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Norman Mailer: simbolo del nostro tempo (Roma, LYM, 8 febbraio 2011)
Di Raffaele Lauro (del 08/02/2011 @ 22:08:35, in Il commento politico, linkato 491 volte)
"Norman Mailer L'uomo che si proclamò Messia" di Gwendolyn Simpson Chabrier Intervento del Sen. Raffaele Lauro La vita e l'opera di Norman Mailer sono indissolubilmente legate, come un vulcano in eruzione, la cui lava assume, nel precipitare a valle, percorsi tortuosi ed imprevedibili. Dominare, in una biografia, materia tanto incandescente di passioni e di tormenti, quanto mutevole, rappresenta un'impresa titanica. Dopo aver letto questo libro, bisogna riconoscere che la Signora Simpson Chabrier, vi sia perfettamente riuscita! Complimenti, quindi, all'autrice, per aver reso, in una forma straordinariamente accessibile, una biografia intellettuale, così articolata come quella di Mailer, personaggio unico ed irripetibile nella storia della letteratura americana del Novecento. Infatti, nessuna carriera letteraria è stata, al tempo stesso, così brillante, così varia, così prolifica e così incompresa. Nessuno, ad eccezione di Edgar Allan Poe, in America, è stato, regolarmente e contemporaneamente, così celebrato e così vituperato. Mailer ha pubblicato 39 libri, di cui undici romanzi, sceneggiature, poesie, saggi, reportages. Ha collaborato con almeno 75 riviste e giornali. È stato un animatore profondo della vita culturale americana, partecipando a simposi e a conferenze nei campus universitari. È stato il presidente della sezione americana della "Società degli Scrittori", vincitore di numerosi premi letterari, mai del Nobel. È stato certamente una figura controversa, il cui egoismo e la cui aggressività, gli hanno spesso inimicato critica e lettori. E ciò, nonostante la sua grande abilità di giornalista, riconosciuta superiore a quella di narratore, con la quale riportava eventi reali con la ricchezza e la ricchezza immaginativa soggettiva di un romanzo, secondo la corrente del "new journalism", che lo vide esponente di punta insieme a Tom Wolfe e Truman Capote. L'autrice tratteggia, con grande profondità ed accuratezza, anche psicologica, la scissione, talvolta velata di schizofrenia, che si produce permanentemente in Mailer, tra l'educazione familiare (ebraica) e la formazione universitaria di tipo anglosassone. Norman Mailer, infatti, era nato in una famiglia ebraica. Ciò, indubbiamente, segnò la sua educazione prima, e la sua sensibilità letteraria poi. Agli inizi del '900, in America, vi era una alquanto fiorente produzione letteraria di autori ebrei. Dagli anni Settanta dell'800, vi era stata una massiccia emigrazione di ebrei dall'Europa verso il Nuovo Mondo. Questi primi esempi di letteratura ebraico- americana - ci ricorda puntualmente la Chabrier - definiti dallo stesso Mailer come "contro-letteratura", le cui radici affondavano nella povertà, nella società industriale e nella necessità di un nuovo ceto, risvegliarono i timori dell'establishment letterario alto-borghese. Nel 1907, ad esempio, ne "La scena Americana" (The American scene), Henry James inveiva contro la conquista ebraica di New York, che temeva potesse minacciare la purezza della lingua inglese. Al fine di proteggersi da quella che consideravano la minaccia letteraria ebraica, gli autori anglosassoni proiettarono, nelle loro opere, l'immagine di un ebreo sinistro e, con la sola eccezione di alcuni scrittori, tra cui William Howells o Mark Twain, tutti denigravano, sistematicamente, gli ebrei. Lo stesso Hemingway, l'eroe letterario di Mailer, fu inizialmente noto per la caricatura dell'ebreo Robert Cohn, il pugile peso medio, laureato a Princeton, protagonista di "Fiesta". Lo stesso discorso potrebbe farsi per T. S. Elliot, Ezra Pound e Francis Scott Fitzgerald. Con gli anni Trenta del '900, però, gli autori ebrei cominciarono a guadagnare un po' di terreno, incanalandosi nella corrente letteraria prevalente. La preoccupazione degli autori giudaici del tempo nei confronti dell'integrazione, fu accentuata dalla comparsa della seconda generazione di ebrei. Mentre i loro genitori traevano conforto e sicurezza dalle proprie radici ebraiche, queste - puntualizza la Chabrier - erano considerate dai figli come un ostacolo sulla strada dell'integrazione. Questi ultimi, a scuola, si sentivano troppo stranieri e in casa troppo americani. Era come se abitassero, allo stesso tempo, due mondi diversi. Questo scontro generazionale costituisce uno dei temi principali dei romanzi degli anni Venti e Trenta. "Singerman" (Singerman) e "Quest'uomo è mio fratello" (This man is my brother) di Byron Brinig, "La generazione di Noah Edon" (The generation of Noah Edon) di David Pinsky e "Il vecchio gruppo" (The old bunch) di Mayer Levin. Conflitto generazionale e collasso della famiglia, nelle percezioni di questi autori, collocavano la seconda generazione di immigrati ai margini della società americana. I pregiudizi contro gli ebrei non cessarono e proprio negli anni Trenta del '900, l'antisemitismo statunitense raggiunse l'apice. Anche il mondo editoriale anglosassone divenne cauto nel pubblicare materiale in qualche modo collegato alla società giudaica, non solo per evitare una invasione ebrea del proprio dominio, ma anche perché i non ebrei, che costituivano la maggior parte dei lettori, potevano trovare difficoltà a relazionarsi con soggetti di carattere ebraico. Alcuni autori ebrei americani, che fino a quel momento avevano scritto delle proprie origini, abbandonarono la scrittura o oppure adottarono pseudonimi anglosassoni per se stessi e per i propri personaggi. Alla fine degli anni Trenta, comunque, gli autori giudaico-americani, i figli del ghetto, non avevano ancora raggiunto il plauso letterario tributato agli scrittori anglo-americani ma, nondimeno, erano divenuti i portavoce del radicalismo statunitense. Dopo la Seconda Guerra Mondiale, l'attenzione degli scrittori ebraico-americani si focalizzò sull'Olocausto. Solo tra la fine degli anni Sessanta e gli anni Settanta, questi scrittori culminarono la loro potente ascesa nella letteratura ebraico-americana: nel '68 Mailer fu insignito del National Book Award (ne avrebbe poi vinto un altro nel 1980) e l'anno successivo, del Premio Pulitzer; nel 1976, Saul Bellow vinse il Premio Nobel, seguito, due anni dopo, da Isaac Singer. In questo quadro storico-letterario americano, la Chabrier colloca l'educazione familiare e la formazione universitaria di Mailer. Norman Mailer - si è detto - era figlio di due genitori ebrei. La madre, Fan, era lo stereotipo della madre ebrea che avrebbe segnato la vita del figlio, con la sua adorazione incondizionata. La vita di una madre ebrea infatti, si svolgeva intorno a quella dei suoi figli, al loro benessere ed al loro successo, in particolare a quella del figlio maschio. Fan lavorò duramente per permettere a Norman e Barbara di proseguire gli studi. Nei confronti del padre, invece, malgrado l'affetto filiale, il futuro scrittore non poteva negare che egli fosse un fallimento: un dongiovanni biscazziere e ubriacone, che il più delle volte si ritrovava senza lavoro. Da lui, però, che il figlio stesso definì "un personaggio cechoviano svilito", avrebbe ereditato l'amore per le donne e per le bevute, due vizi molto poco ebraici. Fu comunque la madre ad essere la figura preponderante, nell'educazione del giovane Mailer. La Chabrier la definisce ambiziosa, castrante, possessiva, tirannica, ma anche generosa, positiva, benefica nel suo amore. Incarnava, per l'autrice, la madre ebreo-americana in tutti i suoi eccessi. La dipendenza dalle donne, che egli trasporrà nei suoi personaggi, si legava indissolubilmente al rapporto con la madre. Lei lo teneva sotto una campana di vetro, era tanto viziato quanto protetto, ma questo rapporto, non aveva solo aspetti tormentati. Implicava, anche, un dialogo affettivo tra madre e figlio, che incoraggiava lo sviluppo intellettuale e creativo del ragazzo. Non è un caso se tutte le sue sei mogli, avessero qualcosa che ricordasse la madre. Ho fatto cenno alla variegata personalità di Mailer, una personalità dalle mille sfaccettature. Questa complessità si riflette nel percorso della sua opera letteraria e pubblicistica. Il primo lavoro letterario di Mailer fu una storia di 250 pagine intitolata "Invasione da Marte" (Invasion from Mars), scritta a nove anni. Tuttavia, fu solo durante gli anni all'Università di Harvard, dove si laureò in ingegneria aeronautica, che decise di diventare uno scrittore. Durante la Seconda Guerra Mondiale, servì come sergente nell'esercito degli Stati Uniti. Originariamente avrebbe preferito andare in Europa arruolato nelle truppe di invasione, ma per sua delusione, fu inviato nel Sud Pacifico. Osservò ciò che accadeva sui campi di battaglia. Ciò gli permise di scrivere l'opera che gli diede la fama "Il nudo e il morto" (The naked and the dead). Un'opera non divertente come altre opere letterarie sulla Seconda Guerra Mondiale, ad esempio, "Comma 22" (Catch-22) di Joseph Heller, ma certamente più realistica di "Niente di nuovo sul fronte occidentale" (All quiet on the Western front) di Erich Maria Remarque e non così sentimentale come "Addio alle armi" (Farewell to arms) di Ernest Hemingway. Quest'opera di Mailer fu salutata come uno dei migliori romanzi sulla Seconda Guerra Mondiale, nonostante venisse criticata aspramente per essere a tratti oscena, specialmente nel linguaggio e per la sostanziale repulsione per la vita militare. Alla fine degli anni Quaranta, Mailer cominciò a lavorare ad Hollywood come sceneggiatore. Frutto di questi anni di lavoro sulla West Coast, fu il romanzo "Il parco dei cervi" (The deer park), sulla corruzione nel dorato e levigato ambiente cinematografico, manoscritto rifiutato da diversi editori. Dopo ciò, si trasferì a New York, al Greenwich Village, divenendo lentamente, con la sua attività principalmente di giornalista e di saggista, quell'icona, autoproclamatasi Messia, alla quale molte generazioni avrebbero guardato, specialmente quella "beat" che in quegli anni stava emergendo, anche attorno ad altri scrittori come Jack Kerouak, Allen Ginsberg, Gregory Corso, William Burroughs. Proprio in questi anni, i Cinquanta, Mailer iniziò a guadagnarsi fama di saggista anti-establishment. Aveva letto "Il Capitale" di Karl Marx, opera che, a suo giudizio, lo avrebbe aiutato a diventare uno scrittore migliore. Nel saggio "Il negro bianco" (The white negro), esaminò la violenza, l'isteria, i crimini e la confusione nella società americana, attraverso il quadro di moda esistenzialista, che molto deve a Jean Genet. Definì l'hipster come uno psicopatico filosofico, avventuriero e urbano, che ha adottato elementi della cultura nera e potrebbe essere definito "negro bianco". Diventare un hipster era, per lui, una scelta consapevole per i membri della élite intellettuali. Dopo questo periodo tumultuoso, Mailer si rese conto che avrebbe potuto scrivere e parlare di gente come lui - la gente senza radici, come Henry Miller, Marilyn Monroe, Muhammad Alì e Picasso. Negli anni Sessanta, Mailer era elencato tra i nuovi giornalisti, quelli che avevano applicato le tecniche del romanzo per descrivere eventi reali e persone. Cofondò il "Village Voice", uno dei primi giornali underground americani. Fu anche cronista per "Big Bite" ed "Esquire". Nel 1969 fu candidato indipendente per il sindaco di New York, giungendo a classificarsi quarto, con circa il 5% dei voti. Consiglio di leggere e, lo farò anche io, di rileggere questo saggio della Chabrier, perché viene fuori un ritratto realistico ed insieme enigmatico di Mailer. Di una personalità irrequieta e tragica, scissa e tormentata, e per questo attuale e pienamente rappresentativa della contemporaneità. Mailer - come sostiene nell'introduzione la Rosenthal - non riuscì a comporre il grande romanzo americano che aveva sempre sognato, ma rappresenta l'ultimo gigante della letteratura americana. Egli assunse su di sé, sin dagli inizi della carriera, l'ambiziosa missione di divenire un "profeta" dei suoi tempi e del suo paese. A conclusione di questa bella biografia, al lettore resterà impressa di Mailer la sua perenne ricerca di una identità, scisso "tra le proprie origini ebraico-borghesi e il rigoroso mondo che aveva scoperto ad Harward." Da giovane, impaziente ed estremista, stimolato da droghe ed alcool, da anziano, più riflessivo e disincantato, ma sempre un personaggio complesso e contraddittorio. Mailer fu uno scrittore di successo, perfettamente integrato, ed insieme, un ribelle scandaloso. Eccessivo in tutto, avocò a sé il ruolo dello scrittore che oltrepassa i limiti ed infrange le regole imposte dalla comunità. Condivido, quindi, in pieno, il giudizio conclusivo dell'autrice: l'importanza di Mailer, come romanziere, consiste nel non essersi limitato a scrivere con la testa e con le parole, ma usando tutto ciò che fremeva al di sotto della sua carne, traducendo, in parole, il rumore organico di una vita perpetuamente travagliata e condizionata dalla viscerale presenza della morte.