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Lauro: la tutela della nostra identità nazionale (Sorrento, Priora, 11 ottobre 2009)
Di Raffaele Lauro (del 10/10/2009 @ 00:31:40, in Il commento politico, linkato 507 volte)
PRESENTAZIONE DEL LIBRO “LA PARROCCHIA DI PRIORA” INTERVENTO CONCLUSIVO DEL SEN. RAFFAELE LAURO “La tutela della nostra identità nazionale” Villa Eliana, 11 ottobre 2009, ore 19.30 Caro don Francesco Saverio, Caro Giovanni, Amici e Parrocchiani di Priora, alla tenacia, all’ardore religioso, alla pietas ed all’amore del Parroco, don Francesco Saverio Casa, per il Santo Patrono Atanasio e per i fedeli parrocchiani di Priora, si deve la pubblicazione di questo volume, scritto, con mano felice, in forma accessibile, senza rinunziare ad una impostazione rigorosa e ad una solida documentazione, da Marco Mantegna. In questo pregevole lavoro sono concentrati aspetti che investono multiformi sfere dell’umano agire, da quelle più intime e personali sino a quelle esteriori, di singoli come dell’ecclesia, cioè della comunità intesa come corpus unitario. Il libro traccia le tappe, talvolta dure e defatiganti, del cammino della comunità parrocchiale che, da secoli, si riunisce intorno alla chiesa di Sant’Atanasio Vescovo, senza la quale, il borgo di Priora sarebbe un mero agglomerato di case, senz’anima, senza tradizione, senza il senso del vivere insieme, senza vita comunitaria; allo stesso tempo, ne registra, ne vive e, talvolta, ne soffre le contingenze immediate e quotidiane, esaltando la predisposizione a fare del bene. La storiografia delle piccole storie locali ha un’onorabilità e, pertanto, merita di essere approfondita, conosciuta e tramandata ai posteri. La Storia è il terreno sul quale si svolgono le azioni degli individui. Gli eventi storici dipendono dalle volizioni e dalle azioni dei singoli, ma risultano sempre dall’incontro delle azioni di più individui e, in tal senso, sono opera dello Spirito, secondo Benedetto Croce. Ciò vale, quindi, sia quando si scrive della battaglia di Waterloo, sia quando si scrive, come in questa particolare occasione, della piccola comunità di Priora. In chiave interpretativa, cadono, dunque, le differenze la grande storia e le piccole storie. Queste ultime magari non saranno incluse nei manuali scolastici e non diverranno oggetto di attenzione da parte dei cattedratici, ma rappresentano, a buon diritto, tanti piccoli affluenti di quel fiume che è il cammino dell’umanità. Per tali ragioni storicistiche, oltre che per la mia ammirazione verso il palpitante centro religioso di questa comunità, ho scritto la presentazione e, stasera, ho il privilegio di presentare quest’opera di storia locale. Questa iniziativa, quindi, va salutata con entusiasmo, non soltanto da quanti, per ragioni di varia natura, hanno a cuore Priora, ma anche da coloro che ancora si affannano a voler stabilire quali disposizioni avesse dato, prima di andare a dormire, il principe di Condé, la notte avanti la battaglia di Rocroi, oppure come sarebbe cambiata la faccia della Terra, se il naso di Cleopatra fosse stato leggermente più corto. La Parrocchia di Sant’Atanasio Vescovo – Tra storia, immagini e documenti – ha il diritto, quindi, per merito dell’Autore, di assurgere a dignità, documentale e storica. Con competenza scientifica, con chiarezza espositiva e con dovizia di particolari, l’Autore dipana il viluppo narrativo di aneddoti, di testimonianze e di documenti, coinvolgendo il lettore, al quale sembrerà: - di poter percorrere le antiche strade ed i casali; - di poter entrare, per merito anche del superbo apparato iconografico, nella chiesa di Sant’Atanasio; - di poter ammirare le statue, il pavimento maiolicato della navata laterale, l’altare maggiore restaurato, il tabernacolo in argento sbalzato, i lampadari artistici e l’organo del ‘700; - e, da ultimo, di poter udire il suono delle tre campane, dopo averne appreso le circostanze della fusione. Al lettore sembrerà di rivivere la presenza spirituale ed irradiante dei Parroci che si son succeduti alla guida della comunità, dagli inizi del Seicento ad oggi, attraverso i racconti delle loro vite, arricchiti da episodi dilettevoli riguardanti quei ministri di Dio che, nell’ultimo secolo, hanno officiato in Priora: don Angelo Montorsi, don Nicola Fiorentino, don Pasquale Ercolano, Don Giuseppe Fontanella. Anche il più giovane lettore, potrà apprendere: - come don Angelo Montorsi riuscisse a porre fine ad un fenomeno “malavitoso”, che angustiava i suoi parrocchiani, allorquando questi si recavano da Priora a Sorrento per vendere i prodotti della terra; - della acutezza e della vasta cultura di don Nicola Fiorentino, il quale, con le parole del marchese Giusso, sembrava “un pianoforte, perfettamente accordato, in cui qualunque tasto pigiato produceva la nota giusta”; - di come don Pasquale Ercolano, miracolosamente, riuscisse a salvarsi dallo scoppio di una bomba, mentre celebrava messa, al fronte, durante il primo conflitto mondiale; - ed, infine, della sublime oratoria di don Peppino Fontanella, mastice della comunità ed energico difensore dei diritti delle pecorelle del suo gregge. Questo libro ci conferma come le nostre realtà vivono ancora intorno alla chiesa e si collegano alla figura del parroco, perno del micro sistema sociale, anima della comunità. Colui che abita nei pressi, questo è l’etimo della parola parroco, dal greco parà oikéo, ad indicare la funzione di sacerdote di una chiesa circondariale, creata per essere più prossima alle dimore dei fedeli rispetto alla chiesa cattedrale. In ciò stesso, è riscontrabile una vicinanza, non solo fisica, ma morale, ai membri della comunità. Il parroco è stato e, fortunatamente, ancora rimane, non soltanto un ministro di Dio e del culto religioso, il tramite tra il cielo e la terra, la reale mano caritatevole del Signore, colui che rimette i peccati per mandato divino, ma, nell’immediato, il punto di riferimento che, se mancasse, penalizzerebbe la comprensione di numerosissimi aspetti della vita di ciascun fedele. La nostra formazione, legata al cristianesimo e al cattolicesimo, oggi più che in passato, richiede profonde riflessioni sui destini ultimi del nostro operare, aspira ad ottenere risposte che troppo spesso non trovano corrispondenza nella famiglia e vuole soddisfare il bisogno continuo di rassicurazione. I vettori, quindi, della nostra cultura, nazionale e popolare, sono anche i parroci, con la loro umanità, la loro comprensione, la loro disponibilità, il loro caldo abbraccio, il loro sacrificio, il loro sorriso e la loro solitudine. “Il sacerdote - scrive Vittorino Andreoli - è un personaggio della nostra società, una figura che ha una lunga storia nella nostra cultura, che ha assolto compiti diversamente riconosciuti e, sovente, anche contrastati. Un personaggio che è cambiato, perché è cambiato l’ambiente in cui si pone. Così, pur perseguendo un identico obiettivo, legato al ruolo istituzionale che ricopre, l’ambiente in cui vive lo ha modificato, mutando persino il modo esteriore con cui si presenta al popolo. Rimane un personaggio colto, perché oggi, come nel passato, il raggiungimento della sua posizione comporta studi severi ed una lunga preparazione, ma a distinguerlo non è il sapere, bensì il ruolo, che ha un’origine misterica, una vera consacrazione.” Nonostante il taglio, sociologico e riduttivo, di questa definizione, salta immediatamente all’occhio come il parroco sia una figura inscindibile dall’ambiente sociale in cui opera, quantunque siano mutate alcune condizioni del rapporto tra prete e comunità; come il parroco si sia dovuto adeguare “esteriormente” a questi cambiamenti, pur rimanendo, con più difficoltà di prima e con maggiori rischi del passato, sempre fedele alla propria missione e ai propri compiti. Ciò, in linea con le profonde aperture alla modernità di Giovanni Paolo II. Non posso, qui, non ricordare, con intimo affetto e con profonda “emozionata” gratitudine, rinnovata, nella mente e nel cuore, nell’incontro con le immagini, riprodotte in questo volume, dei “miei” arcivescovi Carlo Serena, Raffaele Pellecchia e Antonio Zama, figure che molto hanno contato nella mia formazione umana ed hanno segnato il mio sofferto cammino di fede. Sono certo che questi sentimenti di ammirazione verso i parroci siano comuni a molti tra di noi, anche da parte di chi, per scelta libera (ed illusoria!), ama definirsi non credente, quasi che il non avere fede rappresenti una garanzia assoluta di indipendenza intellettuale e di autonomia etica. Per i non credenti, il sacerdote è un uomo tra gli uomini, che sceglie come modello e maestro il Cristo, stabilendo con Lui una relazione da allievo e seguendolo, quale modello di esistenza. Ma non è soltanto questo, perché la sua esperienza non si limita alla propria vita. Essa si pone, come scopo, il testimoniare Cristo agli altri. Ma, per il credente, il parroco ha un valore aggiunto: è un maestro di modelli per crescere e per vivere. Il sacerdote ha scoperto Cristo come modello di vita, è stato da Lui chiamato a farsi apostolo e, quindi, a girare il mondo, mostrandosi come lui si è mostrato. Il prete, dunque, donando se stesso, dona Cristo, occupandosi del gregge di Dio, lo fa come lo avrebbe fatto Cristo. Quest’opera testimonia anche questo. Le azioni e gli uffici dei parroci, che si sono succeduti alla guida della Parrocchia di Sant’Atanasio, rivelano come la presenza di Dio possa essere avvertita in ogni singola cosa e in ogni gesto, seppur piccolo, dei parroci. L’appendice documentaria del volume, per certi aspetti, ne è il campione esemplare: - sia che si tratti di inoltrare richieste al vicario diocesano per qualsivoglia faccenda o di perorare la causa di beatificazione di Teresa Manganiello, la terziaria francescana che ispirò padre Ludovico Acernese, nella fondazione delle Suore Francescane Immacolatine; - sia che si tratti di redigere il resoconto delle offerte e delle spese occorse per la rifusione della campana grande della chiesa. Ho immaginato, scorrendo questo elenco, lo stupore meravigliato di un parrocchiano del 2009 nel costatare la trasparenza di quella rudimentale e grandiosa contabilità. Le carte ormai ingiallite, l’inchiostro stinto e la grafia chiara, spesso vergata, raccontano l’incredibile storia di questa testimonianza, del tramite, per usare le parole di Sant’Agostino, tra la città celeste e la città terrena. La vita stessa della piccola comunità parrocchiale è scandita da queste piccole contingenze che la caratterizzano, come il suono delle campane che, propagandosi per il paese, annunzia ai fedeli l’appuntamento religioso. La comunità parrocchiale è un fulgido esempio del vivere comune, della socialità, della condivisione dei sentimenti che qualifica la vita degli uomini. La comunità parrocchiale, dunque, rimane, oggi, nella nostra civiltà cristiana, il luogo dove ogni fedele può trovare l’appagamento a questo bisogno, il luogo in cui esso può portare a perfezione il fine della sua esistenza terrena. Tra questi modi di appagamento, vi sono anche le manifestazioni esteriori dei propri sentimenti di fede che trovano compiuta rappresentazione nei riti e nel culto tributato a Dio. Il culto di una religione, indipendentemente dalle sue sacre scritture, dalla sua teologia o dalla fede personale dei suoi credenti, è la totalità della pratica religiosa, anche esteriore. Esso si esplica, nella nostra tradizione religiosa, in una serie di funzioni esteriori, che sono legate all’interiorità del singolo e della comunità. I riti non sono mere operazioni della tradizione, semplici eventi folkloristici, ma valori vissuti. La processione per le strade cittadine della statua del Santo Patrono, nell’immediato, rappresenta un evento esteriore che può attirare visitatori, grazie anche al paese vestito a festa, alle luminarie, agli spettacoli collegati, alle sagre contadine, ma nell’animo degli appartenenti a quella comunità è qualcosa di ben diverso, di superiore. Ripenso al sogno di don Peppino Fontanella, la solenne processione dei quattro santo compatroni di Sorrento: Atanasio, Bacolo, Renato e Valerio, che insieme a S. Antonino, avrebbero dovuto sfilare processionalmente per le strade di Priora. Allo stesso modo, le confraternite hanno come scopo caratterizzante l’incremento del culto pubblico, oltreché l’esercizio di opere di carità, di penitenza e di catechesi. Quasi ogni nostra parrocchia ha una propria confraternita e le storie che le riguardano sono storie di uomini che, in nome di Dio, si sono riuniti per fare del bene, a se stessi, elevando il proprio spirito, e agli altri, occupandosi degli indigenti e promuovendo la filantropia. Queste finalità animano anche la risorta Venerabile Confraternita della Immacolata Concezione di Maria Santissima di Priora. Tutti questi aspetti sono profondamente impressi in noi. La nostra cultura occidentale ne è impregnata. Sono valori che appartengono ad ciascuno di noi, anche a chi non è credente. Ma il mondo cambia, cambiano gli uomini e cambiano le idee, cambiano le modalità di incontro e di relazione, oggi affidate anche ad Internet, per cui i nostri valori sono in pericolo. Questo pericolo non ha le fattezze di una persona o di un nemico visibile, ma si insinua subdolamente tra di noi. L’omologazione culturale appiattisce le passioni: ci impone di essere tutti uguali, di pensarla allo stesso modo e di agire allo stesso modo. In nome del profitto, un’altra entità invisibile, la globalizzazione, s’incunea e rischia di depredarci della nostra eredità morale, minacciando la stessa sopravvivenza delle culture popolari. L’omologazione culturale e la globalizzazione possono essere combattute, almeno nei loro tratti più alienanti ed esiziali, proprio contrapponendo loro quell’insieme di valori che fondano la nostra coscienza individuale e collettiva, valori che questo libro pone in evidenza. Esso ci consegna un esplicito messaggio etico, che lo rende, per tale ragione, non un insieme di fogli ben stampati, ricco di belle immagini, sacre e naturalistiche, da ammirare, da sfogliare e da riporre in libreria, quasi come un oggetto museale. Quanto la radiografia di una storia e di una cultura rurale, vivente e palpitante, che, per continuare a vivere e a palpitare di fede cristiana, di ricordi, di affetti, di passioni, di sentimenti, di lacrime, di dolore o di felicità, impone, ai membri della comunità di Priora, una lettura meditata ed una partecipazione, vissuta con coerenza, senza egoismi e senza sopraffazioni. Allora i riti, le processioni, le sagre, a partire da quella dell’uva, pervenuta al trentennale, non saranno manifestazioni esteriori, ancorché belle, ma il corollario autentico di una fede religiosa integralmente vissuta. Tutto questo insieme può e deve essere anche il baluardo a difesa della nostra identità individuale e nazionale. La nostra nazione è oggi minacciata dai novelli saraceni, nonché dalla infiltrazione di altre culture, anche religiose, nel nostro tessuto sociale. L’accoglienza dell’immigrato, del diverso, il rispetto per la dignità della persona umana e il dialogo con tutte le altre civiltà, senza mai precipitare nel razzismo o nello sciovinismo, devono presupporre il rafforzamento, non la rinunzia o l’appannamento delle nostre radici, pena il progressivo dissolvimento della nostra identità. Solo se avremo ben radicate in noi la nostra cultura e le nostre tradizioni, potremo proficuamente relazionarci con quanti verranno da noi e sceglieranno di vivere nel nostro paese, con tutti i benefici che potranno godere. Il rischio di essere colonizzati culturalmente, in una guerra di conquista, che non si combatte con eserciti ed armi convenzionali, ma con il falso progressismo, con la falsa umanità, con la malcelata superiorità da parte nostra e con la falsa volontà di integrazione da parte loro, è alto. La loro presenza sul nostro territorio non può risolversi in un mero rapporto di tipo commerciale o lavorativo, ma deve presupporre la reale integrazione nel nostro tessuto sociale, per essi stessi e per le loro famiglie. La nostra società è chiamata ad affrontare questi problemi di natura epocale, che hanno assunto proporzioni vastissime, con ricadute politiche e sociali, assai rilevanti, e che, se non governati, con realismo, con fermezza e con lungimiranza, in un’ottica di collaborazione con l’Unione Europea e di idonee intese, operative e gestionali, bilaterali e multilaterali, con i paesi di origine o di transito dei flussi, potrebbero, con il trascorrere del tempo, appannare la nostra identità nazionale e le culture, locali e territoriali, di cui il nostro Paese è ricco. Questi complessi fenomeni, quindi, necessitano di adeguate regolamentazioni, che tengano conto anche della tipologia dei flussi migratori: da una parte, occorre contrastare efficacemente l’immigrazione illegale, di qualsivoglia origine, salvaguardando soltanto il diritto di asilo, e, dall’altra parte, disciplinare, in modo rigoroso, i criteri e le modalità, anche di natura organizzativa e logistica, per assicurare ai lavoratori immigrati, entrati regolarmente sul territorio nazionale, un ordinato, effettivo e non traumatico inserimento nelle strutture produttive e sociali del Paese di arrivo. Accanto e contemporaneamente alla regolamentazione del fenomeno migratorio, gli Stati devono preoccuparsi di assecondare e di guidare il processo di integrazione degli stranieri. Occorre favorire i processi di comunicazione per evitare che si creino “nicchie”, “isole” o “ghetti”, urbani o suburbani, di comunità autoctone autoreferenziali, spesso fondamentaliste sul piano religioso, incapaci di dialogare con l’esterno. Ciò, infatti, rischia di provocare diffidenza reciproca tra le diverse componenti, alimentando fenomeni, che spesso sfociano in episodi di violenza e preludono alla disintegrazione conflittuale della società. Le autorità nazionali e periferiche di governo sono chiamate, quindi, a predisporre opportune politiche di integrazione ed attuare strumenti adeguati per aiutare gli stranieri a conoscere la lingua del paese ospitante, la sua cultura, le tradizioni, nazionali e locali, dei territori, nei quali vengono ad abitare, a lavorare e a vivere, spesso con i propri nuclei familiari. Nello stesso tempo si impone un’educazione alla legalità, assicurata dall’apprendimento delle regole fondamentali di convivenza e dalla conoscenza delle istituzioni dello Stato ospitante. Lo straniero che chiede la cittadinanza italiana, dopo un congruo periodo di permanenza nel territorio nazionale, deve poter manifestare un desiderio consapevole e maturo di entrare pleno iure nella comunità dei cittadini dello Stato che lo ospita, dimostrando di aver acquisito gli strumenti fondamentali per poter esercitare pienamente i diritti, che derivano dalla concessione della cittadinanza, di possedere le sufficienti competenze linguistiche per comunicare, come pure di aver assimilato gli elementi essenziali della cultura, delle tradizioni, della storia nazionale e locale. Dovere di ogni cittadino, e di ogni cristiano, è difendere, vivendolo con consapevolezza, il proprio patrimonio ideale, edificato nel corso dei secoli, da qualsiasi attacco, perpetrato in qualsivoglia modo. E’ questo deve essere praticato con orgoglio, senza paura e con fierezza. La difesa della nostra identità, nazionale e individuale, è un obbligo, un dovere che noi dobbiamo alla nostra coscienza e alla nostra storia. L’inadempimento di questo compito ci renderebbe inadeguati e soccombenti a qualsiasi tipo di relazione con culture diverse dalla nostra. Ecco perché il nostro incontro di stasera rappresenta non un momento rituale, seppur gradevole, ma l’espressione della consapevolezza comune dei difficili compiti che ci attendono, in futuro, come comunità nazionale e come comunità locale!!! Rassegna Stampa: Il Mattino, Metropolis e TG 3 Campania (13 ottobre, ore 19.30)
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