\\ Home Page : Storico per mese (inverti l'ordine)
Di seguito tutti gli interventi pubblicati sul sito, in ordine cronologico.
Comunicato stampa su DDL abolizione del valore legale del titolo di studio (Senato, 3 dicembre 2010)
Di Raffaele Lauro (del 02/12/2010 @ 23:05:45, in Il commento politico, linkato 453 volte)
UNIVERSITA'. Lauro (PdL): Delega al Governo per l'abolizione del valore legale del titolo di studio. Una "scelta enaudiana" più efficace di mille riforme per rinnovare e per riqualificare l'università italiana
Con un disegno di legge, in un articolo unico, presentato stamane al Senato, il sen. Raffaele Lauro (PdL) propone di conferire una delega al Governo per l'abolizione del valore legale del titolo di studio, facendo riferimento all'ordine del giorno Grimoldi n. 9/1966/56, accolto dal Governo il 9 gennaio 2009, presso la Camera dei deputati, nel corso dell'esame del disegno di legge di conversione del decreto-legge n.180 del 2008, recante "Diritto allo studio, valorizzazione del merito e qualità del sistema universitario e delle ricerca", con il quale il Governo si impegnava a superare "gradualmente" il valore legale del titolo di studio. "Le resistenze conservatrici, autoreferenziali ed opportunistiche del mondo accademico, di fronte a qualsiasi tentativo di riforma universitaria, confermate in queste ultime settimane di scioperi e di tensioni sulla riforma Gelmini, dovrebbero convincere il Governo e il Parlamento - ha dichiarato Lauro - della necessità di abolire, al più presto, il valore legale del titolo di studio, che ha trasformato i nostri atenei in autentici laureifici. L' abolizione indurrebbe, al contrario, una concorrenza tra gli atenei che darebbero esclusiva importanza alla qualità della didattica. La mancanza, inoltre, del ricorso al pezzo di carta per accedere al mercato del lavoro, implicherebbe la frequenza delle scuole e delle università solo da parte dei ragazzi veramente motivati, con un conseguente miglioramento dell'offerta formativa. Nè può valere oltre l'obiezione strumentale che una liberalizzazione del sistema formativo comporterebbe un'esplosione di corsi privati dall'incerta qualificazione in un mercato formativo fatalmente influenzabile, in maniera esclusiva, da logiche economiche." " La mia proposta dell'abolizione del valore legale del titolo accademico - ha aggiunto il sen. Lauro -, riprende l'impostazione liberale einaudiana e la aggiorna rispetto alla evoluzione della società e del mercato: si, lo Stato deve fare un decisivo passo indietro, rinunciando ad un criterio che imporrebbe un livellamento dei sistemi d’istruzione, limitando l’innovazione e la concorrenza, con l’imposizione di schemi rigidi e di regole comuni applicate a tutti gli istituti scolastici operanti sul territorio nazionale." "L'acquisizione di un titolo di studio - ha coincluso Lauro - non può avere il valore di certificazione burocratica. Non è il pezzo di carta che, nel mondo reale, ovvero quello delle imprese e delle professioni, orienta i criteri di selezione delle risorse umane, semmai è l’affidabilità di quel pezzo di carta, ovvero la reputazione ed il rating dell’ateneo che l’ha rilasciato. Solo così sarà possibile differenziare il prodotto offerto dai singoli atenei, facendo entrare le università in concorrenza tra loro, creando un circolo virtuoso, indispensabile alla ripresa della crescita culturale ed economica del nostro Paese"
Di Raffaele Lauro (del 01/12/2010 @ 21:35:42, in Il commento politico, linkato 495 volte)
SENATO DELLA REPUBBLICA
AS ....
———– XVI LEGISLATURA ———–
DISEGNO DI LEGGE
d’iniziativa del senatore LAURO
———–
Delega al Governo per l'abolizione
del valore legale del titolo di studio
———–
Onorevoli Senatori. - Come noto, i titoli rilasciati alle autorità scolastiche a conclusione di un ciclo di studi, sotto il profilo giuridico, sono volti a comprovare il compimento del percorso formativo prescritto dalle norme in vigore e sono rilasciati a seguito di esami o valutazioni finali. Essi producono effetti sia nell’ambito dell’ordinamento scolastico, sia in ambito extrascolastico, sulla base delle prescrizioni di legge che contemplano le modalità di rilascio e di utilizzo e che ne definiscono gli effetti. In particolare, per quanto concerne l’ambito scolastico, il possesso di un titolo riconosciuto è, quasi sempre, la condizione necessaria per il proseguimento degli studi. In ambito extrascolastico il valore legale ha significato principalmente in due direzioni:
a) per l’accesso alle professioni liberali (secondo le regole stabilite da ciascun ordinamento professionale), spesso dopo il superamento di un esame di stato (per l’abilitazione professionale), per il quale il titolo specifico è condizione necessaria ma non esaustiva;
b) per accedere ai soli pubblici impieghi che richiedono il possesso di un apposito titolo di istruzione.
Il 9 gennaio 2009, in sede di esame, presso la Camera dei deputati, del disegno di legge di conversione del decreto-legge n. 180 del 2008 recante "Diritto allo studio, valorizzazione del merito e qualità del sistema universitario e della ricerca", approvato dal Senato, il rappresentante del Governo dichiarava di accogliere l'ordine del giorno Grimoldi n. 9/1966/56, una volta riformulato il dispositivo, nel quale le parole: "abolire il requisito del valore legale del titolo di studio" furono sostituite dalle seguenti: "un graduale superamento del valore legale del titolo di studio".
Nelle motivazioni premesse al suddetto ordine del giorno, si specifica che l’attuale titolo di studio, legalmente riconosciuto, sarebbe alla base della trasformazione degli atenei in "laureifici": la sua abolizione indurrebbe, al contrario, una concorrenza virtuosa tra gli atenei che darebbero sempre maggiore importanza alla qualità della didattica. La mancanza, inoltre, della necessità del "pezzo di carta" per accedere al mercato del lavoro, implicherebbe la frequenza delle scuole e delle università solo da parte dei ragazzi veramente motivati, con un conseguente miglioramento dell'offerta formativa.
La richiesta abolizionista si rifà sostanzialmente al modello statunitense, dove non vi è alcun controllo statale sui contenuti di studi svolti, come sulla competizione tra le istituzioni formative, sulla valutazione del valore dei titoli affidata interamente al mercato.
Coloro che si oppongono all’abolizione del titolo di studio sostengono che una misura di tal genere condurrebbe verso un sicuro declino culturale a ragione del fatto che essa determinerebbe esclusivamente una liberalizzazione del sistema formativo che, accompagnata dalla sua privatizzazione, comporterebbe un'esplosione di corsi privati dall'incerta qualificazione in un "mercato formativo" fatalmente influenzabile, in maniera esclusiva, da logiche economiche.
Come si vede il dibattito è aperto, anzi non si è ancora concluso da quando lo stesso Einaudi, coerentemente con la sua ispirazione liberale, chiedeva allo Stato di fare un decisivo passo indietro, rinunciando alla pretesa di definire sistemi di istruzione fondati su schemi e regole valevoli per tutti.
Il disegno di legge, proponendo la abolizione del valore legale del titolo accademico, riprende l'impostazione liberale einaudiana e la aggiorna rispetto alla evoluzione della società e del mercato: si, lo Stato deve fare un decisivo passo indietro, rinunciando ad un criterio che imporrebbe un livellamento dei sistemi d’istruzione, limitando l’innovazione e la concorrenza, con l’imposizione di schemi rigidi e di regole comuni applicate a tutti gli istituti scolastici operanti sul territorio nazionale.
L'acquisizione di un titolo di studio non può avere il valore di certificazione burocratica. Infatti non è il pezzo di carta che nel mondo reale, ovvero quello delle imprese e delle professioni, orienta i criteri di selezione delle risorse umane, semmai è l’affidabilità di quel pezzo di carta, ovvero la reputazione ed il rating dell’ateneo che l’ha rilasciato.
A ben vedere, peraltro, la distinzione tra qualifiche accademiche e qualifiche professionali, pur avendo radici nella stessa Costituzione che, all'articolo 33, prescrive l'esame di Stato per l'abilitazione all'esercizio professionale, determina come conseguenza che il possesso della sola qualifica accademica non sia sufficiente per l'accesso alle professioni pubbliche e private; la legge prescrive, infatti, in aggiunta al titolo di studio, ulteriori accertamenti di preparazione professionale, tirocini pratici e, in alternativa agli esami di Stato, esami di concorso per l'accesso al pubblico impiego con funzione selettiva e comparativa degli aspiranti.
Possiamo concludere quindi che il valore del titolo legale, in Italia, si esaurisce nella legittimazione a sostenere esami di abilitazione per determinate professioni o a partecipare a concorsi per l'accesso alla pubblica amministrazione. La sua abolizione può consentire di differenziare il prodotto offerto dai singoli atenei, facendo entrare le università in concorrenza tra loro, creando così un circolo virtuoso.
Art. 1.
1. Il Governo è delegato ad adottare, entro un anno dalla data di entrata in vigore della presente legge, un decreto legislativo volto ad abolire il valore legale del diploma di laurea e degli altri diplomi universitari.
2. Il decreto legislativo di cui al comma 1 è adottato nel rispetto dei seguenti princìpi e criteri direttivi:
a) abrogazione delle disposizioni di legge in vigore che conferiscono valore legale al diploma di laurea e agli altri diplomi universitari;
b) adozione delle necessarie disposizioni di coordinamento in materia di accesso alle professioni e agli impieghi pubblici.
3. Lo schema di decreto legislativo di cui al comma 1 è trasmesso alle Camere per l'espressione del parere da parte delle competenti Commissioni parlamentari, che deve essere reso entro quarantacinque giorni dalla data di trasmissione.