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Interventi del Sen. Lauro ai Convegni "Le Sorelle d'Italia" e "I formaggi. Delizia della tavola" (Sorrento, 2 aprile 2011)
Di Raffaele Lauro (del 06/04/2011 @ 20:46:24, in Il commento politico, linkato 494 volte)
"Le Sorelle d'Italia - Donne e Rosorgimento"
Il ruolo delle donne nella costruzione dello Stato italiano è sempre stato considerato subordinato a quello maschile.
Quelle donne, nonostante la poca o nulla visibilità pubblica, non solo ebbero un ruolo rilevante in quel processo, ma furono numerose, di diverse estrazioni sociali, e si dimostrarono volitive, determinate, con idee e progetti da costruire, impegnate direttamente nelle cospirazioni così come nelle lotte vere e proprie, anche se in genere con funzioni di organizzatrici - una delle poche che imbracciò il fucile fu Anita Garibaldi - passate poi, dopo l'unificazione, a ruoli di impegno sociale a beneficio delle donne e dell'infanzia, per il riscatto sociale delle classi disagiate, per l'organizzazione e la promozione dell'educazione.
Queste donne, senza esagerare, furono centinaia. Anche se in gran parte dimenticate, non mancarono di essere coraggiose protagoniste nelle vicende che portarono all’unificazione d’Italia.
Sebbene, quindi, fossero state figure di primo piano in quel processo storico, sono finite troppo presto nel dimenticatoio, tanto che, i loro nomi risultano oggi quasi scomparsi dai manuali di storia e, dunque, sconosciuti ai più.
Nella stragrande maggioranza dei casi, il loro apporto non si limitò alla partecipazione più o meno attiva alla fase di unificazione dello Stato italiano, ma proseguì nel tempo, concretizzandosi in iniziative di alto valore civile e sociale, in grado di far crescere la nuova nazione e di avviare la costruzione di una società più libera e giusta.
Il percorso che trasformò un’idea nella realtà dell’Italia unita, dalla Lombardia alla Sicilia, fu contrappuntato dal progressivo coinvolgimento delle masse, dunque l’apporto femminile fu determinante in tutte le sue tappe.
Questo percorso però, si espresse in forme di partecipazione diverse, che lo resero meno “eroico” e perciò più oscuro ed anche più facilmente oscurabile da parte degli stessi contemporanei. Il medesimo destino, del resto, che è sempre toccato nei secoli, e in parte ancora oggi, al ruolo della componente femminile, peraltro numericamente maggioritaria, in tutte, o quasi, le società umane.
La storia delle donne e dell'unità d'Italia, è stata una storia scritta con un inchiostro invisibile. Una trama fitta e sottile di presenze operose, generose, importanti, anche se taciute, come spesso accade all’agire femminile.
Le donne furono presenti attivamente nel processo risorgimentale e vi contribuirono con atteggiamenti diversi, coraggiosi e innovativi, con scelte di libertà. Ma, se le donne ci furono e operarono, una perpetrata omertà della storia e degli storici, non ha reso loro giustizia.
Giuseppe Mazzini nell’utopia universalistica della sua visione della realtà, manifestò posizioni aperte e rispettose circa l’importanza del ruolo della donna nella società, anche se ammise l’immaturità dei tempi affinché qualcosa potesse cambiare e la donna partecipare alla vita politica del Paese: “L’emancipazione della donna - scrisse Mazzini - sancirebbe una grande verità, di base a tutte le altre, l’unità del genere umano, e assocerebbe nella ricerca del vero e del progresso comune una somma di facoltà e di forze, isterilite da quella inferiorità che dimezza l’anima. Ma sperare di ottenerla alla Camera come è costituita, e sotto l’istituzione che regge l’Italia (la monarchia) è, a un dipresso, come se i primi cristiani avessero sperato di ottenere dal paganesimo l’inaugurazione del monoteismo e l’abolizione della schiavitù”.
L’emancipazione della donna passò, senza dubbio, attraverso l’esperienza dell’associazionismo, che diffuse la pratica del dibattito e della democrazia. In questo senso, il "salotto" fu il primo strumento di apertura alla sua partecipazione e all’impegno intellettuale e civile. Fu in ambiti aristocratici e alto-borghesi, il cui livello culturale e l’internazionalità della formazione consentivano di produrre opinioni e confrontarle diffondendo così la passione per l’impegno sociale e civile, che ciò ebbe luogo.
Nobildonne aprirono i loro salotti a letterati, patrioti e artisti, contribuendo, in modo sostanziale, alla creazione di un humus fertile alla diffusione dei fervori unitari e risorgimentali.
Spesso simpatizzanti delle idee mazziniane, o vicine alla carboneria, come poi lo saranno alla teosofia, alla massoneria, esse hanno meno combattuto tra le barricate a colpi di moschetto, e più lavorato per la costruzione del paese civile. Nel salotto di via Bigli, ad esempio, la contessa Maffei riunì patrioti e artisti, uniti dall'anelito di indipendenza e dall’ardore libertario, quegli stessi che, nel 1859 avrebbero imbracciato le armi contro l’aquila Asburgica.
Filantrope più che patriote, quindi, fondarono ospedali, organizzazioni per l’assistenza alle minorenni, aprirono asili e scuole per affrancare le donne da quella indigenza di cultura che si traduceva in mancanza di libertà.
Le sottili trame del femminile legarono fatti e persone e spesso, i destini di queste donne, si incrociarono o si sfiorarono. Alcune di esse sono entrate nei libri di scuola, come Anita Garibaldi, compagne di eroi, o astute strateghe dell’intrigo e della politica, come la Contessa di Castiglione. Altre contribuirono, con i loro sforzi e le loro idee, ad un’azione collettiva e diffusa in cui è difficile far emergere singole individualità.
Sono prime forme di associazionismo intorno a veri e propri progetti politici, sono comitati di filantrope dedite ad un progetto sociale, sono gruppi di giornaliste e intellettuali riunite intorno ad un periodico, comitati clandestini di patriote e congreghe dal carattere religioso.
Spesso queste storie si coloravano di episodi avventurosi e rocamboleschi, e queste non sempre famose eroine si destreggiavano vestendo, il più delle volte, panni maschili, nascondendosi sotto travestimenti e false identità.
Se gli uomini del Risorgimento, quindi, furono i protagonisti dell’Unità politica del Paese, le donne, nell’ombra, operarono alla creazione dell’unità sociale e culturale della nuova e giovane Italia. Nel fare questo, avviarono, contemporaneamente, la prima riflessione sulla condizione femminile, cominciando ad elaborare l’identità della donna dell’Italia unita.
Esse tracciarono la strada sulla quale avrebbero camminato le donne del futuro, quella stessa strada sulla quale, oggi, 150 anni dopo, esse sono ancora in cammino.
È bene volgere un rapido sguardo sulle esistenze di alcune di queste donne incredibili, per riparare, in piccolissima parte, al torto, commesso sia dai loro contemporanei, sia dagli storici, che le hanno confinate nel limbo della storia.
Cristina Trivulzio di Belgiojoso: milanese, ebbe una travagliata vita familiare e comportamenti, per il tempo, ritenuti scandalosi (sposata, lasciò il marito ed ebbe una figlia da un nuovo compagno). Fuggita in Francia dopo il 1831, divenne giornalista. Tornata in Italia nel 1840 si stabilì a Trivulzio. Colpita dalle condizioni di miseria dei contadini, si dedicò ai problemi sociali. Seguendo le teorie utopistiche di Saint Simon e Fourier, aprì asilo e scuole per figli e figlie del popolo. Nel 1848-'49 fu ancora in prima linea: raggiunse Milano guidando la "Divisione Belgioioso", 200 volontari da lei reclutati e trasportati in piroscafo da Roma a Genova e da lì a Milano. A Roma, nei mesi della Repubblica guidata da Mazzini, lavorò giorno e notte negli ospedali durante l'assedio della città, creando le "infermiere" laiche e chiamando a questo compito nobili, borghesi e prostitute. Alla caduta della Repubblica (luglio 1849), dopo essersi battuta per salvare feriti e prigionieri, fuggì a Malta, ad Atene e infine a Costantinopoli. Alla sua morte, nessuno dei politici d'Italia partecipò ai suoi funerali.
Anna Grassetti Zanardi: bolognese, fu moglie di uno degli organizzatori del tentativo insurrezionale mazziniano di Savigno. Anna, anch'essa ardente mazziniana, fu infermiera durante la campagna del 1848 e a Roma nel 1849. Durante la successiva restaurazione pontificia, per incarico di Mazzini, si occupò di creare comitati in città e anche in altri centri vicini. Sorvegliata e più volte perquisita, venne arrestata nel 1851 e trasferita nel carcere di Ferrara. Le cronache cittadine di fine ottocento la segnalavano, ormai vedova, sempre in testa al gruppo dei reduci garibaldini durante i cortei patriottici, con in dosso la camicia rossa garibaldina e il petto coperto da numerose medaglie.
Giuditta Tavani Arquati: romana, incinta del quarto figlio, si trovava in Trastevere, nel lanificio Aiani insieme al marito, al figlio dodicenne e a molti altri cospiratori, che preparavano la rivolta in attesa dell’arrivo di Garibaldi da Monterotondo. L’entrata degli zuavi pontifici scatenò un aspro combattimento e, nonostante una strenua resistenza, i congiurati vennero sopraffatti e Giuditta, che aveva spronato, aiutato e soccorso i rivoltosi, venne massacrata dopo aver visto uccidere il marito e il figlio.
Sara Levi Nathan: pesarese, si profuse per l'impegno politico e per le iniziative sociali: fu una fervente patriota, grande amica di Mazzini, che morì a Pisa nel 1872 proprio a casa di sua figlia Janet. Fu sorvegliata dalla polizia, e accusata di cospirazione. Riuscì a fuggire prima di essere arrestata e riparò a Lugano. Tornata a Roma, dette vita a numerose iniziative educative, filantropiche e sociali. Fondò, nel quartiere di Trastevere, una scuola intitolata a Mazzini, destinata alle ragazze, e aprì una casa per prostitute, l’Unione benefica, con l’intento di prevenire la prostituzione, offrendo a ragazze indigenti o in difficoltà alloggio, mezzi e possibilità di lavoro.
Giorgina Craufurd Saffi: di famiglia inglese, si innamorò dell’Italia, anche grazie al favore che la sua famiglia esprimeva per la causa italiana. Sposò Aurelio Saffi, esule italiano a Londra, già triumviro della Repubblica Romana nel 1849. Dalle idee mazziniane trasse il profondo interesse per l’educazione delle donne e dei giovani, cui andava inculcato il rispetto dei diritti e dei doveri dell'uomo, e l'idea che solo attraverso l'emancipazione e la partecipazione alla vita civile e civica si sarebbe potuto essere cittadini e non sudditi, e partecipare all'emancipazione della Patria e del Popolo. Giorgina scelse così di occuparsi, in primo luogo, dell’educazione di tutte le donne, prime e fondamentali educatrici dei propri figli, cosa che la porterà ad appoggiare i movimenti emancipazionisti che, in quella seconda metà dell‘800, faticosamente stavano facendosi strada.
Adelaide Cairoli: milanese, a 18 anni sposò Carlo Cairoli, professore di chirurgia di Pavia, di sentimenti patriottici. Donna di vasta cultura, curò lei stessa l’educazione per i figli indirizzandoli all’amore per la società e la patria. Finanziò giornali patriottici, ospitò un salotto politico-letterario, mantenne una corrispondenza con gli intellettuali del periodo. Così scrisse, lei stessa, una volta: “Prima ancora dunque che alla causa femminile, io mi ero votata a quella della mia patria e il mio amore per la prima nacque dal mio amore per la seconda.”
Enrichetta Caracciolo: napoletana, fu forzata dalla madre a prendere i voti, ma sei anni dopo, ne chiese lo scioglimento a Pio IX, con esito però negativo. Riuscì a far introdurre nel convento dove risiedeva, dei giornali liberali, prese posizione contro i Borbone e contro il fenomeno delle monacazioni forzate. Quando Garibaldi entrò a Napoli, depose il velo monacale sull’altare durante la messa di ringraziamento per la sconfitta dei Borbone. Sposò il patriota Giovanni Greuther e pubblicò un libro di memorie che ebbe molto successo, "I misteri del Chiostro napoletano"
Anita Ribeiro Garibaldi: fu la moglie di Giuseppe Garibaldi, nonché compagna di tutte le sue battaglie. Nel 1840, venne fatta prigioniera nella battaglia di Curitibanos, ma riuscì a sfuggire alla cattura. Nel 1849 era a Roma per la proclamazione della Repubblica Romana, dove combatté a fianco dei garibaldini, i quali però, dopo una lunga resistenza contro gli eserciti francese e austriaco che invasero la città, dovettero ritirarsi dopo la battaglia del Gianicolo. Durante quella fuga le condizioni di Anita, al quinto mese di gravidanza, peggiorarono, e fu proprio in quell'occasione che, a 28 anni, la donna-guerriero spirò.
Desidero sottolineare che ho potuto constatare di persona che in alcune delle enciclopedie italiane più rinomate, a differenza dei patrioti uomini, gran parte dei nomi che ho citato, o non sono neanche menzionati, o invece, laddove vi è la voce ricercata, vi è una semplice nota biografica, che non approfondisce minimamente il ruolo svolto dalla patriota negli avvenimenti storici.
Trovo tale fatto, in tutta sincerità, assurdo e fortemente paradossale. Sarebbe auspicabile, quindi, che parte delle energie e della vivacità impiegate per questi festeggiamenti del centocinquantesimo anniversario dell'Unità d'Italia, fossero investite nella ormai necessaria opera di restituzione della dignità storica a queste donne che, al pari degli uomini, contribuirono in modo determinante a costruire la nostra nazione e la nostra coscienza di italiani.
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"I Formaggi. Delizia della tavola"
La gastronomia è senza dubbio una parte importantissima della cultura italiana e parlarne in termini esaustivi è un compito tutt’altro che facile, data la vastità che ne rende praticamente incompleta qualunque definizione o descrizione.
La gastronomia italiana beneficia della ricchezza e della diversità delle tradizioni culinarie locali e degli ingredienti che contraddistinguono la maggioranza delle aree dello stivale: mare, monti, colline, laghi e pianure.
Certamente è anche il risultato di culture che hanno avuto una particolare sensibilità verso il cibo, visto non soltanto come modo per assicurare la sopravvivenza nella sua forma più essenziale, ma anche come elemento per ottenere piacere.
La cucina nazionale, quindi, si può definire come un insieme di culture e tradizioni gastronomiche regionali che hanno contribuito a creare un modello e uno stile identificabile con la “cucina italiana”.
La presenza di diverse culture popolari, che in ogni regione evidenziano ancora un forte legame con il proprio passato e con le proprie tradizioni culinarie, rende praticamente impossibile la definizione di una cucina italiana vera e propria.
Si può eventualmente parlare di uno stile “nazionale” e universalmente riconosciuto di interpretare la cucina tale da rendere le pietanze identificabili come “italiane”. Uno stile gastronomico apprezzato non solo in Italia, ma anche sinonimo del “buon mangiare” ovunque nel mondo.
La particolare posizione geografica dell’Italia e la sua conformazione assai poco omogenea, rendono il clima estremamente vario e fanno sì che si possano trovare a distanza di poche centinaia di chilometri l’una dall’altra, realtà assai diverse tra loro per ambiente, cultura e, quindi, cucina.
Oltre a ciò, è da considerare il notevole influsso degli antichi popoli che abitarono le regioni italiane in tempi passati e che introdussero sia l'uso di ingredienti, sia tecniche e pietanze specifiche, diventati con il tempo, tipiche e identificative.
Inoltre, bisogna conoscere e considerare le varie cucine regionali, profondamente diverse le une dalle altre in quanto in esse, vi è più del semplice cibo, ma anche manifestazione della cultura e della storia del suo popolo.
Cucina italiana, quindi, non significa solo spaghetti e pizza, in quanto ben più profonde sono le radici della nostra arte culinaria: i piatti regionali nascono da vere e proprie circostanze storiche e non pochi, sono gli aneddoti che si sono sviluppati intorno alla nascita di ricette che sono poi diventate capisaldi della cultura gastronomica italiana.
A partire dalla seconda metà del secolo scorso ed in funzione dell'influenza che altri Stati hanno cominciato ad esercitare sulle nostre abitudini e sulla nostra cultura, la tradizione culinaria nazionale ha subito delle trasformazioni a causa del diffondersi di alimenti che a tutt’oggi caratterizzano il modo ed il gusto di mangiare di alcuni strati della popolazione italiana.
Oltre alla diffusione dei fast food e dei cibi confezionati come alternativa alla tradizione in tavola, gli usi alimentari del nostro paese vengono costantemente influenzati dalla cultura culinaria delle minoranze straniere che popolano lo stivale e dalla facilità di contatti con il mondo intero che consente l'importazione di piatti e prodotti di altri paesi.
Occorre dunque fare in modo che la nostra preziosa cucina regionale non venga soppiantata dalle moderne tendenze alimentari, che non sono manifestazione di usi, costumi e tradizioni radicati nella storia del nostro paese.
Innovare in cucina è fondamentale, ma bisogna farlo mantenendo un’identità. Per questo è necessario partire dalla terra, che non è solo l’orto, ma un insieme di valori come usi e costumi, tradizioni gastronomiche, prodotti del territorio ed i suoi artigiani.
Solo dopo aver studiato, approfondito e rispettato la tradizione, si ha il diritto di metterla da parte, sempre però con la consapevolezza che le si è debitori. Naturalmente, se si resta ancorati al passato, la vita che continua diventa vita che si ferma ma, se ci si serve della tradizione come d’un trampolino, è ovvio che si salterà assai più in alto.
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