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Intervento integrale del Sen. Lauro sul DEF 2011 (Roma, 3 maggio 2011)
Di Raffaele Lauro (del 08/05/2011 @ 23:14:41, in Il commento politico, linkato 412 volte)
INTERVENTO, IN DISCUSSIONE GENERALE, SUL DEF 2011, DEL SEN. RAFFAELE LAURO (PdL) Roma, 3 maggio 2011 Grazie, Signor Presidente! Onorevoli colleghi, Signori del Governo, l'impianto di politica economica e finanziaria che ci accingiamo a votare è stato dettato, oltre che dagli obblighi assunti verso l’Unione Monetaria Europea, dalla prioritaria esigenza di assicurare, al tempo stesso, stabilità finanziaria e crescita economica, e non persistere nella stagnazione e negli effimeri aggiustamenti della finanza pubblica, dopo aver perduto nell’ultima recessione ben 6,5 punti percentuali di prodotto nazionale, quasi il doppio della media degli altri paesi dell’euro (-3,5%). Dopo un’attenta lettura delle oltre 250 pagine di questo documento permane qualche dubbio. Infatti, mentre il riassorbimento dei disavanzi di bilancio pubblico si potrà realizzare in ogni modo, anche con le misure episodiche (una tantum per intenderci), che verranno assunte (quali aste delle frequenze digitali, o blocco del turnover nel settore pubblico), per ottenere una significativa accelerazione della crescita (quest’anno appena all’1,1%), bisognerà solo sperare ed attendere, perché non è ancora alle viste, almeno fino al 2014. In particolare, quella differenza in più di crescita che, nel DEF, si stima in 0,2 punti percentuali per anno, come effetto delle riforme in cantiere, oltre a essere del tutto insufficiente per creare sviluppo ed occupazione, dovrà confrontarsi con l’impatto negativo, ad effetto immediato, dei tagli alla spesa pubblica primaria previsti per il rientro, verso il quasi pareggio di bilancio nel 2014. Per essere più precisi, la riduzione programmata della spesa primaria di ben 7 punti in termini reali, tra il 2010 e il 2014, dovrebbe comportare secondo stime analitiche un rallentamento della crescita di circa 1,75 % nel periodo, ovvero molto più dello 0,2% di espansione annuale, che, nel DEF, si attende, fino al 2014, come risultato del Programma Nazionale delle Riforme. È quindi evidente che la nostra economia si dibatte in un circolo vizioso di tagli alla spesa, che deprimono la crescita, rendendo a loro volta ancor più arduo il conseguimento dell’obiettivo fissato di disavanzo annuo, in rapporto al PIL. Ci dobbiamo interrogare, quindi, come si possa spezzare questa spirale, dalla quale non si riesce ad uscire. Il DEF 2011 delinea un insieme di interventi che vanno dai tagli alla spesa pubblica all’ampliamento delle entrate, a cui fa da essenziale complemento il Programma Nazionale delle Riforme. Ma la combinazione delle misure non convince del tutto sulla possibilità di raggiungere l’esito desiderato della manovra, considerando anche la deludente esperienza dello scorso triennio. Ne accenno alcune in particolare. Considerando il lato delle spese, i tagli previsti appaiono ambiziosi, ma per coniugarsi con la crescita dovrebbero preservare quelle voci di spesa che sono essenziali per rafforzare il potenziale di sviluppo dell’economia. Si osserva, invece, che la spesa per investimenti pubblici si riduce, nel 2012, al livello del 2,8% del PIL, il minimo da decenni, mentre dall’altro canto, nello stesso DEF, si riconosce in diversi punti l’importanza di potenziare le infrastrutture e la logistica. E le riduzioni non risparmiano neanche il Mezzogiorno, in quanto, ad esempio, si tolgono alla dotazione del FAS, per il 2011, ben 242 milioni. Si aggiunga che al piano infrastrutturale non sono destinate nuove risorse, ma solo la messa in opera di meccanismi finanziari già avviati. Altrettanto dubbiosi lascia l’attesa di risparmi di spesa per effetto del federalismo fiscale, quando si devono attendere ancora anni, perché siano definiti i parametri ed esso entri a regime. Dal lato delle entrate, si valuta con eccessiva fiducia il recupero di base imponibile per acquisire consistenti apporti di nuove entrate, mentre appaiono in contraddizione la dichiarazione di principio che la riforma fiscale deve ispirarsi al principio di progressività e l’intento dichiarato di spostare l’asse del prelievo fiscale verso le imposte indirette, che, come è noto, hanno un carattere di regressività fiscale. Si vedrà se e come si riuscirà a conciliarli. Se la qualità della manovra di bilancio non è tale da sostenere la crescita, almeno nel prossimo triennio, da dove dovrebbe scaturire la tanto agognata spinta all’accelerazione, sulla quale il DEF conta? Da quali riforme? L’Italia avrebbe bisogno di un forte impulso alla competitività e alla produttività, che può derivare soltanto dall’apertura dei settori chiusi a una maggiore concorrenza, dal dare più spazio al merito, dall’offrire più opportunità di lavoro ai giovani e agli esclusi dal lavoro, attraverso una migliore formazione mirata alle richieste del mercato, dal favorire con ogni mezzo l’imprenditoria, dal rendere le infrastrutture più efficienti e dal combattere i privilegi e le rendite corporative che soffocano l’iniziativa economica e la capacità di competere in un mercato aperto. Sì, onorevoli colleghi, di fronte a una prospettiva di stagnazione economica, è arrivato il momento di mettere mano anche alle rendite e ai privilegi, senza guardare in faccia a nessuno! Purtroppo, il Programma Nazionale delle Riforme non fornisce una risposta rassicurante a queste fondamentali esigenze, perché si presenta molto generico, poco definito sugli obiettivi e sulla loro relazione funzionale con gli strumenti d’intervento prescelti, con azioni di incerta efficacia nei prossimi anni, scarsamente focalizzato sui nodi più gravi da sciogliere, poco orientato a realizzare una società in cui tutti sono messi in condizione di partecipare alla costruzione del benessere collettivo. Nel campionario di misure descritte nel Programma Nazionale delle Riforme troviamo, in particolare, la minuziosa elencazione di provvedimenti varati in passato con risultati finora molto modesti, o generiche indicazioni di interventi ancora da definire, pertanto con grande incertezza sull’efficacia e sui tempi d’impatto. Mentre si indica, poi, che occorre far leva su un incremento di produttività e di competitività, le misure previste a favore della ricerca ed innovazione non bastano per ottenere quell’accelerazione ed in ogni caso, come si riconosce nelle stesse note, a piè di pagina del DEF, producono effetti modesti, anche nel medio termine. La simulazione degli effetti attesi del Programma Nazionale di Riforme è, inoltre, molto aleatoria, perché non vi è certezza sui tempi, con cui le riforme modificheranno l’attuale sistema economico, né sull’effettivo grado di miglioramento del contesto sfavorevole in cui le imprese sono attualmente costrette ad operare. Le imprese, in specie le medie e le piccole, hanno invece bisogno di sostegno nell’immediato per compensare la carenza di domanda interna (prevista, anche nel DEF, per il ristagno dei consumi) con una maggiore competitività per acquisire domanda estera ed anche per fronteggiare i danni che l’apprezzamento dell’euro sta apportando alla loro competitività. Le imprese necessitano specialmente di un maggior apporto di economie esterne derivanti dal potenziamento delle infrastrutture e dei servizi pubblici, di un drastico taglio degli oneri amministrativi, di un flusso di credito sufficiente, nonché di un ribilanciamento degli oneri fiscali e di alleggerimenti dei costi energetici per allinearli su quelli dei maggiori concorrenti esteri. Su questi aspetti il Programma Nazionale delle Riforme enuncia buone intenzioni, ma non risulta chiaro quanto intenso sia l’impegno che verrà effettivamente realizzato, proprio perché, da molti anni, si continua a ripetere l’enunciazione delle stesse riforme, ma non si è giunti finora a un risultato soddisfacente. In conclusione, questo documento si occupa soprattutto dell’economia finanziaria del Paese, mentre rinvia la strategia per far risorgere l’economia reale. Eppure è ormai arrivato il tempo di focalizzare tutte le energie sull’economia reale per far ripartire la crescita, particolarmente nel Mezzogiorno. Solo da essa verrà la migliore garanzia non solo che l’equilibrio dei conti pubblici sia duraturo e sostenibile, ma che si interrompa l’impoverimento del Paese e si vada verso una società più prospera e giusta. Non resta che confidare che questo secondo tempo non tardi a venire, nella speranza che il cambiamento di rotta si manifesti già nell'attuazione del DEF e del Programma Nazionale delle Riforme, nonché nel varo di nuovi provvedimenti ad hoc.