Il Sen. Lauro presenta un ddl sul reato di istigazione e apologia dei delitti contro la vita e l'incolumità della persona (21 dicembre 2009)
SENATO DELLA REPUBBLICA
———– XVI LEGISLATURA ———–
DISEGNO DI LEGGE
d’iniziativa del senatore LAURO
———–
Introduzione del reato di istigazione e apologia dei delitti contro la vita e l'incolumità della persona
———–
Onorevoli Senatori! - I recenti episodi che hanno caratterizzato la vita pubblica nel nostro Paese evidenziano la necessità di intervenire sul diffuso fenomeno caratterizzato da forme di esortazione alla violenza e all’aggressione, mediante discorsi, scritti ed interventi.
Tali fenomeni, in virtù delle moderne tecnologie, riescono oggi ad acquisire una rilevanza mediatica particolarmente significativa.
Certamente, all’interno del nostro codice penale, sono presenti alcune fattispecie che potrebbero ritenersi riferibili ai fenomeni che interessano in questa sede. Mi riferisco, in particolare, alle norme di cui agli articoli 115 e 414 c.p. Tuttavia tali disposizioni, non essendo state propriamente elaborate al fine di disciplinare le fattispecie specifiche che qui ci occupano ed essendo state realizzate con lo scopo di disciplinare fenomeni che non erano caratterizzati dalle moderne modalità di realizzazione, evidentemente non risultano adeguate per fronteggiare un efficace intervento volto alla prevenzione e alla repressione del gravissimo fenomeno.
In particolare, l’art. 115 c.p., norma di parte generale, applicabile poi alle fattispecie di parte speciale qualora se ne presentino i presupposti, dispone che non è punibile il soggetto che istiga alla commissione di un reato, qualora la istigazione sia stata accolta ma il reato non sia stato commesso. In tal caso l’autore della istigazione può essere sottoposto a misure di sicurezza. Differente risulta ovviamente la disciplina da applicarsi qualora, all’esito della istigazione, il reato venga commesso; in tale seconda ipotesi, si applicheranno le norme in materia di concorso di persone nel reato.
Per quanto riguarda, invece, l’altra delle norme richiamate, l’articolo 414 c.p. («Istigazione a delinquere»), dispone che «Chiunque pubblicamente istiga a commettere uno o più reati è punito, per il solo fatto della istigazione, con la reclusione da uno a cinque anni, se si tratta di delitti, con la reclusione fino ad un anno o con la multa fino a 206,00 € se si tratta di contravvenzioni». Soltanto apparentemente, però, la fattispecie in esame sembra soddisfare le esigenze che ci occupano in questa sede. Infatti, la stessa viene diffusamente utilizzata per ipotesi del tipo della seguente, secondo cui «è atta ad integrare la fattispecie di cui all'art. 414 c.p. (istigazione a delinquere) la condotta di chi, nel corso di una attività identificativa condotta dalle forze di polizia nei confronti di un gruppo di persone rispetto alle quali egli rivesta un ruolo di "riferimento", inciti pubblicamente i componenti del gruppo anzidetto a non ottemperare alla richiesta di fornire le generalità e a commettere, quindi, in tal modo, il reato di cui all'art. 651 c.p. (Cassazione penale sez. VI; 05 marzo 2001, n. 16041, in Riv. pen. 2001, 637). Il dato secondo cui l’art. 414 c.p. si riferisce ad una realtà differente da quella attuale, ad esigenze differenti da quelle che ci occupano in questa sede, ed ad una portata dell’avverbio "pubblicamente" inevitabilmente legata al momento storico della elaborazione della norma, è provato dalla seguente pronuncia secondo cui «Condizione di punibilità del delitto all'art. 414 è che il fatto sia stato commesso pubblicamente. Pertanto è sufficiente che il fatto medesimo sia commesso in luogo aperto al pubblico, come il salone di un barbiere, in cui chiunque può accedere per i servizi che esso offre, e in presenza di più persone (almeno due, come nella specie) (in tal senso, Cassazione penale sez. I 11 giugno 1986, in Cass. pen. 1988, 447 (s.m.), Giust. pen. 1987, II,717 (s.m.).
Al di là del reato di cui all’art. 414 c.p., altri casi di incriminazione della istigazione sono presenti nel nostro codice, ma in alcun modo risultano riferibili alle fattispecie oggetto del presente esame; si tratta dei reati di cui agli articoli, 266 c.p. («Istigazione ai militari a disobbedire alle leggi»), 302 c.p. («Istigazione ai delitti contro la personalità interna ed internazionale dello Stato»), 322 c.p. («Istigazione alla corruzione»), 415 c.p. («Istigazione a disobbedire alle leggi»).
Ebbene, alla luce delle fattispecie concrete in relazione alla cui disciplina veniva elaborata e viene applicata la norma di cui all’art. 414 c.p., appare di tutta evidenza la necessità di intervenire legislativamente mediante la previsione di una incriminazione finalizzata ad arginare il pericoloso, diffuso, fenomeno di coloro che inneggiano alla violenza sulle persone, in specie mediante interventi mediatici o telematici.
La soluzione prevista consiste nell'introdurre una nuova fattispecie di reato, volta a punire il comportamento di coloro che, in qualsiasi forma, istighino a commettere i reati contro la vita e l'incolumità individuale.
È d'altra parte ormai drammaticamente diffusa, anche tra i minorenni, l'abitudine ad utilizzare gli strumenti informatici per ledere la dignità delle persone, nelle forme più gravi, dai ricatti, alle ingiurie a sfondo sessuale o razzista, alla diffamazione. Per questi comportamenti il codice penale ancora conserva una sua efficacia, in quanto tali azioni integrano fattispecie penalmente rilevanti già codificate.
Sono però mutate alcuni aspetti sostanziali che rendono insufficiente la tutela penale attualmente prestata. In primo luogo, gli strumenti utilizzati (in particolare Internet e social network) rendono particolarmente gravi gli effetti del comportamento offensivo posto in essere: la possibilità che in tempo reale un numero potenzialmente illimitato di persone è in grado di condividere il contenuto dell'offesa espone la vittima a rischi particolarmente rilevanti. Inoltre, attraverso lo strumento informatico, è possibile agevolmente condizionare la mente e il comportamento di soggetti già psicologicamente labili, inducendoli a compiere atti inconsulti. Gli episodi gravi di bullismo nelle scuole, i comportamenti riprovevoli di frange organizzate delle diverse tifoserie sono esempi troppo noti perché possano essere trascurati.
È per questo che, nel caso siano utilizzati questi strumenti informatici e telematici, la pena è aggravata.
È necessario introdurre una fattispecie penale che punisca il comportamento di chi, tramite discorsi, espressioni, scritti, interventi, in Internet e in social network o tramite altro mezzo di comunicazione mediatica, telematica o informatica, istighi a commettere un delitto contro la vita e l'incolumità individuale o fa apologia di uno o più dei medesimi delitti.
La fattispecie è modellata su quella di cui all'articolo 303 c.p. («Pubblica istigazione e apologia»), che però riguarda solo i delitti contro la personalità internazionale e interna dello Stato.
Una soluzione di questo tipo peraltro non potrebbe essere soggetta a censure connesse alla possibile lesione del diritto alla libertà di manifestazione del pensiero, di cui all'articolo 21 della Costituzione.
Ciò per una duplice considerazione: da una parte, infatti, se così fosse, non potrebbe considerarsi a fortiori costituzionalmente compatibile neanche la fattispecie di cui all'articolo 303 c.p., che punisce l'istigazione a commettere un delitto meno grave rispetto a quelli contro la vita e l'incolumità delle persone.
Inoltre, occorre effettuare un corretto bilanciamento tra valori costituzionali, in questo caso tra la libertà di manifestazione del pensiero (articolo 21 Cost.) e la dignità della persona, riguardata nella sua dimensione più intensa, che presuppone la tutela della sua vita e della sua incolumità (articoli 2 e 13 della Costituzione).
Art. 1.
1. Dopo l''articolo 593 del codice penale è inserito il seguente:
«Art. 593-bis. (Istigazione e apologia dei delitti contro la vita e l'incolumità della persona) Chiunque, comunicando con più persone in qualsiasi forma, istiga a commettere uno o più fra i delitti previsti dal presente capo, è punito, per il solo fatto dell'istigazione, con la reclusione da tre a dodici anni.
La stessa pena si applica a chiunque pubblicamente fa l'apologia di uno o più fra i delitti indicati nel comma precedente.
Se il fatto è commesso avvalendosi dei mezzi di comunicazione telefonica o telematica, la pena è aumentata.»
|