratto di mutuo sostegno discendono i seguenti diritti e doveri reciproci: 1) le parti contraenti hanno l'obbligo della convivenza; si portano aiuto reciproco e contribuiscono alle necessità della vita in comune in proporzione ai propri redditi, al patrimonio e alle proprie capacità di lavoro professionale e casalingo. Il contratto può prevedere i tempi e i modi della contribuzione di ciascuno; 2) le parti hanno reciprocamente gli stessi diritti e doveri spettanti ai parenti di primo grado in relazione all'assistenza e alle informazioni di carattere sanitario e penitenziario; 3) in caso di morte di una delle parti, le altre hanno il diritto all'uso della casa comune e alla reversibilità della pensione. 455-septies. Risoluzione del contratto di mutuo sostegno. Il contratto di mutuo sostegno si risolve nei seguenti casi: 1) per comune accordo delle parti; 2) per decisione unilaterale di uno dei contraenti; 3) per matrimonio di uno dei contraenti; 4) per morte di uno dei contraenti. Nel caso in cui intendano risolvere il contratto di comune accordo, le parti rendono una dichiarazione congiunta al notaio che ha ricevuto la dichiarazione iniziale. Nel caso di cui al numero 2 del comma precedente, la parte che intende porre fine al contratto manifesta la propria volontà agli altri contraenti per mezzo di una dichiarazione scritta da inviare in copia all'ufficio dell'anagrafe ove è registrato il contratto di mutuo sostegno. Nel caso di cui al numero 3 del comma precedente, la parte che ha contratto matrimonio deve darne comunicazione all'anagrafe presso il cui ufficio è registrato il contratto di mutuo sostegno, allegando il certificato di nascita sul quale è riportata menzione del matrimonio. Nel caso di cui al numero 4 del comma precedente, i superstiti inviano all'anagrafe presso il cui ufficio è registrato il contratto di mutuo sostegno copia dell'atto di decesso. È fatta menzione della cessazione degli effetti del contratto a margine di quest'ultimo. 455-octies. Effetti della risoluzione del contratto di mutuo sostegno. Gli effetti della risoluzione del contratto si producono, a seconda dei casi: 1) dal momento della menzione, a margine del contratto, della dichiarazione congiunta; 2) dal novantesimo giorno successivo all'invio della dichiarazione unilaterale di risoluzione alle altre parti e al notaio competente; 3) dalla data del matrimonio o del decesso di una delle parti. Nel contratto di mutuo sostegno possono essere stabilite le conseguenze patrimoniali della risoluzione per cause diverse dalla morte. I contraenti procedono autonomamente alla liquidazione dei diritti e delle obbligazioni risultanti dal contratto. In mancanza di accordo, il giudice decide sulle conseguenze patrimoniali della risoluzione del contratto, ivi compreso il risarcimento dei danni eventualmente subiti. Articolo 2 (Diritti successori) 1. L'articolo 565 del codice civile è sostituito dal seguente: 565. Categorie di successibili. Nella successione legittima l'eredità si devolve al coniuge, ai discendenti legittimi naturali, agli ascendenti legittimi, ai collaterali, agli altri parenti, alle parti del contratto di mutuo sostegno dopo nove anni dalla registrazione del contratto e allo Stato, nell'ordine e secondo le regole stabilite nel presente titolo. 2. Dopo il Capo II del Titolo II del libro II del codice civile è inserito il seguente: Capo II-bis Della successione della parte di mutuo sostegno 585-bis. Concorso della parte di mutuo sostegno con i figli, ascendenti legittimi, fratelli e sorelle. Quando le parti de contratto di mutuo sostegno concorrano con figli legittimi o naturali, con ascendenti legittimi o con fratelli e sorelle anche se unilaterali, ovvero con gli uni e con gli altri, hanno diritto ad un quarto dell'eredità. 585-ter. Concorso della parte di mutuo sostegno con altri parenti. Quando le parti del contratto di mutuo sostegno concorrano con i parenti di cui all'articolo 572, hanno diritto a metà dell'eredità. 585-quater. Successione della sola parte di mutuo sostegno. Se alcuno muore senza lasciare parenti entro il sesto grado, alle parti del contratto di mutuo sostegno si devolve tutta l'eredità. Articolo 3 (Modifiche all'articolo 6 della legge 27 luglio 1978, n. 392) 1. Al primo comma dell'articolo 6 della legge 27 luglio 1978, n. 392, le parole: "ed i parenti ed affini" sono sostituite dalle altre: ", i parenti ed affini e la parte di contratto di mutuo sostegno". Articolo 4 (Disciplina previdenziale) 1. In sede di riordino della normativa previdenziale e pensionistica, la legge disciplina i trattamenti da attribuire alle parti superstiti del contratto di mutuo sostegno, stabilendo requisiti di durata minima del contratto stesso e tenendo conto dei prevalenti diritti dei figli minori o non autosufficienti del defunt
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Comunicato stampa del Sen. Raffaele Lauro (10 novembre 2010) Senato. Crescita economica. Lauro (PdL): Occorre cogliere l’occasione della Strategia Europea "Europa 2020" per avanzare con decisione sulla strada delle riforme, ben sapendo che l’Italia più delle altre grandi economie ha tutto da guadagnare da questa marcia, mentre mancare questa occasione significherebbero perdere ancora posizioni. Intervenendo, nell'aula del Senato, sulla strategia europea per la crescita economica, da perseguire entro il 2020, in grado di diventare la bussola delle politiche nazionali per il prossimo decennio, con l'indicazione degli obiettivi da conseguire, il sen. Raffaele Lauro (PdL) ha approfondito i vincoli europei del riformato Patto di Stabilità, che limitano di fatto tanto la sovranità nazionale, quanto la capacità di attuare programmi di rilancio dello sviluppo economico, che risultino generici, incoerenti ed irrealistici. "Benché la storia economica degli ultimi decenni - ha affermato Lauro - abbia dimostrato che le pressioni esterne, particolarmente dell’UE, hanno avuto un ruolo determinante nell’indurre l’Italia a mettere ordine nei suoi conti pubblici, le modifiche proposte al Patto di Stabilità sono particolarmente penalizzanti per l'Italia nella prospettiva di molti anni avvenire, proprio perché, tra le grandi economie europee, la nostra è la più deviante rispetto alla disciplina che si intende introdurre in termini di debito e deficit pubblici. Questa si articola essenzialmente in tre interventi: - un’attenzione maggiore sul rientro del debito entro il limite del 60 % del PIL; - un maggiore rigore nel fare rispettare i vincoli di bilancio; - e una verifica preventiva a livello europeo della coerenza della politica nazionale con le regole comunitarie, prima della sua messa in opera. L’impressione, che se ne trae, di un insostenibile rigore non viene scalfita dal fatto che non si conoscono ancora i termini quantitativi della nuova disciplina, né dei meccanismi per attuarla, dato che saranno stabiliti entro il 2013, per entrare in vigore immediatamente dopo." "Questa situazione di devianza dai parametri del Patto - ha sostenuto Lauro - non è destinata a rientrare in breve tempo, ma dovrebbe trascinarsi ancora per molti anni. Secondo proiezioni realistiche il deficit di bilancio scenderebbe sotto il limite solo nel 2012 (-2,4%), con un fabbisogno finanziario leggermente più alto (-2,6%), ma il debito solo nel 2013 si riporterebbe ai livelli del 2009 (115,2 % PIL), dopo aver raggiunto il picco del 119,2 % nel 2011. Inoltre, sulla dinamica del debito/PIL nel prossimo triennio influiranno, sia la crescita modesta del PIL (l’1,3% nel 2011 e 2% nel 2012-13), sia la partecipazione al sostegno finanziario della Grecia. Senza tenere conto di altre variabili, sulle quali si addensano preoccupanti incertezze, che vanno a dilatare il debito, come l’evoluzione della spesa per interessi sul debito, il saldo primario (differenza tra entrate e spese al netto degli interessi sul debito), il disavanzo netto (alias, indebitamento netto) e le operazioni di finanziamento non legate alla copertura del disavanzo pubblico, che riguardano in specie gli enti pubblici." " In questo scenario necessariamente rigorista - ha aggiunto Lauro - il percorso della nostra economia non è ineluttabilmente segnato, ma sono possibili due vie di fuga dalla stagnazione economica, conseguente al rigore nel rientro del debito: 1) ottenere dall’UE un altrettanto stretto coordinamento delle politiche economiche che obblighi i paesi in surplus di bilancia corrente con l’estero, segnatamente la Germania, a perseguire politiche di riflazione della domanda interna; 2) cogliere l’occasione del Programma Nazionale di Riforma, previsto dalla Strategia Europea 'Europa 2020', per varare al più presto un programma pluriennale di vere riforme, coerenti e fattibili, approvato in progetto dal Governo Berlusconi nel Consiglio dei Ministri del 5 novembre scorso." " Un Programma Nazionale di Riforme costituisce l'occasione - ha concluso Lauro - per perseguire gli obiettivi della Strategia Europa 2020. I traguardi posti dall’UE hanno grande rilevanza per l’Italia, proprio perché interessano le maggiori vulnerabilità della nostra economia. Si tratta di mirare a un tasso di occupazione del 75%, a fronte del 57,2% attuale dell’Italia; di destinare il 3% del PIL alla ricerca e all’innovazione, a fronte del 1,2% attuale; di raggiungere il traguardo del 20/20/20 in campo energetico; di portare al 40% la percentuale dei giovani con un’istruzione a livello terziario; e di ridurre drasticamente la quota di popolazione a rischio di povertà. A questi obiettivi si affiancano, in funzione strumentale, diversi altri: quali la semplificazione amministrativa, il disboscamento delle posizioni di rendita o privilegio sul mercato, l’efficienza nei servizi pubblici, un sistema di relazioni industriali, che non ponga le nostre imprese in condizioni di svantaggio nella concorrenza internazionale, un’attenzione maggiore alla produttività, la realizzazione di infrastrutture funzionali al sistema produttivo. Non sono questi obiettivi nuovi; anzi, da più di un decennio se ne parla e sono stati anche inclusi nella Agenda di Lisbona, che tuttavia è stata eseguita solo in modesta misura. Occorre, quindi, cogliere l’occasione della Strategia Europea 'Europa 2020' per avanzare con decisione sulla strada di queste riforme, ben sapendo che l’Italia più delle altre grandi economie ha tutto da guadagnare da questa marcia, mentre mancare questa occasione significherebbero perdere ancora posizioni."
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Intervento del Sen. Raffaele Lauro (PdL) nell’aula del Senato sulla mozione a firma del Sen. Rutelli ed altri (10 novembre 2010) Signor Presidente, Onorevoli colleghi, la mozione che siamo chiamati a discutere, a firma del Sen. Rutelli ed altri, auspica l'apertura di una stagione di Governo, coerente con la strategia europea per la crescita economica, da perseguire entro il 2020, in grado di diventare la bussola delle politiche nazionali per il prossimo decennio, con l'indicazione degli obiettivi da conseguire. Il documento, presentato dall'opposizione, pur ammantato di lodevoli intenzioni, può essere definito una fantasia parlamentare, un vademecum di sogni, un manifesto di propaganda, di sapore elettoralistico, un elenco dove ciascuno firmatario ha messo del suo, una sommatoria incoerente, e senza alcun ordine di priorità e di compatibilità, di aspirazioni riformatrici e pseudo riformatrici, che prescindono totalmente dalle politiche di bilancio di un paese, come l'Italia, con alto debito pubblico ed eccessivo disavanzo, i cui vincoli europei del riformato Patto di Stabilità limitano, di fatto, tanto la sovranità nazionale, quanto la capacità di attuare programmi di rilancio dello sviluppo economico, che risultino, come quelli ammassati nella mozione, generici, incoerenti ed irrealistici. Non si può, quindi, prescindere da un’analisi responsabile dei vincoli europei, resi ancora più stringenti dalle recenti decisioni del Consiglio Europeo. Il mandato affidato dal Consiglio Europeo alla Task Force composta dai ministri delle finanze era di rafforzare la governance dell’economia europea, dopo i disastri finanziari determinati dalla crisi di alcune delle maggiori banche europee e dall’insolvenza della Grecia sul debito sovrano. La soluzione a cui è giunta, approvata sostanzialmente dall’ultimo Vertice Europeo, consiste nel porre la politica di bilancio di paesi come il nostro, con alto debito pubblico ed eccessivo disavanzo, entro uno stretto corsetto, che limita fortemente tanto la sovranità nazionale, quanto la capacità di attuare programmi di rilancio dello sviluppo economico. Benché la storia economica degli ultimi decenni abbia dimostrato che le pressioni esterne, particolarmente dell’UE, hanno avuto un ruolo determinante nell’indurre l’Italia a mettere ordine nei suoi conti pubblici, le modifiche proposte al Patto di Stabilità sono particolarmente penalizzanti per il Paese nella prospettiva di molti anni avvenire, proprio perché tra le grandi economie europee la nostra è la più deviante rispetto alla disciplina che si intende introdurre in termini di debito e deficit pubblici. Questa si articola essenzialmente in tre interventi: 1) un’attenzione maggiore sul rientro del debito entro il limite del 60 % del PIL; 2) maggiore rigore nel fare rispettare i vincoli di bilancio; e 3) verifica preventiva a livello europeo della coerenza della politica nazionale con le regole comunitarie prima della sua messa in opera. L’impressione, che se ne trae, di un insostenibile rigore non viene scalfita dal fatto che non si conoscono ancora i termini quantitativi della nuova disciplina, né dei meccanismi per attuarla, dato che saranno stabiliti entro il 2013, per entrare in vigore immediatamente dopo. Infatti, alcuni punti fermi sono stati già definiti. In particolare, in via preventiva si prevede che gli Stati con un debito superiore al 60 % del PIL, o su livelli insostenibili, siano tenuti ad accelerare il cammino di riduzione del debito verso il traguardo del 60%, anche se il loro deficit pubblico stia già sotto il 3% del PIL. In via correttiva, invece, i disavanzi di bilancio, per essere tollerati, dovranno essere tali da non compromettere l’obiettivo di raggiungere senza discontinuità una sostanziale riduzione del debito in rapporto al PIL. Pertanto, per ottenere l’assenso dell’UE, non basta che un paese programmi un deficit sotto il limite del 3 %, se questo non consente di abbassare in misura sostanziale il livello del debito. L’inosservanza dei limiti posti dall’UE per il raggiungimento dell’obiettivo di riduzione del debito verrebbe, quindi, ad aggiungersi alla violazione del limite del 3% del PIL come causa dell’applicazione di un regime sanzionatorio. Quest’ultimo consiste, in un primo stadio, nell’obbligo di effettuare un deposito fruttifero, a cui seguirebbe in un secondo stadio, nel caso di perdurante inadempienza, la loro trasformazione in depositi infruttiferi, per lasciare il posto a vere e proprie multe in un terzo stadio di inadempienza. Ad accrescere il rigore concorre, inoltre, la nuova regola secondo cui l’applicazione delle sanzioni avrebbe carattere tendenzialmente automatico: ovvero sarebbe ritardata di circa 6 mesi, per dare allo Stato un breve tempo per correggere le sue politiche, ma trascorso questo termine, in caso di inadempienza, il Consiglio dovrebbe erogare la sanzione proposta dalla Commissione, a meno che si formi una maggioranza contraria (maggioranza rovesciata o reverse majority). A completare questo corsetto intervengono anche una serie di requisiti minimi entro cui la politica di bilancio deve essere inquadrata e una sorveglianza rafforzata sulla sua conduzione, con frequenti missioni di verifica da parte della Commissione UE, la pubblicazione delle sue valutazioni e l’attribuzione all’Eurostat di maggiori poteri di verifica sulle statistiche dei conti pubblici. In breve, la politica di bilancio dovrà muoversi entro un binario prestabilito d’accordo con l’UE, in cui si terrà conto dell’andamento del deficit strutturale (cioè corretto per l’effetto della congiuntura), della spesa pubblica e delle variazioni nella tassazione. Per la soluzione delle crisi debitorie, il nuovo Patto prevede, inoltre, di istituire un Fondo di salvataggio, con un meccanismo di sostegno, che chiama in causa non solo i governi, ma anche i creditori privati e la BCE. Criticità per l’Italia derivanti dal nuovo Patto Dopo la Grecia, l’Italia è nell’ambito della Eurozona il paese maggiormente toccato dai vincoli del nuovo patto, perché già registra il livello di debito più elevato in rapporto al PIL (108,5% previsto dal Tesoro per il 2010) e un deficit superiore al limite (4,9% nel 2010). Questa situazione di devianza dai parametri del Patto non è destinata a rientrare in breve tempo, ma dovrebbe trascinarsi ancora per molti anni. Secondo le proiezioni del MEF (Ministero Economia e Finanze), il deficit di bilancio scenderebbe sotto il limite solo nel 2012 (-2,4%), con un fabbisogno finanziario leggermente più alto (-2,6%), ma il debito solo nel 2013 si riporterebbe ai livelli del 2009 (115,2 % PIL), dopo aver raggiunto il picco del 119,2 % nel 2011. Come precisato dal MEF, sulla dinamica del debito/PIL nel prossimo triennio influiscono sia la crescita modesta del PIL (l’1,3% nel 2011 e 2% nel 2012-13), sia la partecipazione al sostegno finanziario della Grecia. Altri fattori, tuttavia, hanno anche grande peso, anche se non ne fa menzione: in particolare, - l’evoluzione della spesa per interessi sul debito, - il saldo primario (differenza tra entrate e spese al netto degli interessi sul debito), - il disavanzo netto (alias, indebitamento netto), - e le operazioni di finanziamento non legate alla copertura del disavanzo pubblico, che riguardano in specie gli enti pubblici. Su ciascuna di queste variabili si addensano incertezze che tendono prevalentemente ad andare nel senso di dilatare il debito. In via di principio, a parità di altre condizioni, l’evoluzione del rapporto debito/PIL dipende essenzialmente da tre fattori: a) l’incidenza della spesa per interessi sul debito; b) il tasso di crescita del PIL nominale; e c) il saldo tra spese ed entrate al netto della spesa per interessi (saldo primario). Quanto più l’incidenza degli interessi sul debito supera la crescita del PIL, tanto più si dilata il rapporto debito/PIL, a parità di saldo primario. Per evitare questa dilatazione è necessario, coeteris paribus, che il saldo primario raggiunga un avanzo tale da compensare l’eccedenza suddetta. In tal modo si otterrebbe di stabilizzare il rapporto debito/PIL. Nel caso, invece, in cui lo si volesse ridurre, l’avanzo primario dovrebbe aumentare ancor di più, ovvero in misura coerente con l’obiettivo prefissato di riduzione dell’incidenza del debito. Ciò implica che la spesa pubblica primaria (cioè, quella al netto degli interessi) deve risultare annualmente nettamente inferiore alle entrate. Diversamente, qualora la crescita del PIL superasse l’incidenza degli interessi, coeteris paribus, il debito tenderebbe a scendere in rapporto al PIL a parità di saldo primario. Data questa premessa, è evidente che i vincoli del nuovo Patto, pur nella loro attuale indeterminatezza quantitativa, generano per l’Italia, nelle condizioni attuali, alcune criticità di notevole portata. Prima criticità A titolo illustrativo, si consideri quali effetti avrebbero le regole del nuovo Patto se fossero in vigore nel prossimo triennio. Applicando la precedente analisi al programma di bilancio contenuto nella recente Decisione di Finanza Pubblica (DFP), risulta evidente che per i prossimi tre anni sarebbe insostenibile la riduzione del debito/PIL rispetto ai valori del 2009. In particolare, pur in presenza di una sostanziale stabilità della spesa per interessi/PIL, si sconta che l’incidenza degli interessi sul debito superi l’incremento del PIL negli anni 2010 e 2011, con un divario che non trova compensazione nel saldo primario, dato che quest’ultimo nel 2010 risulterebbe negativo per 0,8% del Pil e nel 2011 dovrebbe tornare in positivo in misura insufficiente (cfr. tabella). L’andamento del saldo primario e la bassa crescita del PIL si rifletterebbero, insieme all’aumento delle attività finanziarie, in una lievitazione del debito fino al 119,2% del PIL. Soltanto per impedire questo aumento rispetto al livello del 2009 sarebbe necessario raggiungere un avanzo primario tre volte più alto di quello programmato per il 2011, ossia un avanzo stimabile in circa 4 punti percentuali di PIL. In altri termini, le entrate dovrebbero superare la spesa primaria in quella misura, con implicazioni nettamente negative per la già modesta crescita del reddito, che si attende in questo biennio. Successivamente, nel biennio 2012-2013, secondo il programma del Governo, il debito dovrebbe ritornare appena al di sopra del livello del 2009 in percentuale del PIL (115,2%), come riflesso sia di una crescita economica in leggera ascesa (2% annuo), sia di un avanzo primario in risalita al 2,8 PIL. In sintesi, secondo il MEF, soltanto per stabilizzare il debito/PIL al livello del 2009 occorrerebbero 4 anni, un crescita economica su ritmi superiori a quelli medi visti nello scorso decennio e un freno alla spesa primaria per tenerla su traiettorie inferiori a quella delle entrate. Ipotesi ben più ardue sarebbero, invece, necessarie se l’Italia dovesse ridurre in questi anni l’incidenza del debito sul PIL e non semplicemente stabilizzarla. Si tratterebbe, infatti, di ottenere un’espansione del reddito nazionale più elevata di quella attesa dal Governo, ipotesi decisamente fuori della realtà, oppure un taglio della spesa primaria superiore ai 4 punti percentuali di PIL rispetto a quella programmata, oppure una riduzione di portata inferiore ma con un contestuale incremento della pressione tributaria fino a raggiungere tra entrate e spese un saldo primario di quell’entità relativa (oltre 4% PIL). Bastano queste poche cifre per far comprendere la insostenibilità per il Paese delle regole del nuovo Patto fino al 2013. Di fatto, secondo le decisioni del Consiglio europeo questo dovrebbe entrare in vigore dal 2014. Ma il giudizio sulla scarsa sostenibilità delle nuove regole non cambierebbe. Seconda criticità Dal 2014 in poi si possono ipotizzare diversi ritmi annui di riduzione del debito/Pil. La Commissione Europea ha proposto al riguardo di ridurlo nella misura annua di 1/20 della differenza tra la media degli ultimi tre anni e il traguardo del 60% del PIL. Per l’Italia, dato che questa media per il periodo 2011-2013 ammonta a 117,3%, si tratta di decurtare il rapporto debito/PIL del 2,865% ogni anno, che corrisponde a € 49.308 milioni, a valori di PIL del 2013. Utilizzando, invece, come punto di partenza del debito, il suo livello atteso al 2013 (115,2% del PIL), la riduzione necessaria non cambierebbe di molto, in quanto ammonterebbe pur sempre al 2,76 % del PIL, ovvero a € 47.751 milioni. Lasciando da parte altre ipotesi, si tratta di sottrarre al debito in media tra i 48 e i 49 miliardi di euro all’anno per venti anni, ovvero attorno al 2,8% del PIL per anno, assumendo costanza nel tempo dei ritmi di crescita del debito e del PIL, nonché della spesa per interessi, ai valori attesi per il biennio 2012-2013. Naturalmente, coeteris paribus, un’accelerazione della crescita porterebbe a un più rapido calo del debito/PIL e viceversa in caso di decelerazione. Indubbiamente una parte di questa decurtazione si può ottenere cedendo ai privati attività patrimoniali pubbliche per destinare i proventi al ritiro del debito. Ma la loro consistenza, anche nella più rosea delle ipotesi di cedibilità di questi assets al mercato, non supererebbe il 15% del debito pubblico accumulato al 2013. Ciò significa che in media annua meno dello 0,8% del debito potrebbe essere abbattuto in questo modo senza toccare la spesa pubblica, ovvero lo 0,87% del PIL per anno. Rimarrebbe, quindi, da effettuare un aggiustamento annuo di bilancio di circa il 2 % del PIL. Per dare un’idea della consistenza di questa cifra, si ricorda che la Commissione UE aveva impegnato il Governo al taglio del deficit nel biennio 2012-2013 in misura pari a 1,5% del PIL per anno. È quindi evidente che si è di fronte a una correzione molto consistente e persistente negli anni, che non lascia margini per aumenti di spesa in percentuale del PIL a meno di corrispondenti incrementi dei prelievi fiscali. Naturalmente sono configurabili altri percorsi di rientro del debito nel corso degli anni, ma se l’arco di riferimento sono 20 anni, il risultato sarà pur sempre una correzione molto forte in alcuni anni e meno forte in altri. In ogni caso, la correzione in questione implica un taglio notevole di una componente della domanda aggregata, ovvero la spesa pubblica, minimizzando di fatto la sua capacità di stimolare l’economia, perché a ogni maggiore spesa dovrà corrispondere una maggiore entrata. Si richiama in proposito che il moltiplicatore del reddito per una spesa compensata da entrate corrispondenti è molto inferiore a quello di una spesa in deficit. Una conseguenza preoccupante sta anche nel restringersi della capacità della spesa pubblica di svolgere una funzione di stabilizzazione del ciclo economico, contrastando la bassa congiuntura. Va sottolineato al riguardo che nel Rapporto non si tiene conto adeguatamente della necessità di mantenere margini di flessibilità nel bilancio in funzione anti-ciclica pur nell’ambito di un programma di riduzione del debito. Si parla solo, nella fase preventiva, di valutazione del disavanzo strutturale, mentre nella fase di correzione, restano le regole attuali che stabiliscono che solo in caso di profonda recessione il paese può deviare dai parametri del Patto. Se la domanda pubblica vede ridimensionato drasticamente il suo ruolo di stimolo alla crescita, quale altra componente dovrebbe assumere un maggiore ruolo? La domanda estera sembra condizionata negativamente dal notevole apprezzamento dell’euro rispetto alle principali monete e dalle incertezze sulla sua evoluzione. Nessuno può attualmente contare sul percorso futuro dell’euro per competere meglio. Guadagni di competitività esterna, quindi, sarebbero essenzialmente legati alla capacità del Paese di avere una dinamica di costi e prezzi inferiore a quella dei maggiori concorrenti. È un’ipotesi poco plausibile, vista la tendenziale propensione dell’Italia a un’inflazione maggiore di quella dei concorrenti principali. Dal lato della domanda interna, molto dipende dalla convenienza relativa per i privati ad effettuare investimenti in Italia e dall’accelerazione della produttività, compresa quella multifattoriale. Sull’uno e sull’altro fronte vi sono molti ostacoli. Una forte ripresa degli investimenti su base decennale richiederebbe il superamento dei gravi problemi di competitività di cui il Paese è afflitto da molti anni. Un’accelerazione sostenuta della produttività, che dovrebbe prendere il posto della stagnazione dello scorso decennio, presuppone profondi cambiamenti nelle strutture organizzative delle imprese e nelle relazioni industriali. Questi sono risultati che si ottengono solo dopo lunghi e faticosi processi di cambiamento, che non sono facilmente assicurati. Se ne può dedurre che una riduzione del debito, come voluta dall’UE, si tradurrebbe nel venire meno del bilancio pubblico come uno dei fattori di spinta allo sviluppo economico, senza che attualmente si scorga altri fattori che siano in posizione tale da compensarne l’effetto. Terza criticità Per ridurre l’incidenza del debito pubblico è inevitabile puntare su un ampliamento dell’avanzo primario, oltre che su una nuova ventata di crescita economica. Ovviamente, l’aumento dell’avanzo può essere ottenuto in diversi modi e con differenti percorsi, ma sostanzialmente comporta o una compressione della spesa primaria, o un incremento del prelievo fiscale, o entrambi. La scelta tra queste tre alternative non è indifferente ai fini dello sviluppo economico. Dal lato della spesa primaria, l’esperienza dell’ultimo decennio indica che le manovre di correzione si risolvono frequentemente nel taglio della spesa più produttiva, ovvero gli investimenti pubblici, perché oltre il 90% della spesa ha carattere obbligatorio ed è difficilmente comprimibile. Un esempio in tal senso si ha anche nell’ultima manovra finanziaria, sancita dalla DFP per il 2011-2013. Per questo periodo si prevede che la spesa per investimenti fissi pubblici si contragga dal già modesto livello del 2,5 % del PIL nel 2009 all’1,8 % nel 2013. Come è noto, questa spesa è generalmente destinata a creare quelle infrastrutture che agevolano il sistema economico, migliorandone l’efficienza e la produttività. Il suo declino non può, quindi, non avere effetti deleteri sul potenziale di crescita dell’economia. Date queste premesse, è ragionevole supporre che un programma pluriennale di taglio del debito pubblico comporti decurtazioni significative dei programmi di investimento pubblico, con ripercussioni sulla crescita e sulla competitività di sistema. Pertanto, anche attraverso questo canale il nuovo Patto determinerebbe maggiori difficoltà per il rilancio della nostra economia. Dal lato dell’entrate, occorre esplorare i margini di cui si dispone per accrescere il prelievo sul reddito prodotto. Il programma attuale del DFP prevede che il prelievo tributario e contributivo si mantenga fino al 2013 oltre il 42% del PIL (42,2%), nonostante un lieve calo rispetto al 2010 (42,7%). Pensare di accrescere il peso fiscale di 1 o 2 punti percentuali di PIL per molti anni al fine di tagliare il debito sembra azzardato, visto il livello già raggiunto dal prelievo e le sperequazioni nella sua distribuzione. Per questo motivo il Governo punta ad accrescere le entrate solo con il recupero dell’evasione e dell’elusione fiscali, piuttosto che introducendo nuove imposte o ampliando la base imponibile. Ma vi sono pochi dubbi su fatto che un programma di riduzione del debito del tipo in esame a Bruxelles non potrà evitare la necessità di alzare il prelievo fiscale in un modo o nell’altro, con effetti depressivi sulla crescita. In sintesi, il nuovo Patto pone l’Italia di fronte a difficili scelte tanto sul livello che sulla composizione sia delle spese che delle entrate, con un elevato rischio che le soluzioni adottate si rivelino deleterie per il potenziale di sviluppo dell’economia nel medio periodo. Alcune conclusioni I termini del nuovo Patto, sebbene non ancora definiti nei dettagli, possono comportare diversi scenari di evoluzione della nostra economia nei prossimi decenni, ma tutti questi scenari si prefigurano come “lacrime e sangue”. Quando un debito pubblico, come quello italiano, raggiunge le dimensioni attuali del 108,5 % del PIL, non è probabile che un programma vincolante di ordinato rientro entro il 60% del PIL possa realizzarsi in 20 anni senza un progressivo impoverimento del Paese. Per sfuggire a questa dura realtà occorrerebbero eventi straordinari, come un balzo in avanti nella crescita, o una fiammata di inflazione, o un’operazione di finanza straordinaria, o tassi di interesse permanentemente su valori minimi, che sono tutti eventi irrealizzabili nell’attuale assetto della nostra integrazione nell’Unione Economica e Monetaria. L’alternativa a disposizione sul piano interno dovrebbe essere un radicale rinnovamento dell’economia che la ponesse in grado di correre, invece di trascinarsi come avvenuto negli ultimi 15 anni; ma quanto sia fattibile è un interrogativo senza risposta. In queste condizioni, nei prossimi negoziati sui particolari del Patto, da parte italiana dovrebbe mirarsi ad ottenere il massimo di flessibilità nei tempi del rientro del debito, in quanto allungandoli si può diluire l’intensità della correzione su base annua. Non dovrebbe, invece, farsi molto affidamento sul richiamo del debito privato, finanziario o no che sia, perché ha scarso rilievo quando si discute di un Patto che mira a scongiurare il pericolo dell’insolvenza di uno Stato sul suo debito. Di fatto, degli indicatori di debito privato non vi è cenno nel Rapporto, mentre è l’Italia l’unico paese che li invoca. Una flessibilità va anche richiesta nell’applicazione delle sanzioni, perché si tenga in maggiore conto l’andamento del ciclo e il ritmo di sviluppo economico. Nelle fasi basse del ciclo economico e nei periodi di bassa crescita il vincolo di rientro del debito dovrebbe essere molto attenuato, in contropartita di uno stimolo maggiore agli investimenti pubblici e privati. Quale che sia la definizione finale del Patto, una conclusione è chiara: qualsiasi riduzione sostenibile del debito pubblico italiano è possibile solo comprimendo la spesa primaria e operando per un rapido ritorno a una crescita elevata e duratura. Due vie di fuga In questo scenario rigorista, il percorso della nostra economia non è ineluttabilmente segnato, ma sono possibili due vie di fuga dalla stagnazione economica conseguente al rigore nel rientro del debito: 1) ottenere dall’UE un altrettanto stretto coordinamento delle politiche economiche che obblighi i paesi in surplus di bilancia corrente con l’estero, segnatamente la Germania, a perseguire politiche di riflazione della domanda interna; 2) cogliere l’occasione del Programma Nazionale di Riforma, previsto dalla Strategia Europea “Europa 2020” per varare al più presto un programma pluriennale di vere riforme che incidano profondamente sui nodi strutturali dello sviluppo economico del Paese. Sul primo punto va sottolineato che il miracolo economico tedesco di questi anni ha riversato un onere pesante sui paesi in deficit, che a causa dell’unione monetaria non possono svalutare il loro cambio reale per stimolare la loro economia. In un contesto di immutabilità del rapporto di cambio tra paesi dell’eurozona, i forti guadagni di produttività realizzati dalla Germania nello scorso decennio non si sono tradotti in un’espansione della domanda tedesca, ma piuttosto in un’impennata della competitività dei prodotti tedeschi sul mercato europeo. Ne è prova che nel 2009 l’avanzo commerciale della Germania si è concentrato per l’ 59% nella eurozona e per il 26 % nel resto dell’Europa. Essendo il suo surplus in gran parte verso l’Europa, la Germania è meno toccata degli altri paesi dell’eurozona dai problemi che pone il forte apprezzamento dell’euro verso il dollaro e meno sensibile alle richieste di espandere la domanda interna. Benché il Rapporto menzioni brevemente la responsabilità dei paesi in surplus, è necessario fare di questa condizione un impegno tanto vincolante quanto quello dei paesi indebitati a ridurre il loro debito. In breve, una maggiore espansione della domanda tedesca giova anche alla crescita dell’economia italiana, sempre che riesca a migliorare la sua competitività. Quanto al secondo punto, a parte il ruolo della congiuntura estera, la chiave di volta della soluzione dei problemi debitori italiani sta nel realizzare quei cambiamenti strutturali che consentano un forte incremento della competitività e di riflesso producano una nuova era di crescita. L’occasione per agire in maniera determinante in questa direzione è fornita dall’impegno dell’Italia, insieme agli altri paesi membri, a perseguire gli obiettivi della strategia "Europa 2020", mediante un Programma Nazionale di Riforma, il cui progetto è stato approvato nel Consiglio dei Ministri del 5 novembre scorso e la cui versione finale verrà presentata nell'aprile 2011. I traguardi posti dall’UE hanno grande rilevanza per l’Italia, proprio perché interessano le maggiori vulnerabilità della sua economia. Si tratta di mirare a: • un tasso di occupazione del 75%, a fronte del 57,2% attuale dell’Italia; • destinare il 3% del PIL alla ricerca e all’innovazione, a fronte del 1,2% attuale; • raggiungere il traguardo del 20/20/20 in campo energetico; • portare al 40% la percentuale dei giovani con un’istruzione a livello terziario; • ridurre la quota di popolazione a rischio di povertà. A questi obiettivi si affiancano in funzione strumentale diversi altri, quali la semplificazione amministrativa, il disboscamento delle posizioni di rendita o privilegio sul mercato, l’efficienza nei servizi pubblici, un sistema di relazioni industriali che non ponga le nostre imprese in condizioni di svantaggio nella concorrenza internazionale, un’attenzione maggiore alla produttività, la realizzazione di infrastrutture funzionali al sistema produttivo. Non sono questi obiettivi nuovi; anzi, da più di un decennio se ne parla e sono stati anche inclusi nella Agenda di Lisbona, che tuttavia è stata eseguita solo in modesta misura. Occorre, quindi, cogliere l’occasione della nuova Strategia Europea per avanzare con decisione sulla strada di queste riforme, ben sapendo che l’Italia più delle altre grandi economie ha tutto da guadagnare da questa marcia, mentre mancare questa occasione significherebbero perdere ancora posizioni. INDICATORI MACROECONOMICI RILEVANTI (in %) Anni 2009 2010 2011 2012 2013 PIL nominale (variazione) 2,2 3,1 3,9 3,9 Spesa per interessi (variazione) -0,1 6,9 3,5 1,75 Spesa interessi/PIL 4,8 4,7 4,9 4,8 4,7 Saldo primario/PIL -1 -0,8 0,8 2,3 2,8 Debito Pubblico/PIL 115 118,5 119,2 117,5 115,2 Spesa interessi/Debito Pubblico 3,97 4,1 4,1 4,1
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SENATO, LAURO (PDL): STRATEGIA UE OCCASIONE PER AVVIARE RIFORME (9Colonne) Roma, 10 nov - Intervenendo, nell'aula del Senato, sulla strategia europea per la crescita economica, da perseguire entro il 2020, in grado di diventare la bussola delle politiche nazionali per il prossimo decennio, con l'indicazione degli obiettivi da conseguire, il senatore Raffaele Lauro (Pdl) ha approfondito i vincoli europei del riformato Patto di Stabilità, che limitano di fatto tanto la sovranità nazionale, quanto la capacità di attuare programmi di rilancio dello sviluppo economico, che risultino generici, incoerenti ed irrealistici. Secondo Lauro "un Programma Nazionale di Riforme costituisce l'occasione per perseguire gli obiettivi della Strategia Europa 2020. Si tratta di mirare a un tasso di occupazione del 75%, a fronte del 57,2% attuale dell'Italia; di destinare il 3% del PIL alla ricerca e all'innovazione, a fronte del 1,2% attuale; di raggiungere il traguardo del 20/20/20 in campo energetico; di portare al 40% la percentuale dei giovani con un'istruzione a livello terziario; e di ridurre drasticamente la quota di popolazione a rischio di povertà. A questi obiettivi si affiancano, in funzione strumentale, diversi altri: quali la semplificazione amministrativa, il disboscamento delle posizioni di rendita o privilegio sul mercato, l'efficienza nei servizi pubblici, un sistema di relazioni industriali, che non ponga le nostre imprese in condizioni di svantaggio nella concorrenza internazionale, un'attenzione maggiore alla produttività, la realizzazione di infrastrutture funzionali al sistema produttivo. Non sono questi obiettivi nuovi; anzi, da più di un decennio se ne parla e sono stati anche inclusi nella Agenda di Lisbona, che tuttavia è stata eseguita solo in modesta misura. Occorre, quindi, cogliere l'occasione della Strategia Europea 'Europa 2020' per avanzare con decisione sulla strada di queste riforme, ben sapendo che l'Italia più delle altre grandi economie ha tutto da guadagnare da questa marcia, mentre mancare questa occasione significherebbero perdere ancora posizioni". (red) 101135 NOV 10 PIL: LAURO (PDL), EUROPA 2020 OCCASIONE PER FARE RIFORME = Roma, 10 nov. (Adnkronos) - "Occorre cogliere l'occasione della Strategia Europea "Europa 2020" per avanzare con decisione sulla strada delle riforme, ben sapendo che l'Italia piu' delle altre grandi economie ha tutto da guadagnare da questa marcia, mentre mancare questa occasione significherebbero perdere ancora posizioni". Intervenendo, nell'aula del Senato, sulla strategia europea per la crescita economica, da perseguire entro il 2020, in grado di diventare la bussola delle politiche nazionali per il prossimo decennio, con l'indicazione degli obiettivi da conseguire, Raffaele Lauro (PdL) ha approfondito i vincoli europei del riformato Patto di Stabilita', che limitano di fatto tanto la sovranita' nazionale, quanto la capacita' di attuare programmi di rilancio dello sviluppo economico, che risultino generici, incoerenti ed irrealistici. In uno scenario "necessariamente rigorista", ha aggiunto Lauro, il percorso della nostra economia "non e' ineluttabilmente segnato, ma sono possibili due vie di fuga dalla stagnazione economica, conseguente al rigore nel rientro del debito: ottenere dall'UE un altrettanto stretto coordinamento delle politiche economiche che obblighi i paesi in surplus di bilancia corrente con l'estero, segnatamente la Germania, a perseguire politiche di riflazione della domanda interna; cogliere l'occasione del Programma Nazionale di Riforma, previsto dalla Strategia Europea 'Europa 2020', per varare al piu' presto un programma pluriennale di vere riforme, coerenti e fattibili, approvato in progetto dal Governo Berlusconi nel Consiglio dei Ministri del 5 novembre scorso". (Sec/Zn/Adnkronos) 10-NOV-10 12:40 NNNN UE: PIANO 2020; LAURO (PDL), OCCASIONE PER AVVIARE RIFORME (ANSA) - ROMA, 10 NOV - ''Benche' la storia economica degli ultimi decenni abbia dimostrato che le pressioni esterne, particolarmente dell'UE, hanno avuto un ruolo determinante nell'indurre l'Italia a mettere ordine nei suoi conti pubblici, le modifiche proposte al Patto di Stabilita' sono particolarmente penalizzanti per l'Italia nella prospettiva di molti anni avvenire, proprio perche', tra le grandi economie europee, la nostra e' la piu' deviante rispetto alla disciplina che si intende introdurre in termini di debito e deficit pubblici''. Lo ha sottolineato il senatore del Pdl Raffaele Lauro intervenendo, nell'aula del Senato, sulla strategia europea per la crescita economica, da perseguire entro il 2020, con l'indicazione degli obiettivi da conseguire. ''In questo scenario necessariamente rigorista - ha aggiunto Lauro - il percorso della nostra economia non e' ineluttabilmente segnato, ma sono possibili due vie di fuga dalla stagnazione economica, conseguente al rigore nel rientro del debito: 1) ottenere dall'UE un altrettanto stretto coordinamento delle politiche economiche che obblighi i paesi in surplus di bilancia corrente con l'estero, segnatamente la Germania, a perseguire politiche di riflazione della domanda interna; 2) cogliere l'occasione del Programma Nazionale di Riforma, previsto dalla Strategia Europea 'Europa 2020', per varare al piu' presto un programma pluriennale di vere riforme, coerenti e fattibili, approvato in progetto dal Consiglio dei Ministri, il 5 novembre scorso''.(ANSA). COM-SES 10-NOV-10 12:46 NNNN
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Unioni di fatto. Il contratto di mutuo sostegno. Lauro (PdL): Il contratto di mutuo sostegno (CMS) si colloca in uno spazio costituzionale idoneo alla regolamentazione delle unioni di fatto, intese come formazioni sociali, senza ledere o minacciare l'insostituibile istituto della famiglia. Stamani al Senato, il sen. Raffaele Lauro (PdL) ha annunziato di aver presentato un disegno di legge, AS 2425, sottoscritto da senatori della maggioranza e dell'opposizione, che introduce nel nostro ordinamento il contratto di mutuo sostegno (CMS), finalizzato a regolamentare le unioni di fatto, rinviando ad una successiva conferenza stampa l'illustrazione analitica della proposta. Il disegno di legge si compone di quattro articoli ed è preceduto da un'ampia ed articolata relazione, ed inquadra la regolamentazione delle unioni di fatto nello spirito delle formazioni sociali, senza ledere o minacciare l'insostituibile istituto della famiglia, provvedendo, nel contempo, a tutelare diritti costituzionalmente garantiti, che riguardano le persone. "Gli ordinamenti giuridici - ha dichiarato il parlamentare del PdL - non possono essere considerati come un’architettura immobile o cristallizzata nel tempo, rispetto all’evoluzione della società, che spesso si articola in forme nuove e consolidate nel tempo di comunità di persone. Per tale ragione, queste forme consolidate diventano meritevoli di tutela da parte del legislatore. Ciò risulta tanto più evidente in presenza di una legge fondamentale, la nostra Costituzione repubblicana, che, nei suoi principi, promuove il valore relazionale delle persone e la loro capacità di contribuire, attraverso le formazioni sociali, alla vita e alla crescita della comunità nazionale. Né può valere oltre, lo dico da cattolico praticante, rispettoso della laicità dello Stato, l’obiezione che una tale disciplina, così inquadrata, possa costituire un attentato all’istituto della famiglia, fondamento dell’organizzazione sociale, tutelato dalla Costituzione, all’articolo 29. La nostra Costituzione, infatti, nei principi fondamentali che la ispirano, mostra, a tal riguardo, una modernità veramente stupefacente, ed offre, con l’articolo 2, uno spazio costituzionale idoneo alla regolamentazione delle unioni di fatto." "Né sono più tollerabili discriminazioni tra cittadini di serie A e cittadini di serie B - ha aggiunto Lauro - in una democrazia, non formale, incentrata sulla dignità della persona e sulla tutela dei suoi diritti fondamentali." "Nella recentissima sentenza n. 138 del 2010, la Corte costituzionale ha affermato la rilevanza costituzionale delle unioni di fatto, in quanto formazioni sociali, di cui all'articolo 2 della Carta, che riconosce alla persona diritti inviolabili ed impone alla stessa doveri inderogabili, sia come singolo sia nelle formazioni sociali, in cui si svolge la sua personalità." "Spetta al Parlamento - ha concluso Lauro -, recuperando un ritardo ormai ingiustificato, individuare, nell'ambito applicativo dell'articolo 2 della Costituzione, le forme di garanzia e di riconoscimento per le unioni di fatto, disciplinando una relazione interpersonale già in essere, di cui il diritto prende atto, su esplicita richiesta di coloro che sono interessati. Questa proposta, frutto di una lunga riflessione, è offerta come punto di equilibrio, da approfondire e da ampliare nel dibattito parlamentare
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