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Il Sen. Lauro propone un disegno di legge per accelerare la soluzione delle controversie societarie (23 luglio 2009)
Di Raffaele Lauro (del 23/07/2009 @ 15:29:43, in Il commento politico, linkato 613 volte)
SENATO DELLA REPUBBLICA ———– XVI LEGISLATURA ———– DISEGNO DI LEGGE d’iniziativa del senatore LAURO ———– Interpretazione autentica degli articoli 34, 35, 36 e 37 del decreto legislativo 17 gennaio 2003, n. 5 ———– Onorevoli Colleghi. - Un assillo del legislatore, sempre più pressato dall’opinione pubblica e dall’urgenza di dare risposte adeguate alle esigenze di celerità nella definizione delle controversie, è quello di evitare o quanto meno attenuare lungaggini processuali, nocive per i contendenti (che non hanno in tempi brevi certezza delle loro situazioni giuridiche soggettive) ma anche di non poco detrimento per le finanze statali (che sono costrette a risarcire le parti in lite attraverso l’applicazione della Legge Pinto). In tale ottica numerosi sono stati i tentativi, ancorché non sempre adeguati, di porre in qualche modo un argine alla crisi della giustizia, attraverso provvedimenti legislativi (da ultimo la legge n. 69 del 2009) che - senza incidere sulla qualità delle decisioni rese dagli organi giudicanti - fossero acceleratori dei procedimenti, anche affiancando alla giustizia ordinaria quella alternativa di giurisdizioni arbitrali. Così, nella delicata materia societaria, che più di altre necessita di celerità decisionale per le sue più stringenti connessioni con la struttura economica e produttiva del Paese, il legislatore (con la legge n. 366 del 2001) ritenne di delegare il Governo ad emanare norme finalizzate ad assicurare una più rapida ed efficace definizione di procedimenti; ed il Governo a tanto provvide con il decreto legislativo n. 5 del 2003, che purtroppo non ha dato i risultati sperati, tant’è che a data recente è stato abrogato nella parte riflettente le modalità di svolgimento del processo societario. Tuttavia, per ciò che interessa, il decreto legislativo n. 5 del 2003 rimane tuttora vigente nell’articolo 34, il quale dispone: “1. Gli atti costitutivi delle società, ad eccezione di quelle che fanno ricorso al mercato del capitale di rischio a norma dell'articolo 2325-bis del codice civile, possono, mediante clausole compromissorie, prevedere la devoluzione ad arbitri di alcune ovvero di tutte le controversie insorgenti tra i soci ovvero tra i soci e la società che abbiano ad oggetto diritti disponibili relativi al rapporto sociale. 2. La clausola deve prevedere il numero e le modalità di nomina degli arbitri, conferendo in ogni caso, a pena di nullità, il potere di nomina di tutti gli arbitri a soggetto estraneo alla società. Ove il soggetto designato non provveda, la nomina è richiesta al presidente del tribunale del luogo in cui la società ha la sede legale. 3. La clausola è vincolante per la società e per tutti i soci, inclusi coloro la cui qualità di socio è oggetto della controversia. 4. Gli atti costitutivi possono prevedere che la clausola abbia ad oggetto controversie promosse da amministratori, liquidatori e sindaci ovvero nei loro confronti e, in tale caso, essa, a seguito dell'accettazione dell'incarico, è vincolante per costoro. 5. Non possono essere oggetto di clausola compromissoria le controversie nelle quali la legge preveda l'intervento obbligatorio del pubblico ministero. 6. Le modifiche dell'atto costitutivo, introduttive o soppressive di clausole compromissorie, devono essere approvate dai soci che rappresentino almeno i due terzi del capitale sociale. I soci assenti o dissenzienti possono, entro i successivi novanta giorni, esercitare il diritto di recesso”. E’ di tutta evidenza che, nel disegno del legislatore, la norma intendeva espandere - attraverso la previsione di una tutela maggiormente specializzata, ma anche a fini deflattivi - l’ambito di applicazione dell’arbitrato in giustapposizione e/o in alternativa alla giustizia statuale, senza peraltro incidere restrittivamente sulla preesistente giurisdizione arbitrale; e tanto è chiaro sol che si legga la Relazione governativa, la quale sottolinea come “la formulazione del testo contribuisce alla creazione di una compiuta species arbitrale, che si sviluppa senza pretesa di sostituire il modello codicistico (naturalmente ultrattivo anche in materia societaria) comprendendo numerose opzioni di rango processuale (ma non soltanto: si pensi alla soluzione ex lege dell’opponibilità della clausola compromissoria contenuta nello statuto a soggetti astrattamente terzi rispetto alla fonte del mandato arbitrale, quali amministratori e sindaci) che appaiono assolutamente funzionali alla promozione della cultura dell’arbitrato endo-societario”. Senonché, ad onta delle buone intenzioni e del richiamato principio dell’ultrattività delle clausole legittime all’atto della loro formazione (tempus regit actum), in sede di interpretazione giurisprudenziale la norma ha dato occasione a pareri contrastanti, così impropriamente restringendo di fatto quello stesso ricorso all’arbitrato che si intendeva ampliare. In non pochi casi è stato ritenuto inapplicabile l’istituto dell’arbitrato per quelle società - in particolar modo di persone - che, costituite in epoca più o meno risalente, non ne potevano prevedere l’articolazione secondo modalità coerenti con lo schema postulato dalla normativa di cui all’articolo 34 del decreto legislativo n. 5 del 2003; in altri è accaduto, il contrario; sempre, nella pratica quotidiana, resta l’incertezza delle parti a promuovere la soluzione di controversie societarie regolamentate da clausole compromissorie redatte prima del 2003, divenendo più spesso oggetto di lite non già e non solo la controversia sostanziale ma, a monte, la stessa modalità procedimentale prevista per la sua definizione. La crescita esponenziale del contenzioso è stata peraltro rilevata puntualmente dalla dottrina; tant’è che, sull’autorevole rivista giuridica Giurisprudenza Italiana, 2007, 2, il Prof. Stefano Cerrato si è così espresso: “La Commissione Vietti ha voluto lasciare alla giurisprudenza il compito di dirimere questi nodi interpretativi: attenta ed autorevole dottrina ha più volte denunciato la pericolosità di tale scelta ed è forse venuto il momento che il legislatore ne prenda coscienza e metta mano all’articolo 34. Il sistema del doppio binario, che all’inizio aveva ispirato l’opera riformatrice, è l’approdo di gran lunga auspicabile. La persistente validità delle clausole vecchio stile eliminerebbe alla radice la difficoltà degli interpreti, le acrobazie giuridiche dei giudici, i patemi - non ultimo - di molti notai che, per aver omologato clausole "nulle", stanno attraversando in questi tempi le "forche caudine" dei procedimenti disciplinari promossi da zelanti pubblici ministeri. Occorre frenare la crescente incertezza e diffidenza intorno ad un sistema di risoluzione delle controversie che vorrebbe e dovrebbe, al contrario, rappresentare un’alternativa efficiente alla (ormai troppo lenta e caotica) giustizia statale. Prima che sia troppo tardi”. E’ con occhio attento al tempo stesso alla volontà del legislatore del 2003 ed alle esigenze sociali - e, nel caso di specie, anche del mondo della produzione e degli affari - di una giustizia rapida ed efficiente, non ripiegata su diatribe procedurali inutilmente defatiganti, che si ritiene di proporre all’attenzione parlamentare l’approvazione di una norma di interpretazione autentica che ponga fine ai possibili dubbi che finora hanno angustiato l’interprete; confidando che l’intervento contribuisca alla maggiore speditezza delle soluzioni delle controversie societarie. Art. 1. “Le disposizioni di cui agli articoli 34, 35, 36 e 37 del decreto legislativo 17 gennaio 2003, n. 5 devono essere interpretate nel senso che le medesime non precludono alle parti di valersi, in alternativa al particolare tipo di arbitrato societario da esse previsto, di clausole compromissorie di diritto comune, siano esse per arbitrato rituale che per arbitrato libero”.