Sommario:
Sorrento, Circolo dei Forestieri, 15 maggio 2004:
Testo integrale del dibattito,
con intervento conclusivo del Ministro Claudio Scajola………...……....pagg.
2 - 22.
Lugano, Splendide Royal, 6 giugno 2004:
Interventi di:
- Marco Solari, Presidente del Festival del Cinema di Locarno
- Michele Rossi, avvocato ed ex-diplomatico svizzero………………..pagg.
23 - 30
Roma, Palazzo Firenze, 8 giugno 2004:
Testo integrale del dibattito con intervento conclusivo dell’Autore……..pagg.
31 - 52
SORRENTO (Circolo dei Forestieri, 15 maggio 2004)
Coordinatore: Prof. Salvatore FERRARO
Buonasera,Signor Ministro, Autorità, Signori e Signore,
siamo qui convenuti per presentare il nuovo libro di Raffaele Lauro "Verso
la nuova Europa", edizione Golden Gate di Roma. Dato la ristrettezza
del tempo, prende subito la parola il sindaco Marco Fiorentino.
Intervento del Sindaco Marco FIORENTINO
Oggi è veramente una bella giornata per la nostra Città
ed è stata gratificata dalla presenza di tante Autorità, dalle
gentili signore e dagli ospiti tutti, che, a nome della stessa Città,
io voglio ringraziare. E, soprattutto, dalla presenza di Sua Eccellenza il
Ministro Scajola, che abbiamo avuto la fortuna di avere ospite e salutare
già, a nome della Città, stamattina. Oggi, io posso solo dire,
dopo pochi momenti di frequentazione, di aver conosciuto un Ministro, una
personalità molto garbata, molto gentile anche con la famiglia, con
la gentile Signora e molto sensibile anche ai problemi della nostra zona,
della nostra terra. Diciamo abbiamo avuto modo di scambiarci un po' di opinioni
e mi fa piacere aver potuto, ancora una volta, constatare la sensibilità
di un Ministro verso i problemi di una piccola realtà, anche se tanto
importante, come la nostra.
Oggi è anche una giornata di festa, perché uno dei nostri più
illustri cittadini, il Professore Raffaele Lauro, ritorna a Sorrento, la sua
terra, per la presentazione della sua raccolta di articoli, pubblicati da
Radio-Corriere TV, dal titolo "Verso la nuova Europa".
L'ampiezza dei temi e degli argomenti trattati, evidenzia anche la poliedricità
intellettuale dell'Autore, dotto cultore delle dottrine politiche e appassionato
formatore, ma, al tempo stesso, creativo e amante dell'arte e delle forme
di comunicazione artistica. Mi sembra anche opportuno sottolineare l'attenzione,
riservata in questa pubblicazione dal Professore Lauro, alle tematiche sociali
e alle problematiche connesse al sociale; dare uno sguardo ai titoli dei capitoli,
per comprendere come l'autore spazi dagli apparati politico-istituzionali
dell'Europa, che sembra conoscere come casa sua; al confronto politico in
Italia: dai tentativi di modernizzazione del Paese ai new media e all'informazione,
concludendo, come dicevo, con un capitolo emblematico dal titolo "Problemi
sociali e futuro del mondo". Dai vari articoli, traspare la caratura
intellettuale ed etica del Professore Lauro, che, con l'eccezionale chiarezza
di chi domina gli argomenti trattati, li comunica al lettore egregiamente.
Io non posso far altro che ringraziare il Professore Lauro, per quanto negli
anni ha fatto per la nostra terra e concludo dicendo che il futuro di Sorrento
è assicurato anche dalla presenza e dall'impegno di personalità
illustri come il nostro amatissimo cittadino, Prefetto Raffaele Lauro, che
io, ancora una volta, ringrazio.
Prof. Salvatore FERRARO
Ringraziamo il Sindaco per il suo saluto. Siamo per la terza
volta, dal 2002 ad oggi, a Sorrento. Raffaele Lauro ci ha convocati per la
terza volta con nostra grande gioia; per due anni siamo intervenuti per presentare
un bellissimo libro "Quel film mai girato", che egli dedicò
all'indimenticabile madre Angelina. Oggi, invece, è la volta del nuovo
libro "Verso la nuova Europa", un libro che, come già ha
indicato il Sindaco, tratta tematiche di grande respiro, tematiche di grande
attualità. Il libro, con il sottotitolo "Cittadini ed istituzioni",
è dedicato e, voglio ricordarlo, alle sue sette nipoti: Angela, Mariolina,
Isabella, Raffaella, Matildis, Veronica ed Erika, come lui dice: “affinchè
possano sentirsi ed essere quotidianamente cittadine italiani ed europei”.
Un volume di circa 500 pagine in cui l'autore ha raccolto, da quell'angolo
dell'Osservatorio del Ministero dell’Interno, tematiche ed osservazioni
giornaliere. Ovviamente, gli articoli sono aggregati per temi: il futuro dell'Europa,
la nuova Europa, identità morale dell'Occidente, il confronto politico
in Italia, i new media e la società dell'informazione e così
via. Un libro di circa 500 pagine, come dicevo, che si fa leggere con piacere
ed attenzione, dato il garbo e la competenza professionale di Raffaele Lauro,
che noi conosciamo da tempo. Giustamente, il Ministro Scajola scrive che la
stimolante silloge degli scritti di Raffaele, offre nell'ottica del rapporto
tra cittadini ed istituzioni, una sterminata ricchezza di temi filosofici,
istituzionali, politici, normativi, economici e sociali, tutti legati al presente,
alla vigilia delle elezioni 2004. Invece, Vincenzo Scotti afferma, nella presentazione,
che Raffaele Lauro ha scritto, settimana dopo settimana, con il rigore e la
chiarezza del ricercatore, ma anche con la passione civile che lo ha portato,
negli anni, a divenire uno di quelli che i francesi chiamano "i grandi
commessi dello Stato", servitore galante del cittadino. E' inutile soffermarsi
su Raffaele, lo conosciamo tutti.
Credo che questa presentazione di oggi, oltre al Ministro ed i grandi relatori,
ha un particolare significato, con la presenza, tra i relatori, del Professore
di Raffaele Lauro, che egli ha ricordato nel suo libro, il docente Ettore
Cuomo, che sostituì un professore del seminario di Sorrento, dove Raffaele
studiava. Ci fu una contestazione, Raffaele chiese, con alcuni amici, di procedere
alla sostituzione dell'insegnante, la mitica suor Angela, accettò la
proposta e fece subentrare il nuovo professore.
Cambiò tutto, cambiarono i programmi, le lezioni e anche, credo, la
vita intellettuale di Raffaele Lauro, perché lui ha ricordato con delle
belle parole il Professore Ettore Cuomo: mio compagno di banco al Liceo di
Meta negli anni ' 50. Ed è bello, oggi, sentire cosa dirà Ettore
del libro di Raffaele.
Intervento del Prof. Ettore CUOMO
Allora, questo libro di Raffaele Lauro "Verso la nuova
Europa, che è un libro per molti versi stimolante, problematico, carico
di passione civile e, tuttavia, sempre lucido, raccoglie gli articoli pubblicati
su un diffuso settimanale tra il settembre del 1999 ed il febbraio del 2004,
che discutono i grandi problemi politici, sociali, istituzionali di questi
anni tormentati del nostro Paese, di questi anni tormentati dell'Europa e
del Mondo. Cioè le luci e le ombre del futuro dell'Europa, il difficile
e complesso processo di elaborazione della Costituzione europea, la tragedia
dell' 11 settembre e la sfida mortale, terroristica delle teocrazie islamiche
contro il mondo occidentale, la crisi della prima repubblica e il difficile
passaggio-trapasso alla seconda, i limiti e le patologie del capitalismo.
Per capire la lettura che questo libro ci presenta del mondo politico odierno,
vale la pena dire qualcosa sul suo autore. Ebbi l'avventura di incontrare
Raffaele Lauro tra l'autunno del '63 e la primavera del '64; io ero al mio
primo anno d'insegnamento, lui al suo ultimo anno di liceo e debbo dire che
ne ricavai un'impressione fortissima, un'intelligenza vivacissima e penetrante,
lettore avido di libri e riviste, soprattutto politiche e storiche, un interesse
marcato per i problemi storici e filosofici, che lasciava intuire una vocazione
per questi studi. Volle, dopo la licenza liceale, che lo presentassi a Francesco
Compagna, di cui divenne allievo e poi membro della sua Segreteria Politica.
In seguito diventammo amici frequentandoci per un decennio circa, forse anche
più, discutendo e, debbo dire, anche polemizzando su tutto. Poi le
nostre strade si divisero, nel senso che Raffaele si avviò verso la
carriera politica, fino a pervenire alla carica di Prefetto di prima classe,
Consigliere di vari Ministri, dopo essere stato tra i Consiglieri di Francesco
Compagna. Mentre io ho seguito la carriera degli studi storici, sono diventato
professore universitario e poi ho nuovamente incontrato Raffaele Lauro e,
leggendo il suo bellissimo libro, "Quel film mai girato" (che per
la verità avrei voluto presentare) e, poi, questo libro di cui ci occupiamo
oggi, debbo dire che mi è sembrato di trovarmi di fronte ad una singolare
figura di "Grand Commis d'Etat", come lo definisce giustamente Scotti,
nel quale, però, le virtù proprie del moderno funzionario, descritte
magistralmente da Max Weber in quel libro bellissimo che è "Parlamento
e Governo dell'ordinamento della Germania", e cioè la preparazione
professionale, la specializzazione del lavoro qualificato secondo la tecnica
razionale della vita moderna, il senso della delimitazione delle competenze,
il rispetto dei regolamenti, la visione dei rapporti di obbedienza differenziati
gerarchicamente, lungi dal sovrapporsi fino a cancellarle, convivono invece
con quelle dell'intellettuale, dell'uomo colto con vocazione politica, insomma,
con quelli che erano stati i tratti distintivi di Raffaele Lauro che avevo
conosciuto, e cioè la curiosità onnivora, il desiderio e la
capacità di pensare e ripensare il proprio tempo, il desiderio e la
capacità di pensare alle questioni del proprio tempo, il senso della
complessità dei processi di trasformazione delle società moderne,
l'adesione appassionata ma convinta, al tempo stesso, ad un insieme di valori
in cui si era formato negli anni della sua precoce maturità, e che
costituiscono, in ultima analisi, i fondamenti della cultura liberal-democratica.
Ora, è questo insieme di valori e di ideali a costituire il centro
nevralgico del libro di Raffaele Lauro, il filo rosso che ne attraversa le
pagine più significative - basti pensare all'ideale della libertà
- quale prodotto del senso del limite e della fallibilità umana. Da
questo punto di vista è alquanto emblematico l'articolo che lui dedica,
vent'anni dopo la scomparsa, a Francesco Compagna e a Karl Popper, definendoli
come “Maestri di Libertà”. Lui usa, proprio Raffaele Lauro,
il termine “fallibilità umana”, come conditio sine qua
non della libertà moderna.
Ricordiamo il bellissimo saggio di Hans Kelsen "E senza il valore della
democrazia", in cui la figura emblematica dello spirito parlamentare,
come spirito della discussione e del dibattito, viene raffigurata non in Gesù
(cita il capitolo diciottesimo del Vangelo secondo Giovanni), ma come profeta
allucinato che sostiene di essere venuto a testimoniare la verità di
essere il figlio di Dio, ma il Pilato, che non sa che cosa sia la verità,
che non sa decidere tra Cristo e Barabba e non sa da che parte stia la verità
e che perciò fa appello ad una discussione e ad un dibattito, perciò
si appella al popolo.
L'Europa, un'altra categoria chiave della cultura liberal- democratica, o
cattolico-liberale di Raffaele Lauro, quale centro di elaborazione della civiltà
occidentale, la democrazia come metodo pacifico e civile di soluzione del
conflitto politico, i partiti politici come strumenti: qui mi pare che sia
evidente la lezione di De Capariis al quale, in un certo senso, introdussi,
tra gli altri, Raffaele Lauro, negli anni della nostra giovinezza. Ora direi
che, fondamentalmente, è questo insieme di ideali e di valori a costituire
il centro nevralgico del libro di Raffaele Lauro, il filo rosso che ne attraversa
le pagine più significative e sono, per altro, queste categorie forti
del suo pensiero politico a costituire altresì la chiave di lettura
e d'interpretazione dei fenomeni politici del nostro tempo e, al tempo stesso,
la ragione per cui il suo articolo politico di commento non rimane quasi mai
prigioniero dell'attualità dell'evento, ma ne sa cogliere tutto il
suo complesso spessore. Sotto questo profilo, risultano illuminanti alcuni
capitoli del libro: penso, ad esempio, a quello, dedicato alla sfida portata,
agli inizi del nuovo millennio, dal fondamentalismo islamico, a quella che
Raffaele Lauro definisce, non a caso, l'identità morale dell'Occidente,
e cioè al nucleo dei suoi valori politici e civili, a cominciare dalla
laicità dello Stato. Ma penso, soprattutto, al capitolo dedicato alla
crisi della prima repubblica, e alla lunga fase apertasi all'indomani del
’92. Tra parentesi, Lauro sembra che la veda, non dico conclusa, ma
ne vede in un certo senso l'avvio alla conclusione con le elezioni del maggio
2001, perché, successivamente ai risultati elettorali del maggio 2001,
si va rafforzando il bipolarismo, che caratterizza, in un certo qual modo,
la vita istituzionale e politica dei nostri giorni: il Governo e il Capo del
Governo si vanno a porre come centro nevralgico della vita istituzionale,
in luogo del Parlamento. Veniamo alla crisi della prima repubblica: qui debbo
dire di non condividere il giudizio espresso da Vincenzo Scotti nella presentazione
del libro, secondo il quale Raffaele Lauro su queste questioni sarebbe stato
un po' sfumato. Certamente, nel libro, non si trova la tesi peregrina che
la spallata al sistema politico, sferrata con il referendum dei primi anni
' 90, sia stata il frutto dell'illusione che lega la governabilità
del Paese alla mera stabilità dei Governi.
In realtà, per Lauro, la crisi della prima repubblica ha ragioni assai
più profonde. Convinto, come ho detto, che i partiti politici costituiscano
la spina dorsale delle moderne democrazie di massa, in quanto strumenti di
partecipazione, di elaborazione dei grandi progetti politici e di mediazione
tra i cittadini e lo Stato, Lauro contempla il loro processo di trasformazione
e di sclerosi in macchine burocratiche e clienterali, come il nodo nevralgico
della crisi della rappresentanza politica e, dunque, come il nodo nevralgico
della crisi della prima repubblica. E debbo dire che, per altro, egli vede
nelle nuove formazioni di rappresentanza politica, e cioè nelle strutture
corporative, nei movimenti, nelle liste locali e nei gruppi civici una via
d'uscita dalla crisi. Confesso che, su questo particolare concetto, ma non
mi voglio dilungare, non sono d'accordo con le tesi di Lauro. Per altro, io
mi muovo lungo una scia di pensiero giuridico che ha, almeno a partire dagli
inizi del Novecento, individuato nella rappresentanza politica la crisi dell'istituto
cardine del parlamento moderno. Debbo dire che, da questo punto di vista,
l'emersione delle strutture corporative, cioè dell'articolazione delle
società moderne in gruppi, ordini, ceti, classi e sindacati è
stata una delle ragioni di fondo delle trasformazioni del sistema parlamentare
ed una delle ragioni di fondo, tra l'altro esaminate anche da Bobbio, in quel
bellissimo libro che è "Il futuro della democrazia" in cui
sostanzialmente Bobbio vede definitivamente affermata non più una democrazia
fondata sulla rappresentanza degli interessi.
Non voglio dilungarmi su questo perché aprirei una serie di problemi,
su cui il dibattito è ampiamente aperto.
Certamente, e concludo su questo punto, la crisi della prima repubblica ha
coinciso con la liquidazione giudiziaria di tutta la classe politica e dei
partiti che ne furono l'architrave. Su questa crisi della prima repubblica,
questa dimensione della crisi della prima repubblica rimane ancora tutta da
indagare. Credo che, su questa crisi della Prima Repubblica, Raffaele Lauro,
che ha occupato, negli anni cruciali della crisi, un posto rilevante, in cui
gli sono passati davanti una serie di fenomeni e fatti particolarmente significativi.
Credo che Raffaele Lauro abbia ancora da scrivere un libro, un libro che molti
storici si aspettano per non dico risolvere il problema della crisi, ma per
avere un testimone di primaria importanza. Grazie.
Prof. Salvatore FERRARO
Complimenti.
Mi permetto di ringraziare Ettore, a nome di Raffaele, perché l'ho
visto molto compiaciuto e credo che avete assistito, e Raffaele me ne può
dare conferma, d'altra parte con Ettore siamo vissuti insieme quasi 70 anni,
avete assistito ad un esempio di breve selectio. Credo, caro Raffaele, ti
abbia riportato agli anni ’60, quando frequentavi il glorioso seminario
di Sorrento con suor Angela e suor Rosa. E’ questo il taglio delle lezioni
di Ettore nei licei, soprattutto nel Liceo di Castellammare e nel Liceo di
Meta, per continuare adesso all'Università, perché lui in questo
momento è ordinario di Storia delle Dottrine Politiche presso l'Università
di Salerno.
Lo ringraziamo.
Passo ora la parola a un giovane emergente, un giovanissimo a noi caro, Lui
è entrato subito in politica con grinta, con forza, con grandi capacità.
Siamo sicuri che farà sempre cose belle ed impegnative, perché
ha carattere, ha grinta e capacità professionale. Adesso, invece, lo
invitiamo a esprimere la sua opinione sul libro di Raffaele Lauro.
Intervento del Cons. Giuseppe CUOMO
Prima di entrare nel merito, mi corre l'obbligo di salutare
il Ministro, non nella qualità di amico di Raffaele Lauro, ma nella
qualità di delegato di collegio di Forza Italia e di rappresentante
dell'intera Penisola e dei monti Lattari. Porto il saluto di tutti gli iscritti,
di tutti gli eletti e di tutti i tantissimi elettori che Forza Italia ha conseguito
in questo territorio.
Passando invece all'argomento, nella descrizione del cammino dell'Italia verso
la nuova Europa, il Professor Lauro, mi permetta di chiamarlo ancora così,
pur essendo adesso un Prefetto della Repubblica, ha voluto indicare i tentativi
di modernizzazione e di riforma dello Stato. A tal proposito, non poteva non
parlare della giustizia, indicata come “la grande malata”. Certo,
se si pensa alla durata dei giudizi civili, che si sa quando iniziano e non
quando terminano, e vi si aggiunge il valore di alcuni giudici onorari. Se
si presta l'udito allo svolgimento e alla conclusione di determinati famosi
processi penali. Se nel libro è riportato il giudizio del cittadino
comune, secondo cui, se la giustizia punisce un politico è celebrata,
se, al contrario, coinvolge un proprio politico è vilipesa. Se il nostro
sistema processuale penale somma i difetti dell'accusatorio e dell'inquisitorio,
come si fa a non riconoscere fondata questa definizione? Del resto non è
negabile ciò che viene rimarcato, cioè che alcuni magistrati
inquirenti hanno usato e usano la giustizia in modo strumentale, attraverso
il circolo medianico giudiziario, facendo assurgere alla ribalta quei magistrati
politicizzati assennatori di professione, e non quelli, che sono la maggior
parte, che, nel rispetto del proprio ruolo e delle proprie prerogative, parlano
solamente attraverso atti e sentenze.
Opportunamente, è richiamata anche una dichiarazione dell'onorevole
Fassino, guardasigilli dell'epoca, circa un'invasione della politica nella
giustizia e di questa nella politica. Se un giudice accompagna il figlio ad
una manifestazione dei No Global, affermando che è nel suo diritto
di privato cittadino, dimenticando che, se il magistrato ricopre dei privilegi,
deve riconoscere che a questi corrispondono anche dei doveri; se si dimentica
che l'indipendenza dei magistrati è un mezzo per pretenderne l'imparzialità;
se si giunge allo sciopero dei magistrati, dimenticando che essi rappresentano
uno dei tre poteri dello Stato e non un sindacato di pubblici dipendenti,
la denunzia di “giustizia malata” non è fuori luogo. E
neppure il giusto processo, tanto richiamato ed affermato, è
stato quel segnale positivo che tanto si attendeva. Tuttavia il cosiddetto
principio contraddittorio appare ancora molto claudicante, perciò,
nel libro, troviamo l'augurio di pervenire all'autentico stato di diritto
in questa XIV legislatura. Questo augurio può spingere ad un primo
bilancio, essendo giunti a metà Legislatura, ponendo a base del giudizio
il contratto sottoscritto da Berlusconi dinnanzi a milioni di spettatori,
anche se il vero bilancio va fatto a fine Legislatura. Infatti, il nuovo è
all'orizzonte, con la separazione delle carriere, con le promozioni per merito
e non per l'inesorabile e incolpevole avanzare dell'età, con la revisione
del Consiglio Superiore della Magistratura, organo elettivo. A proposito sulla
separazione delle carriere, non è da nulla che un'iniziativa condivisa
anche dal Presidente Onorario della Corte costituzionale Giovanni Conso, ritenuta
non un attentato alla Costituzione da Francesco Paola Casavola, altro ex Presidente
della Consulta ed auspicata dallo stesso Presidente della Repubblica Carlo
Azeglio Ciamp., Prima che il terrorismo internazionale compromettesse la sicurezza
degli Stati, prima che la crisi economica bloccasse l'Europa e gli Stati Uniti,
il Governo Berlusconi era già al lavoro per vincere quella naturale
diffidenza verso il Suo operato:
non si sarebbe pagata la tassa di successione; gli eredi avrebbero gioito;
quando l'Irpef sarebbe stato meno pesante i contribuenti avrebbero esultato.
Ma da allora altri adempimenti al contratto si sono verificati: l'aumento
dei posti di lavoro con la diminuzione della disoccupazione, l'ulteriore diminuzione
delle tariffe dell'Irpef.
Con tutte queste riflessioni mi sia consentito concludere, richiamando la
tradizione marinara, che invita a fare i bilanci quando la nave entra nel
porto e non in piena navigazione. La prudenza dei pescatori, che giudicano
il risultato della pesca quando la sacca finale della rete giunge in barca.
Se la giustizia è malata, se il giusto processo ancora giusto non lo
è, se l'indipendenza non è ancora sinonimo d'imparzialità,
non resta che augurarsi la conclusione del piano di riforme e che le stesse
possano raggiungere il proprio scopo. Grazie.
Prof. Salvatore FERRARO
Ringrazio l'avvocato Cuomo, che ha toccato temi particolari
del dibattito delle forze politiche in Italia.
Ora, passo la parola, con piacere, ad una persona autorevole del mondo sorrentino,
il dottor Gaetano Mastellone, che in trentatre anni di carriera ha raggiunto
importanti traguardi professionali nel settore bancario finanziario: Direttore
Centrale della Banca Popolare di Bari, Amministratore Delegato Popolare Bari
Corporated Finance, responsabile dell'aria Campania e Lazio, Presidente del
Consiglio di Amministrazione della Banca Popolare Sorrentina, Consigliere
della Commissione Regionale dell'Associazione Banche Italiane (ABI).
Recentemente, in un'intervista, egli ha detto delle cose interessanti: che
la missione della Banca Sorrentina Popolare è sempre stata quella di
collocare ciò che serve al cliente, non quello che serve solamente
al conto economico della banca; che i risultati ottenuti sono lusinghieri,
ma intenzione dei dirigenti, e quindi sua in particolare, è cercare
di offrire un servizio ancora maggiore puntando all'eccellenza. Con questi
principi, con questi sentimenti e con questi auguri, io gli passo la parola.
Grazie. Saluto il Signor Ministro, Onorevole Claudio Scajola,
politico moderno di rilievo e uomo che con la sua nota vocazione per l'Europa
ha dato, e continua a dare, un elevato contributo politico e professionale
alla Nazione e al futuro europeo. Sua Eccellenza Scajola inizia la prefazione
al libro "Verso la Nuova Europa", scritto dal nostro illustre concittadino,
il dottor Prefetto Raffaele Lauro, con l'evidenziare alcuni concetti che sono
anche espressioni molto modeste del mio pensiero: la libertà, l'europeismo,
l’atlantismo.
Di Raffaele Lauro, cosa dire, grazie di esistere, grazie di averti conosciuto
quarant'anni fa, e basta.
Eccellenza, sono molto onorato di aver fatto la Sua conoscenza.
Il mio sarà un intervento piuttosto tecnico, quindi, ricollegandomi
al tema europeo, così già bene delineato nel libro in presentazione,
desidero argomentare su un tema di grande attualità, il rapporto tra
banche e imprese, visto sotto l'aspetto della nuova normativa di Basilea 2.
La domanda che nasce spontanea ed istantanea è: "Basilea 2 migliorerà
il rapporto tra banca e impresa?". Questo nuovo accordo sarà operativo
a decorrere del 2007, vediamo innanzitutto con molta, molta sintesi di cosa
si tratta.
Lo possiamo definire un nuovo sistema di calcolo dei requisiti di capitalizzazione
delle banche, quindi obbligherà tutte le banche europee ad accantonare
una quota di capitale proporzionale al rischio dei vari rapporti di credito
assunti. Il rischio di credito sulla clientela sarà valutato attraverso
lo strumento del rating, che, in pratica, è un misuratore della solvibilità
e dell'affidabilità del cliente debitore. Il rating verrà calcolato
su ogni singolo cliente.
L'impostazione di un sistema di rating considera due particolari momenti:
primo, la fase dell'assegnazione del rating, in cui in ogni debitore s'individua
una particolare classe di rating. Poi c'è la fase di rating quantification,
che permette di associare ad ogni classe di rating dei valori attesi d'insolvenza,
mediante l'analisi di specifiche e variabili. Quindi, il rating sarà
un indicatore interno in ogni singola banca e sarà calcolato su ogni
singolo cliente. Oggi, a seguito dell'accordo di Basilea 1 del 1988, le banche
sono obbligate ad accantonare una quantità di capitale, pari all'8%
di quanto erogato ad ogni singolo cliente. In pratica, una banca che presta
100 euro deve accantonare una quota di capitale di 8 euro, senza che questo
capitale venga remunerato. Quindi, l'attuale sistema presenta dei limiti,
ecco perché Basilea 2. In futuro quindi, con l'attuazione della normativa
di Basilea 2, il timore più ricorrente che c'è in giro è
che, per le piccole e medie imprese (l'Italia è formata al 90% da piccole
e medie imprese), potrebbe nascere il rischio di nuovi ostacoli nell'accesso
al credito, che oggi risulta, si dice, abbastanza difficoltoso e addirittura
molto restrittivo nelle Regioni del Sud. A mio parere così non è,
ma questo è un altro argomento di discussione, restiamo in tema. I
soliti pessimisti affermano, addirittura, che Basilea 2 porterà in
futuro una riduzione di finanziamenti bancari e un'uscita dal sistema di assistenza
delle piccole e medie imprese da parte delle piccole e medie banche. Questa
è una sintesi molto pessimistica delle novità e, secondo il
mio personale parere, sento di poter affermare che, al momento, non si ravvisano
particolari elementi di preoccupazione prospettica, anche perché il
sistema bancario già da anni sta attuando una politica di rating. Quindi
il sistema di Basilea 2 oggi è già abbastanza ben fondato e
non si sono verificate delle situazioni particolarmente negative.
Vediamo ora cosa poter consigliare alle imprese, per affrontare con maggiore
serenità questa nuova normativa in arrivo: primo, i rapporti futuri
tra banca e imprese andranno improntati sulla reciproca trasparenza e sulla
presentazione, da parte degli imprenditori, di bilanci, piani di sviluppo
aziendali, documentazione valutativa e dovranno essere sempre più rispondenti
alla realtà dell'azienda; secondo, bisogna imparare a discutere con
la propria banca senza condizionamenti e con maggiore apertura possibile.
Banche e imprese, per crescere in un mercato che sarà sempre più
europeo, dovranno farlo insieme e dovranno essere guidate da uno Stato sempre
più moderno, che continui ad attuare una politica di sviluppo e non
di sola assistenza, come fatto in passato. Il Governo italiano è sulla
buona strada, strada difficile e a volte impopolare, ma obbligata per avere
un futuro migliore. L'eredità raccolta è stata pesante, ma la
svolta è stata data e i frutti positivi verranno, a mio parere, sicuramente
con il tempo.
Nessuno, bisogna intervenire con nuove regole, così come il Governo
sta già ben facendo da alcuni anni, la strada è stata tracciato
e quindi resta a tutte le forze economiche organizzarsi per crescere. Basilea
2, in sintesi, secondo me aiuterà, se verrà vissuta per quella
che è e per quello che vuole rappresentare, cioè uno strumento
per una crescita sana e per lo sviluppo moderno per l'economia bancaria e
della classe imprenditoriale, quindi ovviamente della Nazione Italia. Con
Basilea 2 la finanza aziendale dovrà occupare un primo posto, un posto
di primo piano nell'attenzione degli imprenditori, così come lo è
l'attenzione per il commerciale, per l'organizzazione aziendale e per la tecnologia,
cioè gli imprenditori dovranno essere un po' più attenti alla
finanza aziendale.
Vorrei evidenziare brevemente quali sono - qui sono presenti molti imprenditori,
dirigenti e professionisti - le aree sensibili che l'impresa dovrà
abituarsi a prendere da subito in considerazione, nella fase di check-up aziendale,
preparatoria al rating Basilea 2. Innanzitutto, la struttura patrimoniale:
i bilanci di molte piccole e medie imprese presentano strutture patrimoniali
assolutamente deficitarie, che spesso non evidenziano il reale valore dell'impresa.
Non intervenire in questa area sarà un vero autogoal, per cui, consiglio
di valutare subito gli interventi, ovviamente meno onerosi, per presentare
una struttura patrimoniale più rispondente alla realtà aziendale,
perché l'immobilismo non pagherà.
Un'area sensibile alla struttura finanziaria, cioè bisogna analizzare
degli indicatori di indebitamento sui mezzi propri, debiti brevi su debiti
a lunga scadenza, gli aspetti economici; quindi il ruolo principe della pianificazione
finanziaria di un'azienda appare forte in tutta la propria evidenza. Pianificare
i futuri impegni, al fine di reperire per tempo le adeguate coperture finanziarie,
dovrà essere un imperativo anche per le imprese più piccole,
in modo da evitare di incorrere in situazioni di tensione di tesoreria, che
saranno in futuro immediatamente rilevate dalle banche, per effetto del famoso
rating. Per meglio specificare questo concetto, lo sintetizzo con un piccolo
esempio: decidere se acquistare un bene con un mutuo o con un leasing è
una scelta che non potrà essere compiuta solo in considerazione dei
vantaggi fiscali, come succede oggi, ma bisognerà anche considerare
l'impatto di tale scelta sulla struttura patrimoniale dell'azienda, nonché
sulla struttura dell'indebitamento. E' un cambiamento di cultura in atto,
a cui dobbiamo prepararci.
Noi, nel nostro gruppo bancario, crediamo molto nella consulenza e nella finanza
aziendale; infatti abbiamo creato una società, la Popolare Bari Corporated,
di cui sono amministratore delegato. Questa società è costruita
in un modo da poter offrire dei prodotti sartoriali, per ogni piccola e media
azienda. Le imprese medio piccole, quindi, comincino immediatamente ad attrezzarsi,
perché a loro sarà chiesto una maggiore rilevanza nella strategia,
nella pianificazione e nell'attività prospettica. E' opportuno che
le aziende e gli imprenditori comprendano queste regole, in modo da strutturarsi
coerentemente in termini di requisiti informativi, finanziari, organizzativi.
Ovviamente, una visione moderna delle politiche deve essere richiesta anche
alle Regioni, alle Province e ai Comuni. Le Regioni, in particolare, dovranno
essere in grado di legiferare in chiave moderna ed europea, dovranno costituire
iniziative adatte ad un reale sviluppo e non attuare iniziative che, alla
fine, non portano valore aggiunto. Ad esempio, come Consigliere della Commissione
Regionale dell'Associazione Banche Italiane, sto seguendo in prima persona
un'iniziativa nazionale in atto nella Regione Campania, che vuole attuare
un’ authority regionale del risparmio e del credito: perché farlo
se il Presidente della Regione Campania sa di non poter imporre nulla alle
banche? Non è forse meglio attuare delle leggi moderne, finalizzate
allo sviluppo del territorio campano, che ha davanti a se un futuro splendido,
se fatto in primis di turismo? Cosa si fa per il turismo? Questo bisogna domandarsi,
le authorities le faccia il Governo a livello nazionale, che è ben
attrezzato per farlo. Per il localismo serve ben altro. I problemi del localismo
si risolvono in loco, con tavoli di concertazione. Ad esempio, la nostra Sorrento,
inizia ad avvertire un calo di presenze turistiche. Cosa si fa? Si continua
a dare fiducia a chi ben governa. Si comincia a raccogliere attorno a un tavolo
tutte le forza imprenditoriali e politiche, per pianificare strategicamente
“insieme” il futuro. Attendere gli eventi, oggi, è molto
pericoloso e l'Europa ci attende al varco: facciamo attenzione a non finire
su un binario morto. Ringrazio tutti per l'attenzione, ho cercato di fare
molta sintesi, spero di non aver fatto molta confusione, perché il
discorso di Basilea 2 è molto serio, a mio parere, e va affrontato
dalle banche, dalle imprese e dai politici in modo serio, perché in
Europa ci siamo già ed essa ci attende al varco. Grazie per l'attenzione.
Prof. Salvatore FERRARO
Ringrazio il dottor Mastellone per questa breve sintesi, dalla
quale abbiamo potuto comprendere gli scenari futuri che si prospettano in
campo bancario e nel campo delle imprese.
Passo la parola ad Antonino Pane, amicissimo del prefetto Lauro. Egli ha seguito
la sua brillante carriera da quando alcuni anni fa, dopo essersi laureato
in Giurisprudenza, iniziò a scrivere, come corrispondente della penisola
sorrentina. Ricordiamo ancora i suoi articoli incisivi e interessanti. Oggi
egli è Capo Redattore de “Il Mattino”, che dirige con autorevolezza
e competenza. Credo che Raffaele sia molto compiaciuto di questo, perché
è una vita che lo segue, ma credo che, prima di lui lo abbia seguito
con molto affetto Sua madre Angelina che lo apprezzava e lo stimava. Ad Antonino
Pane la parola.
Intervento del Dott. Antonino PANE
Grazie Professor Ferraro.
Signor Ministro, Eccellenze, Cari Amici,
ad un anno di distanza, eccomi alle prese con un nuovo libro di Raffaele Lauro.
A chi, nei giorni scorsi, mi chiedeva come faceva il mio "prof"
a sfornare un libro dopo l'altro, ho risposto che chi assomma all'intelligenza
e alla preparazione una grande capacità organizzativa, riesce sempre
a gestire anche un impegno forte come la pubblicazione di "Verso la Nuova
Europa". In tempo, tutto sommato, brevissimo. In verità, non avevo
ancora letto il libro, non mi ero ancora cimentato con questa ponderosa analisi
della società in cui viviamo e di cui solo marginalmente riusciamo
a cogliere le trasformazioni e i mutamenti. Sono uno di quelli che vengono
sempre definiti "addetti ai lavori" eppure vi assicuro: Raffaele
Lauro dalle pagine di questo libro mi ha impartito una ennesima lezione. La
sensazione di essere preso per mano, accompagnato articolo dopo articolo,
verso una riflessione puntuale e profonda sul mondo in cui viviamo e quello
in cui i nostri figli dovranno crescere. Un viaggio piacevole perché
sistematizzato, tante finestre aperte sulla società italiana, alle
prese con i tanti problemi dell'integrazione europea; un percorso comodo,
senza strattoni, senza urla, un'analisi da cui traspare tutto l'impegno e
la conoscenza di un uomo che ha dedicato la sua vita allo studio e al servizio
dello Stato. E chi, come me, ha avuto la fortuna di seguire da vicino la sua
carriera straordinariamente feconda, ha ritrovato in tutte le pagine quel
profondo senso europeista, che ci trasmettevano le lezioni di Francesco Compagna,
le riflessioni sugli scritti di Gaetano Salvemini e Benedetto Croce. Col rispetto
delle istituzioni nazionali e sovrannazionali maturato con l'impegno, con
il lavoro, con lo studio, nella piena consapevolezza che chi fa ed opera per
gli altri merita sempre rispetto: i genitori dai figli, gli amministratori
dai cittadini, i politici dal popolo. E con questi saldi principi, Raffaele
Lauro legge la transizione dalla prima alla seconda repubblica, una transizione
delicata in alcuni momenti difficili. Sì, caro professore Ettore Cuomo,
Lei ha detto una cosa giustissima. Su quegli anni terribili, prof, aspettiamo
un tuo libro, per capire da dentro la crisi della prima repubblica, la congiura
contro la prima repubblica e i tanti risvolti delicati di cui Tu sei stato
testimone storico e diretto. Te lo chiede anche Scotti nella sua presentazione.
Quando, tuttavia, ho tentato di affrontare con Te questi argomenti Tu taci,
diventi pensoso. Sai ben custodire tanti dettagli illuminanti, certamente
sensibili. Forse questo libro Tu non lo scriverai mai, preoccupato, come sostiene
di Te il presidente Cossiga, di danneggiare uomini o istituzioni, preoccupato
di tradire il Tuo senso dello Stato. In una realtà sociale fatta di
traditori, Tu rappresenti una vera eccezione.
Ma torniamo al libro di oggi. Al ragionamento politico, il "prof"
unisce la forza dell'esperienza, maturata ai vertici dell'apparato del Ministero
dell’Interno. Il cammino verso la nuova Europa presume un'Italia preparata
ad affrontare grandi sfide internazionali, come, ad esempio, quella che viviamo
oggi con l'allarme terrorismo. Raffaele Lauro, scrive Vincenzo Scotti, nella
sua presentazione, non si tira indietro dall'affrontare i risvolti più
delicati dell'organizzazione del sistema sicurezza, quali quelli relativi,
ad esempio, al coordinamento delle forze di polizia. Giustamente, Raffaele
Lauro ritiene incompiuta la riforma delle forze di polizia e valuta un'occasione
sciupata quella del coordinamento delle stesse. Il "prof", per pudore,
non parla apertamente della sua esperienza come Capo di Gabinetto al Ministero
dell'Interno e del suo impegno insieme a Sabato Malinconico, Carlo Mosca e
Vincenzo Parisi, per ricercare una soddisfacente risposta al tema del coordinamento
delle forze di polizia. E' bene che in Italia, sottolinea Scotti, continuino
ad esistere diverse forze di polizia, non è un lusso di cui potremmo
fare a meno. Solo chi conosce il valore della libertà si preoccupa
giustamente della sua salvaguardia, può captare l'importanza e l'utilità
del nostro sistema, ma questo sistema ha ragione di essere solo se viene accompagnato
da un effettivo coordinamento operativo. Raffaele Lauro arriva al nocciolo
del problema, tornando all'idea di un Segretario Generale del Ministero dell'Interno,
così come era stato proposto nel 1992 e che sarebbe oggi legge, se
non fosse sopraggiunta all'ultimo momento la preoccupazione dall'allora Capo
della Polizia, destinato, nel disegno e nella volontà di chi proponeva
la riforma, a diventare il Primo Segretario Generale del Ministero dell'Interno.
Il problema non è stato risolto, resta aperto. E, negli anni, mi sembra
di poter aggiungere che solo la grande fermezza di uomini, come Claudio Scajola,
ha evitato che questa lacuna apparisse agli italiani e agli europei ancora
più evidente. Raffaele Lauro affronta questi temi con la semplicità
del cittadino che chiede ordine e sicurezza. La stessa immersione nel villaggio
globale, favorita dalle nuove frontiere della comunicazione, ha dilatato oltre
ogni immaginabile misura questa richiesta.
Il bombardamento informativo che ci avvolge e ci travolge ha catalizzato le
nostre paure, le nostre ansie, le nostre preoccupazioni. Viviamo in una vera
e propria sfida quotidiana. Siamo passati, in pochi anni, dal timore di attraversare
la strada al timore della bomba nel treno che porta i nostri figli a scuola.
Il "prof", nella sua analisi "Verso la Nuova Europa",
certamente non elude questi temi: cosa cambierà, si chiede, con Internet
e la new economy, nella vita degli uomini e dei popoli? I cambiamenti saranno
generalizzati e tutti di segno positivo o creeranno ulteriori discriminazioni
ed ingiustizie? Sarà migliorato il rapporto tra cittadini ed istituzioni,
nonché la partecipazioni dei singoli alla vita comunitaria, e ancora,
le istituzioni democratiche si salveranno o potranno correre pericoli? Il
potere reale risiederà nelle istituzioni rappresentative tradizionali,
sanzionabili dall'opinione pubblica, o si concentrerà in poche mani
invisibili, in potentati tecno- finanziari, in lobbies fuori controllo? Queste
e altre domande, in verità se ne potrebbero formulare all'infinito.
Raffaele Lauro risponde, rilevando un notevole ritardo ad affrontare questi
temi, da parte degli intellettuali, dei politici, dei filosofi, degli economisti,
degli educatori, dei sociologi e dei giornalisti: si registra, Egli scrive,
un ritardo culturale, un gap mentale nell'affrontare i possibili esiti della
evolution, come se gli uomini di pensiero fossero stati colti di sorpresa,
come se si sentissero minacciati nel patrimonio di conoscenze, nell'esercizio
della tradizionale capacità di persuasione e nella loro stessa funzione
storica. E’ così, caro "prof"! Vivo sulla mia pelle
questo cambiamento e soffro i disagi professionali di chi è passato
in pochi anni dal vaglio e dalla verifica delle notizie, al ruolo di semplice
smistatore delle stesse, preoccupato, proprio per obbedire a questi credi,
di avere sul giornale tutto e non quello che serve. Ma la mia speranza è
che anche questi nuovi atteggiamenti, cui spesso obbediamo in maniera inconscia,
siano dovuti solo a questa fase di transizione che sta accompagnando il cammino
verso la Nuova Europa. Le tue riflessioni e il tuo radicato ottimismo in questo
senso mi hanno confortato molto. Abbiamo ereditato dai nostri padri un mondo
discreto in cui vivere, cerchiamo tutti quanti di lasciarne uno almeno uguale.
Grazie.
Prof. Salvatore FERRARO
Ringraziamo Antonino Pane...
E ora passo la parola ad un'altra personalità della Penisola Sorrentina,
l'avvocato Salvatore Ravenna, laureatosi anch'egli in Giurisprudenza, amico
stimato da Raffaele Lauro. Egli è oggi un affermato avvocato, esperto
in diritto della navigazione, consulente legale di vari gruppi armatoriali:
Elettra Navigazione Libera del Golfo, Alilauro, eccetera. In tutti questi
settori egli sta portando la sua competenza con scrupolo e professionalità.
Noi gli auguriamo di continuare questo lavoro, al servizio della comunità
e anche della Penisola Sorrentina. Gli cedo la parola.
Intervento dell’Avv. Salvatore RAVENNA
Ringrazio il professor Ferraro per le belle parole e la bella
presentazione concessami, però ha dimenticato di dire una cosa: che
io di Raffaele Lauro sono stato l'ultimo allievo, perché mentre io
mi laureavo lui lasciava l'insegnamento, per passare a servire altre Istituzioni.
Ringrazio Raffaele Lauro, che mi ha dato la possibilità d'intervenire
anche alla presentazione di questa sua nuova opera. Devo dire che c'è
un filo conduttore a questo tavolo, perché l'insegnamento didattico
che passa dal professor Cuomo attraverso Raffaele Lauro, si conclude, poi,
in questo triangolo, con me.
Questa cosa è nata casualmente, perché io ho partecipato già
alle presentazioni delle tre opere e, quindi, sono onoratissimo per questo.
Sarò breve, perché non vorrei tediare nel ripetere argomentazioni
già trattate dagli autorevoli relatori che mi hanno preceduto e, soprattutto,
per non sottrarre tempo all'intervento del Ministro, che ha una duplice valenza,
provenendo da un uomo politico attento, sottile, conoscitore delle problematiche
europee, come si capisce dalla lettura della bella prefazione al libro, e
da un Ministro in carica, quindi una di quelle persone che, in un momento
difficile come quello attuale, hanno la responsabilità di assumere
azioni e decisioni che, nel concreto, condizioneranno il futuro dell'Europa.
Venendo al libro, devo dire che l'Autore ha trattato, con la chiarezza e la
sintesi del professore di storia e filosofia e con l'esperienza dell'uomo
che serve le Istituzioni pubbliche ai vertici, argomenti molto difficili e
problematiche ampie, però li ha trattati con concetti semplici, rendendo
l'opera accessibile a tutti. Chiarezza delle argomentazioni e profondità
dell'analisi traspaiono fin dalla lettura del primo capitolo, che è
quello che mi ha colpito di più, perché disegna il futuro dell'Europa
e pone degli interrogativi sul futuro del Vecchio Continente. L'Autore, nel
commentare i lavori della Presidenza italiana dello scorso Semestre e nell'elencare
i passi in avanti fatta dalla Convenzione, istituita per iscrivere la Costituzione
europea, pone in evidenza come, proprio nel momento in cui l'Europa si allarga
a nuovi Paesi e sembra consolidarsi, gli interrogativi ancora non risolti
sulla disponibilità di ciascuna Nazione a cedere quote di sovranità,
sovranità la cui cessione è proporzionale e propedeutica alla
nascita di un'Europa forte, di un'Europa unita, di un'Europa-Stato. Questi
interrogativi, se non risolti, minacciano il futuro dell'Europa e minacciano
di aprire la porta all'euroscetticismo.
Nello stigmatizzare le luci e le ombre, è proprio questo il titolo
di uno dei paragrafi del capitolo, che accompagnano il futuro dell'Europa,
l'Autore cristallizza le condizioni positive relative al futuro dell'Europa,
che fanno dire agli euroottimisti: che in breve tempo, si giungerà
ad una Costituzione europea forte, e al Ministro degli Esteri europeo e ad
altre iniziative del genere. Poi illustra anche le condizioni negative, quelle
che fanno dire ai pessimisti che dietro l'angolo c'è l'acuirsi di una
crisi europea di non facile soluzione. L'Autore focalizza in questo modo quelli
che sono i nodi politici, che, se non risolti, non potranno mai dare una tranquillità
al futuro dell'Europa. Lo fa facendo capire al lettore dell'opera che, già
oggi, le scelte del cittadino inglese o francese o tedesco condizionano quello
che sarà il futuro europeo.
L'analisi è sottile, delicata, si fa comprendere come il prevalere
di uno schieramento politico o dell'altro, tra quelli che si contrappongono
nelle principali nazioni europee, determinerà una soluzione, in un
senso più o meno positivo, per il futuro dell'Europa. Questa è,
in sostanza, la chiave di lettura che ho dato io a questo capitolo dell'opera,
però le argomentazioni mi hanno colpito, anche perché, venendo
io da un'esperienza lavorativa d'interfacciamento con le Istituzioni europee,
ho capito che, proprio mentre i cittadini iniziano ad uniformarsi, a confrontarsi,
a rapportarsi con naturalezza alle istituzioni europee, essendo ormai l'Europa
una cosa stabile ed esistente, ci sono ancora dei problemi seri da superare,
affinchè il lavoro fatto fino ad oggi per avviare le istituzioni europee
non abbia un forte regresso.
Questo sarebbe grave perché, ripeto, ormai il cittadino ha acquistato
una naturalezza d'interfacciarsi con le istituzioni europee e vede talvolta
in esse la strada per tutelare dei diritti, altrimenti negatigli. Oggi è
normale anche per i piccoli armatori miei clienti, per i piccoli produttori
di beni, rivolgersi alla Commissione europea, per trovare in quella sede la
soluzione ai problemi, che altrimenti sembrano irrisolvibili. Su questo punto,
io penso ad un anziano armatore che, incontrandomi ieri mattina al Porto di
Napoli, nel commentare un provvedimento della Regione Campania, in materia
di collegamenti marittimi, che evidentemente non condivide perché privo
di quello spirito di libertà che soprattutto gli armatori nutrono,
mi ha detto:"Avvocato, dobbiamo ricorrere a Bruxelles!". Come già
abbiano fatto per far capire allo Stato italiano che gli aiuti alla Caremar
in concorrenza con le nostre linee veloci, non erano leciti e praticabili
in chiave di concorrenza.
Concludo adesso, perché davvero mi sto dilungando troppo, augurandomi
che l'Europa del futuro sia scevra di ostacoli e che i cittadini possano continuare,
come l'anziano armatore, a vedere nelle istituzioni europee un riferimento
al quale attingere, ad avere ancora fiducia nelle istituzioni europee. Però,
perché questo possa accadere, perché questo augurio possa verificarsi,
è necessario che gli uomini che saranno chiamati a decidere sul futuro
dell'Europa siano animati da un sincero spirito di libertà e che siano
portati a vedere nelle istituzioni uno strumento per servire la collettività
e non uno strumento per alimentare il potere e talvolta opprimere i cittadini.
Sono sicuro che il Ministro Scajola, che ho avuto l'onore di conoscere, sia
una di queste persone e spero che vorrà continuare, come ha fatto in
passato e sta facendo nel presente, ad impegnarsi a lavorare, affinché
la barca dell'Europa possa raggiungere approdi tranquilli. Grazie.
Prof. Salvatore FERRARO
Ringrazio l'avvocato Salvatore Ravenna, esperto marittimista,
per aver offerto il suo contributo al dibattito odierno.
Ed ora saluto, con particolare riguardo, Sua Eccellenza il Ministro Scajola,
la Sua Signora, i Suoi familiari, che ci hanno dato il piacere di vederli
tutti qui a Sorrento, città ospitale da secoli. Credo che, anche tra
i molti impegni, essi abbiano avuto l'occasione di gustare i colori, gli odori
e i sapori di questa terra particolarmente felice. Stamattina il Ministro
è stato presso la Società Operaia di Mutuo Soccorso, che gli
ha conferito, nella prestigiosa sede medievale del Sedil Dominova, la Tessera
di Socio Onorario. Poche ore fa ha presenziato, nella Chiesa del Santissimo
Rosario a Capo di Sorrento, ad una cerimonia, una Santa Messa in memoria dell'indimenticabile
Angela Ajello Lauro, madre di Raffaele Lauro, a tre anni dalla scomparsa.
Oggi è qui con noi, per concludere degnamente la presentazione del
libro di Raffaele Lauro "Verso la Nuova Europa", un libro che Raffaele
ha elaborato con particolare prestigio, con particolare attenzione, e lo ringrazio
di avermi offerto l'occasione. Lui, amabilmente, mi ha costretto a leggerlo
tre volte, perchè ho dovuto curare la revisione tipografica del testo,
essendo io attento curatore di bozze ed essendo lui altrettanto. Allora tra
Roma e Sorrento c'è stato un fitto scambio e credo che il libro sia
giunto all'optimum. Tuttavia, diceva Benedetto Croce, un libro senza errori
non è ancora stato scritto. Comunque abbiamo fatto quanto meglio si
poteva.
Ripeto, è giusto che, dal momento che il Ministro Scajola è
qui presente, che io ricordi un particolare che fin dalla nascita lo avviò
alla carriera politica. Come ben sapete, lo tenne a battesimo Maria Romana
De Gasperi, la figlia di Alcide De Gasperi, al quale l'Italia deve la rinascita
post-bellica. Credo che questo si stato un segno premonitore di tutta la sua
carriera futura. Egli ha iniziato giovanissimo la sua carriera politica. A
14 anni fondò, con un alcuni compagni di scuola del Liceo Classico
De Amicis, un gruppo studentesco di ispirazione cattolica moderata. Militò
nel movimento giovanile della DC, giungendo a far parte della direzione nazionale.
Nel '75 venne chiamato a presiedere l'Ospedale Regionale di Costa Rainera,
in provincia d'Imperia. Nell' 80 è stato Presidente della neo costituita
USL d'Imperia. A 32 anni ha fatto il suo ingresso in Consiglio Comunale ad
Imperia. Sindaco della città nell' 82-83 e, poi, una seconda volta
dal ' 90 al ' 95. Nel 95 ha guidato, con successo la Lista Civica “Amministrare
a Imperia”: Successivamente Silvio Berlusconi gli ha chiesto di entrare
in Forza Italia, affidandogli l'incarico di Coordinatore della provincia d'Imperia.
Nel '96 è stato eletto deputato al Parlamento nella lista del Polo
delle Libertà, nel collegio uninominale Liguria 2, con 35.443 voti.
Nel ' 96 gli viene affidata la responsabilità Nazionale dell'Organizzazione
di Forza Italia, dopo il Primo Congresso Nazionale di Forza Italia a Milano
viene nominato Coordinatore Nazionale di Forza Italia. E’ rieletto deputato
con 43.910, il 56,9%. Nel giugno 2001, fa parte del Secondo Governo Berlusconi
quale Ministro dell'Interno. Dal 31 luglio 2003 è Ministro dell'attuazione
del programma di Governo.
Noi lo salutiamo con affetto e con particolare stima. Attendiamo da Lui la
conclusione di questa magnifica serata.
Intervento del Ministro Claudio SCAJOLA
Grazie, caro Ferraro, per la sua precisa e puntuale presentazione,
anche se c'è un piccolo omissis di un anno recente, che ha fatto parte
importante nella storia della mia vita. Io desidero salutare il Sindaco di
questa bellissima Sorrento, il Signor Prefetto, voi amici, così vi
voglio chiamare, di Sorrento, le Autorità, Signori e Signore.
Prima di sottoporre, spero in modo non troppo lungo, alla vostra attenzione
qualche mia riflessione conclusiva sul libro di Lauro e sul tema del futuro
della nostra Europa, desidero ringraziare particolarmente l'Amministrazione
Comunale di Sorrento, il Sindaco per la cordialissima accoglienza, affettuosa,
che ho trovato al mio arrivo e nella mia permanenza in questa bellissima cittadina,
così come la Società Operaia di Mutuo Soccorso nella persona
del presidente Stinga, tutti i Soci, per l'onore che mi hanno concesso questa
mattina, in una bellissima cornice, nel conferirmi la Tessera di Socio Onorario,
nonché il parroco, don Antonino Persico, per le premurose, eccessive
parole rivolte alla mia persona, oggi pomeriggio, in occasione della Messa
in suffragio della mamma di Raffaele Lauro.
Ringrazio allo stesso modo il professor Ferraro, il professor Cuomo, gli altri
autorevoli relatori che mi hanno preceduto e che hanno illustrato, con profondità
ed acume, la raccolta quadriennale di scritti di Lauro, densa di stimoli,
di spunti per un dibattito che proseguirà per chi lo leggerà
una volta sola e che sicuramente sarà occasione di approfondimento
culturale, vista la grande attualità. Rivolgo a tutti i presenti un
saluto cordiale e caloroso, in particolare, mi sia consentito, ai miei colleghi
parlamentari che vedo presenti in sala, agli ex parlamentari, vedo Raffaele
Russo, ai Prefetti della Repubblica di questa bella Regione che sono presenti,
al Comandante Regionale dell'Arma dei Carabinieri, a tutte le Autorità
civili e militari, così qualificate che trovo oggi qui dinnanzi a me.
E, in particolare - sicuramente lo comprenderete - saluto Raffaele Lauro.
Non tanto per il suo passato, così bene illustrato, quanto per la sua
nuova giovinezza e per il suo nuovo impegno a fianco a me, come collaboratore,
in questo momento, nel cercare di capire cosa fanno i ministri, per cercare
di capire se il programma di governo procede, cercare di aiutare, di collaborare
perché il Governo possa svolgere al meglio il suo compito, a fianco
del Presidente del Consiglio Berlusconi.
Quando Lauro mi ha chiesto la prefazione al suo nuovo libro, ispirato al sogno
europeo, nutrito fin dagli anni degli studi liceali e coltivato nello studio
delle opere dei grandi maestri del pensiero politico democratico e dei padri
fondatori dell'Unione europea, ho subito pensato ad Alcide De Gasperi, e ho
colto una perfetta sintonia di visione politica. Oserei dire una visione europeista
totalmente degasperiana. Ho ritenuto, quindi, di approfondire, nella prefazione
stessa, che ho fatto al libro, un tema di grande attualità sulla libertà,
sull'europeismo, sull'atlantismo, come le stelle polari della concezione politica
di Alcide De Gasperi. Di come questi valori abbiano trovato una loro ricomposizione
storica nella visione politica di Silvio Berlusconi, ahimè capendo
benissimo che, nell'immediato, questo avrebbe creato "scandalo",
tra virgolette. Credo che i fondamenti della visione politica di entrambi,
pur nelle mutate condizioni storico- politiche e pur nel diverso profilo psicologico
delle due personalità, coincidano in maniera particolare. De Gasperi
e Berlusconi, sulla base di un'analoga lucida intuizione, sono stati chiamati,
in periodi storici diversi - uno ai difficili esordi della repubblica democratica,
l'altro al tramonto della prima repubblica - a riempire un vuoto, assumendo
su di se, in prima persona, la pesante responsabilità di salvaguardare
il sistema democratico dalle pretese egemoniche della sinistra marxista e
post-marxista. Entrambi sono diventati, per tale intuizione, per il coraggio
delle scelte fatte, il nemico da eliminare, da parte degli avversari politici,
anche con il ricorso alla denigrazione e alla derisione. Su questo tema, noi
ci ricordiamo del tempo più vicino, ci ricordiamo la denigrazione,
la derisione nei confronti di Berlusconi, ma siamo portati a dimenticare,
se non andiamo a vedere e a raccogliere i giornali dell'epoca, quanta e quale
intensità ebbe allora la denigrazione nei confronti di Alcide De Gasperi.
Al di là di questa mia valutazione storico-politica, che affido alla
vostra lettura, insieme al libro, approfitto di questa particolare occasione,
dinnanzi a questa platea attenta e paziente, per fare il punto sul tema centrale
di questo lavoro "Verso la Nuova Europa". Nel titolo stesso, ho
avvertito due sentimenti contrastanti dell'Autore: la speranza e, insieme,
la preoccupazione sul futuro dell'Europa e della democrazia. Tutti sappiamo
che da pochi giorni, dal primo maggio di quest'anno, l'Unione Europea si è
allargata, da 15 siamo diventati 25 paesi, una nuova Europa che ha ben 455
milioni di abitanti, che ha un PIL di quasi 10.000 miliardi di euro, una cosa
enorme. E’ stato un progetto lungamente preparato, più di 10
anni, appoggiato dai nostri Governi e che offrirà ai nuovi paesi, a
partire dalla Polonia, 21 miliardi di euro di fondi strutturali da incassare
da qui al 2006, oltre ai 20 miliardi già erogati prima dell'adesione,
cifre grandiose. Si tratta di un evento politico istituzionale e culturale
senza precedenti nella storia antica, moderna e contemporanea, al quale il
nostro Govern, in particolare, il Governo Berlusconi, ha offerto negli ultimi
3 anni il più ampio sostegno e la più totale collaborazione.
Ma vedete, anche questo fatto, per quanto è stato presentato in queste
ultime settimane sui media, sulle televisioni, sui giornali, non ha, a mio
avviso, colpito più di tanto i nostri cittadini, quasi ormai fosse
una cosa scontata, molto più colpiti dalla quotidianità di tante
altre notizie. Invece questa nuova Europa, sarà l'Europa che già
noi vedremo con dei profondissimi cambiamenti e che per i nostri figli sarà
una nuovissima realtà. Non possiamo dimenticare che, senza un pontificato
innovatore, che appare già adesso come un pontificato tra i più
importanti della storia della Chiesa, senza lo stimolo, la tenacia, la forza
di un Papa come Giovanni Paolo II, questo obbiettivo non sarebbe stato mai
raggiunto. I nuovi 10 paesi che entrano nell'Europa si chiamano Polonia,
Ungheria, Repubblica Ceca, Slovacchia, Slovenia, Lituania, Lettonia, Estonia,
lasciando da parte Malta e Cipro che si aggiungono e che, con essi, fanno
10. Sono i paesi che pochi anni fa noi abbiamo visti protagonisti della storia
dell'impero sovietico, protagonisti di rivolte, di oppressioni e, oggi, questi
paesi sono con noi da poche settimane, scambiando la stessa moneta, facendo
la stessa politica e ambendo allo stesso futuro. Sono 75 milioni di abitanti,
che si aggiungono ai 15 paesi che hanno costruito, più lentamente agli
inizi e ,poi, sempre più velocemente, il percorso della nuova Europa.
Si tratta di un serbatoio di dinamismo prezioso, per un'Europa che continua
ad andare a traino dei grandi poli dello sviluppo globale. Può rappresentare
una provvidenziale iniezione di energie e di giovinezza alla Vecchia Europa,
all'Europa stanca che, in questo momento, non riesce ad accelerare il passo
della modernizzazione del proprio modello di società e di sviluppo.
Bisogna però tenere conto, e non dimenticarlo mai, che il reddito pro-capite
di questi nuovi soci, di questi 10 paesi, di questi 75 milioni di abitanti
è un terzo del reddito medio di noi altri. Quindi i salari sono destinati
a salire, man mano che l'integrazione tra le due aree aumenterà, anche
per il rispetto di comuni standard socio ambientali. La Vecchia Europa è
servita come modello di riappacificazione tra paesi che storia e cultura avevano
diviso lungo secoli di storia. La Nuova Europa “strategica” potrà
servire come modello multinazionale su scala mondiale, finalizzato alla ricostituzione
di nazioni minacciate dall' arretratezza economica, dalla corruzione delle
classi dirigenti, dall'anarchia costituzionale, dai conflitti tra etnie, dagli
integralismi religiosi e dal terrorismo. Restano comunque, sul tappeto, molti
problemi. Due in particolare. Vorrei indicare: il primo, politico- istituzionale,
il secondo, normo-legislativo. Il primo politico – istituzionale: mi
riferisco al varo di una Costituzione efficace e credibile, che eviti la paralisi
degli organismi comunitari. Se già era difficile in 15, come potremmo
in 25? Il Presidente Berlusconi, nel dicembre scorso, nonostante avesse conseguito
il risultato di una convergenza quasi totale (sembravamo vicinissimi sulla
bozza di Costituzione, preparata dalla Convenzione), ha evitato un accordo
a ribasso sui sistemi di voto, che avrebbero creato un'Europa a due velocità,
con un atto di grande responsabilità. Ma che dobbiamo far sì
che non si trasformi in uno stop troppo lungo il varo della nuova Costituzione
europea. Né va dimenticato che, sulla piena integrazione costituzionale
e monetaria, nonostante le ratifiche parlamentari, peseranno ancora i referendum
popolari, a partire da quello annunciato recentissimamente da Blair per la
Gran Bretagna.
Il secondo, il normo-legislativo, mi riferisco ai paesi aderenti nuovi, che
hanno fatto un grande sforzo di adeguamento pro adesione. Necessita di tempo,
molto tempo credo, per digerire l'immenso corpo legislativo. Pensate che nel
nostro corpo legislativo comunitario europeo, che regola il mercato degli
scambi e i rapporti, ci sono 80 mila pagine di norme e di standard da rispettare.
Come si può pensare di costruire un'Europa, se non si riesce ad agire
nei tempi più celeri. Ecco, l'Unione Europea deve vincere molte sfide,
ma queste due, che vi ho voluto per semplicità elencare, le ritengo
fondamentali perché si possa riuscire a sviluppare un forte e rapido
progresso. La nuova Europa deve guardare al Sud. La nostra Europa è
sembrata per troppo tempo un'Europa del Nord. I nuovi ingressi di Cipro, di
Malta, dei paesi della ex Jugoslavia che si affacciano sul versante dell'Adriatico,
ci porteranno e ci aiuteranno a far sì che questa Europa sia un po'
più bilanciata e, quindi, possa avere una nuova attenzione nei confronti
del Sud, per rientrare in un ruolo fondamentale di rapporto con il mare nostrum,
con il Mediterraneo che è la culla della civiltà europea.
Senza contare che si devono aprire nuovi orizzonti verso il Medio Oriente,
verso il Nord Africa, la Turchia in primis, nel lungo periodo il Marocco,
che ha già avanzato una sua candidatura, e da ultimo Israele. Senza
rinunciare a proseguire ancora il cammino verso Est, dove scalpitano per entrare
la Romania e la Bulgaria, pronte per entrare nel 2006, e poi la Croazia che
potrebbe raggiungere gli standard richiesti nel 2008, senza dimenticare poi
la Macedonia ed altri paesi balcanici come l'Albania, la Serbia e la Bosnia.
Secondo l'intuizione del Presidente Berlusconi, che io condivido pienamente,
per parlare al mondo mussulmano, l'Europa ha bisogno della Turchia. Per passare
in Medio Oriente, l'Europa ha bisogno di legare a se Israele. L'Europa ha
bisogno di legare a se la rappresentanza palestinese, ne ha il bisogno e ne
ha il dovere, visto che la storia d'Europa è direttamente responsabile
di quel che accade in Israele e in Palestina. Non dimentichiamolo. Con questi
paesi, l'Unione dovrà trovare il modo di allearsi con i tempi, con
le modalità per riuscire ad ottenere un obbiettivo d'integrazione.
E’ un progetto grandioso, ambizioso, nel quale l'Italia, come porta
sul Mediterraneo, deve giocare e sta giocando un ruolo da protagonista.
Sono in molti ad aver paura di queste nuove dimensioni, di questi nuovi compiti,
o della nuova cultura politica, delle nuove regole istituzionali, dei nuovi
mezzi finanziari che occorrerà dare a se stessi, per essere all'altezza
dei compiti mutati: per questo ci si concentra spesso sui vantaggi e svantaggi
economici dell'allargamento, ancora presi da quella miopia iniziale di alcuni
Stati (ricordiamo la Francia degli anni ' 70 e poi da ultimo l'Inghilterra),
secondo quella miopia che aveva ritardato moltissimo l'intuizione di De Gasperi,
di Adenauer, di Schuman: l'Europa, che poteva essere l'elemento di pacificazione
del Vecchio Continente e, quindi, del ruolo fondamentale dell'Europa nella
pacificazione del mondo. Bisogna raccogliere l'invito del Papa a non rinunciare,
aldilà dell'inserimento letterale in Costituzione, in questo crogiuolo
complesso e diversificato, alle proprie radici culturali che sono radici cristiane,
che sono radici laiche, che hanno entrambe al centro la dignità, secondo
la nostra cultura, della persona umana, il suo primato e la cultura della
libertà dell'uomo, della libertà dell'individuo. Solo così
l'Unione Europea diventerà un potente fattore di equilibrio mondiale,
di pacificazione, a partire dall'Iraq e dal Medio Oriente. Non sottovaluto
che la spaccatura dell'Europa su questo nodo cruciale è stata causata
da un ritardo di analisi culturale sul fenomeno del terrorismo. Anche qui
dobbiamo riflettere, a partire proprio dalla Francia e dalla Germania. Un'Europa
neutrale sul tema del terrorismo è un'Europa destinata alla sconfitta
e alla lacerazione, non può esistere neutralità tra Stati Uniti
e terrorismo, che ci ricorda tempi antichi, ma poi non tanto, di neutralità
tra lo Stato e le Brigate Rosse. Altrimenti l'Europa sarà costretta
ad affrontare il problema del terrorismo da sola, in condizioni drammatiche,
dopo un eventuale arretramento degli Stati Uniti.
Il nostro Governo ha svolto e svolge, a costo di grandi sacrifici, un ruolo
di pacificazione in tutto il mondo e in Iraq, anche per l'impegno dei nostri
militari e delle nostre associazioni umanitarie, a partire dalla nostra Croce
Rossa che, non dimentichiamo, è l'unica Croce Rossa presente sul campo
di battaglia in Iraq, con il sacrificio di vite umane, con la vita di ostaggi
inermi, ancora oggi, con profonda tristezza, nelle mani dei terroristi. Noi
siamo andati in Iraq per aiutare quel popolo, noi siamo andati in Iraq per
alleviare le sofferenza di quel popolo. Questo noi dobbiamo sempre ricordare
e ribadire.
Nonostante i nostri caduti, i nostri ostaggi di questi giorni, non credo possibile
un ritiro, nel nome di un pacifismo ideologico antiamericano che sconfesserebbe
50 anni e più di storia della nostra politica estera. La nostra volontà
politica, che chiaramente è stata espressa, e che nei prossimi giorni,
in occasione della visita di Berlusconi a Washington, sarà ribadita
nell'incontro con Bush, è che l'ONU possa dare il via ad un contingente
multinazionale. Anche qui è strategico l'ONU, che uscendo dalla sua
posizione di assoluta lontananza da questo conflitto, dovrà partecipare
in forze per garantire la transizione, la pacificazione e la possibile e auspicata
democratizzazione di un'area strategica per l'intera pace nel mondo.
Cari amici di Sorrento, Signori e Signore, ancora qui presenti,
il nostro Paese è impegnato in Iraq con un contingente
militare che ha l'esclusivo compito di portare avanti una missione di pace
e di assistenza a popolazioni sofferenti. Tutti lavoriamo e ci auguriamo,
a partire certamente dal Governo, che dal 30 di giugno il ruolo delle Nazioni
Unite sia centrale nella ricostruzione di quel martoriato paese e che gli
iracheni possano prendere direttamente nelle loro mani, con un loro governo
legittimo, le chiavi del proprio destino. Tutti siamo rimasti sconcertanti
e inorriditi dai soprusi commessi da alcuni militari della coalizione nei
confronti di prigionieri iracheni. Sappiamo bene che la democrazia non è
un regime perfetto, ma il migliore dei regimi possibili, che ha come fondamento
il rispetto della dignità e della libertà della persona umana.
Ma una democrazia, anche in una guerra drammatica, non può consentirsi
mai, e ripeto mai, di violare quella libertà e quella dignità,
che fanno parte dell'essenza stessa dell'uomo, né può consentirsi
di violare la Convenzione di Ginevra sui prigionieri di guerra. Il nostro
Governo chiederà a quello americano e a quello inglese di riparare
con fermezza a questi errori, con una condanna esemplare dei responsabili
di questi soprusi e di quelle torture, ma, ripetiamolo e ricordiamocelo, la
democrazia è anche l'unico regime capace di denunciare i propri errori
e di correggerli. Nonostante questi errori e questi orrori, non possiamo correre
il pericolo di mettere in dubbio e di pregiudicare la storica alleanza tra
Europa e Stati Uniti, tra popoli europei e il popolo americano.
Le divaricazioni che si sono prodotte in questi ultimi anni anche in politica
estera, potrebbero portare ad un divorzio pericoloso, foriero di un'incapacità
dei due mondi di salvaguardare i valori occidentali, cioè i nostri
valori, rischiando di soccombere ai radicalismi ideologici e politici. Le
Amministrazioni, i Governi passano ma i popoli restano. Soltanto rinsaldando,
a condizioni di parità, l'alleanza tra l'Europa e gli Stati Uniti,
tra la nuova Europa in espansione e l'unica superpotenza rimasta, ne potrà
scaturire un ruolo di equilibrio nel mondo. Non possiamo dimenticare, non
vogliamo dimenticare, che è stata la grande democrazia americana a
liberarci dall'incubo nazista e dall'assedio comunista, regni dell'orrore,
partoriti anch'essi dall'Europa, che hanno oppresso ed eliminato milioni di
persone indifese. Qualcuno forse si illude che, con un'America isolata e sconfitta,
con un'Europa rinchiusa nel proprio benessere economico, civile, si possa
affrontare un futuro più pacifico nel mondo? Ci troveremmo di fronte
a prospettive oscure per l'Occidente, perché l'inizio del ventunesimo
secolo sarebbe segnato dal terrorismo islamico, fenomeno ideologico e religioso.
La guerra santa, che ha precisi obbiettivi geopolitici in Medio Oriente, mira
all'egemonia teocratica sul resto del Mondo. Se in passato l'Europa e l'America
hanno unito le loro forze per contrastare due ideologie drammaticamente totalitarie,
come il nazismo e il comunismo, su questa stessa alleanza, ripeto su basi
paritarie fra Europa e Stati Uniti, poggia oggi la speranza di sconfiggere
i nemici interni ed esterni della libertà e della democrazia.
Nessuno si illuda, cari amici di Sorrento, che il terrorismo suicida rappresenti,
ahimè, un fenomeno episodico e passeggero. La sua origine, la sua
natura e le sue non più mascherate aspettative di dominio, ne svelano
ogni giorno di più l'intensità, l'irriducibilità, la
persistenza. L'impegno del Governo Berlusconi è di continuare un dialogo
fruttuoso con l'Islam moderato, il vero Islam, e con i paesi arabi tradizionalmente
legati all'Europa e all'Occidente. L'auspicio è che, avviato a soluzione
il passaggio dei poteri in Iraq, la nuova Europa, di cui tratta il bel libro
di Lauro, possa convergere con gli Stati Uniti d'America su un programma comune
di natura ideale, politica e militare, capace di rivolgersi al mondo arabo
con spirito di collaborazione senza manifestare però debolezze che
potrebbero portare invece, se sottovalutate, alla dissoluzione dell'Occidente.
Senza questa convergenza, non ci sarebbe futuro per la nuova Europa, né
per la democrazia, né per la libertà. Il Governo della Repubblica,
l'Italia e gli italiani lavorano, ne sono sicuro, per questa prospettiva.
Grazie.
Prof. Salvatore FERRARO
Non occorre aggiungere parole, Signor Ministro, a quello che
Lei ha detto. Mi sono pervenute alla mente certe parole che noi, vecchi insegnanti
al Liceo classico, dicevamo agli alunni per sintetizzare la cultura greca.
Nelle sue parole ferme, decise, convinte, meditate, io ho riletto queste tre
parole, che Le ricordo: la “metriotes”-la misura; l'autarchia
- il dominio di sè e la “parresia” - la franchezza, la
libertà di esprimere le proprie opinioni. Grazie, Signor Ministro!.
Ringraziamo i presenti e li invitiamo a leggere, se non tre volte, almeno
una volta il libro di Lauro.
LUGANO (Splendide Royal, 6 giugno 2004):
Intervento del Presidente Marco SOLARI
Quel 20 settembre 1946 la settimanale seduta del Consiglio Federale
Svizzero era pervasa da uno straordinario spirito di solidarietà tra
i ministri dei vari partiti. Il giorno prima il Governo aveva ricevuto il
grande vincitore morale della seconda guerra mondiale, Winston Churchill,
che, dopo un bagno di folla sul Münsterplatz di Zurigo, aveva, in un
discorso di straordinaria efficacia all’Università della città
tigurina, spronato i cittadini europei ad unirsi. “Let’s Europe
arise”. “Lasciate che l’Europa sorga!” Il Governo
svizzero, sotto la spinta del giovane e brillante consigliere federale neocastellano
Max Petitpierre, aveva colto la palla al balzo.
L’Europa in ginocchio guardava del resto alla Svizzera risparmiata dagli
orrori della guerra per “provvidenza divina e umana abilità”
con profonda speranza.
Il Consiglio Federale, conscio della responsabilità storica della Svizzera
e dell’eccezionale opportunità che si presentava all’Europa
di superare, una volta per tutte, le aberranti rivalità nazionalistiche,
all'origine di tanta sopraffazione e distruzione, diede ordine ai suoi diplomatici
di sondare l’opinione degli statisti europei, in vista di un’iniziativa
concreta.
La proposta svizzera non solo non incontrava resistenza alcuna, ma fu accolta
con entusiasmo dai grandi uomini politici ed intellettuali del momento. Jean
Monnet, per cui fare l’Europa era semplicemente garantire la pace. Alcide
De Gaspari, lo statista trentino, fervente difensore della libertà
individuale e dei valori democratici, atlantista convinto. Konrad Adenauer,
già, quale borgomastro di Colonia, tra i più fieri antifascisti,
più volte arrestato dalla Gestapo, internato nei lager e che riprese
le redini di un Paese che la follia hitleriana e l’incomprensibile attitudine
di condiscendenza di gran parte del popolo tedesco aveva ridotto, anche moralmente,
in cenere. Il governo elvetico coinvolse persino il belga Paul Henri Spaak,
difensore di un Europa centralista sovranazionale, così lontana dagli
ideali della cultura politica svizzera.
Il ministro degli esteri francese, Robert Schumann, suggerì alla Confederazione
(eravamo agli inizi degli anni 50) di procedere passo per passo e di iniziare
la costruzione europea pragmaticamente, suggerimento che gli Svizzeri, avevano
fatto subito loro e che fu realizzato qualche anno dopo, nel 1951, quando
Francia, Italia, Germania, Belgio, Olanda, Lussemburgo e la Confederazione
Svizzera, fondarono la Comunità Europea per il Carbone e per l’Acciaio.
Dopo questo successo, l’infaticabile governo svizzero portò avanti
la politica di riavvicinamento europeo tramite l’abbattimento dei dazi
e delle dogane e già qualche anno più tardi nel 1957 con il
Trattato di Ginevra, sorse un vero e proprio mercato economico europeo.
Naturalmente il Consiglio Federale aveva dovuto superare qualche difficoltà
interna. La società svizzera è una società assai armoniosa
fondata su istituzioni democratiche che assicurano un’intensa partecipazione
dei cittadini alla vita politica del Paese. La ragione d’essere della
Confederazione era stata per secoli il mantenimento delle libertà individuali
e dell’autonomia delle molteplici comunità, che compongono la
Svizzera. Lo strumento politico per garantire queste libertà era organizzare
la Confederazione in forma federalista, rispettare cioè l’autonomia
del vicino era (ed è tuttora!) la miglior garanzia per salvaguardare
la propria autonomia. Periodicamente i cittadini svizzeri si trovavano dinnanzi
al dilemma di dovere sacrificare sovranità per garantire la sopravvivenza
della loro sovranità. Nel 1848 fu solo dopo una guerra civile che si
riuscì a formare uno Stato che avrebbe garantito il mantenimento dei
valori e della cultura politica svizzera durante quasi due secoli. La situazione,
dopo la seconda guerra mondiale, non era dissimile dal 1848. C’erano,
ci sono, come allora, cittadini e partiti che guardano con profonda diffidenza
e aperta ostilità all’Europa e a qualsiasi politica estera proeuropea,
convinti che questa politica significhi a breve termine la fine per la democrazia
diretta, la fine del federalismo vecchio di sette secoli e, in generale, la
fine della sovranità nazionale. Il ruolo della Confederazione Svizzera
nella riunificazione dell’Europa (continuando e terminando questo gioco
intellettuale, lievemente fantapolitico) ci aveva garantito, dunque, grande
prestigio ed autorità in Europa ed aveva evitato al paese un’indegna,
umiliante satellizzazione, nell’ipotesi assurda che il continente si
fosse riunito senza la Svizzera. Inimmaginabile, poi, dover andare a mendicare
l’accettazione di cosiddetti trattati bilaterali tra la Confederazione
e l’Europa a dei Parlamenti a Vilnius, a La Valletta o a Lussemburgo,
poco interessati e poco intenzionati a concedere alla Svizzera eccezioni dell'acquis
communeitaire, che a loro stessi venivano negate o esporsi da parte Svizzera
a facili critiche di ministri dell’economia o delle finanze sospettosi
in merito a ciò che ancora avrebbe potuto restare del segreto bancario.
oooooo
Sapete tutti che la storia europea è andata diversamente
e che, dal dopoguerra ad oggi, la Svizzera si è chiusa sempre più.
Continuo a pensare che non è troppo tardi e che la Confederazione farebbe
bene ad aderire al più presto all’Unione europea. Nessuno minaccia
la democrazia svizzera nella sua essenza anche se certe forme di democrazia
diretta andranno ripensate. Nessuno, però, ci vieterà di votare
referendum e iniziative e di eleggere i nostri rappresentanti, di tenere le
nostre pittoresche e democraticissime “Landsgemeinden”, di organizzarci
nella nostra vita quotidiana in forma consociativa come siamo abituati a fare
sin dal lontano 1291, di celebrare i nostri miti profondamente legati alla
montagna e di ricordare una lunga storia indubbiamente eroica e coraggiosa.
Constato semplicemente, per dirla con le parole del Presidente italiano Carlo
Azeglio Ciampi, che l’ Europa nella sua concezione più ampia,
si sta affermando come concetto culturale e storico, con forte carica di spiritualità
e di idealità, ma senza di noi. Come non ricordare allora la vecchia
saggezza cinese che dice: “Quando si alza il vento, c’è
chi erige muri e, chi invece, costruisce mulini”.
Questa Europa forte e unita cambierà la storia del mondo. Costruisce
mulini. Non passeranno molti anni che proporrà un’associazione
privilegiata o addirittura l'adesione alla Turchia che sarà sempre
più ponte con il mondo islamico (l’alternativa del resto sarebbe
buttare la Turchia, il cui rinnovamento si riferisce da sempre all’Europa
nella braccia dei fondamentalisti islamici). Sarà ancora l’Unione
Europea ad integrare, in una forma o nell'altra, l’area del Mediterraneo,
a disinnescare in questo modo la bomba della disoccupazione giovanile di massa
dei paesi arabi mediterranei, a rompere l’accerchiamento di Israele
e risolvere così definitivamente il problema che avvelena ed infiamma
il mondo intero.
Sono convinto che anche oggi la piccola Svizzera riuscirebbe a dare tanto
all'Europa. In campo istituzionale grazie alla nostra cultura politica di
equilibri e di rispetto delle minoranze; in campo economico grazie all’idea
dell’eccellenza che caratterizza i nostri prodotti; in campo sociale
grazie al senso di solidarietà e di protezione dei deboli, alla base
anche della tradizione umanitaria della Svizzera e, in campo ecologico, perchè
rafforzerebbe la voce dei paesi di montagna rispetto alle nazioni di mare
e di pianura.
Oggi tutto quello che la Svizzera fa, lo fa sovente in forma isolata, oppure
perché obbligata ad allinearsi alla legislatura europea. Siamo soli
e sempre più soli. La solitudine porta all’amarezza e alla chiusura
e non è ciò che auspico per il mio Paese.
oooooo
Raffaele Lauro, nel compendio di articoli che ha pubblicato
sul Radio Corriere TV, nell’arco di un lustro, ha descritto il divenire
europeo. Ha approfondito le speranze, gli slanci, ma anche le delusioni e
le sconfitte della storia europea del dopoguerra. La sua fede europea ha radici
profonde .
Lauro è figlio della grande scuola meridionalistica. Per intenderci,
quella di Fortunato, di Nitti, di Salvemini, di Francesco Compagna, che accompagna
il pensiero con la razionalità critica. Grandi propugnatori della democrazia
e della scienza anteposte all’intolleranza, all’arbitrio, alle
persecuzioni.
Francesco Compagna mi è anche personalmente vicino per questa sua diffidenza
verso tutte le bandiere, le cause, gli eccessi di fedeltà alle idee
o alle persone che intaccano l’autonomia della responsabilità
individuale.
Lauro, cattolico liberale, è discepolo di Benedetto Croce, padre della
religione della libertà, filosofo ammirato, ma anche uomo europeo,
basti ricordare la sua profonda amicizia con Thomas Mann .
Dopo averlo introdotto a Roma, Raffaele Lauro ha deciso di presentare oggi
il suo libro a Lugano così come ha fatto per i volumi familiari. Ma
erano, questi suoi libri, solo in apparenza cronaca familiare. Molteplici
erano invece i riferimenti storici, politici, religiosi, filosofici, frutto
di profondo spessore intellettuale.
Gli siamo grati per l’odierna serata. Certo ci sono le relazioni affettive
e logistiche con il fratello Aniello che ha trasformato, nei decenni della
sua conduzione, l’Hotel Splendide in un vero luogo di incontro artistico,
intellettuale oltre che politico ed economico tra nord e sud, e la presentazione
è legata senza dubbio alcuno ad un affetto di Raffaele per questo nostro
Paese, così vicino e così lontano dall’Italia, così
vicino e così lontano dell’Europa.
Abbiamo bisogno che grandi personalità europee continuino a mantenere
vivi i rapporti istituzionali e personali con la Svizzera. Abbiamo bisogno
della loro attenzione, della loro amicizia. Solo così il nostro Paese
riuscirà a superare i timori, le ansie che lo condannano, a subire
con vergognosa passività ciò che gli altri, oggi ancora senza
di noi, creano e costruiscono con perseveranza, con passione ed entusiasmo:
il nuovo ordine europeo e mondiale delle cose e della gente.
L'interesse di una platea, così vasta e qualificata, per il libro del
professor Lauro è indice di speranza che l'adesione del nostro paese
al grande progetto europeo non sia più solo un sogno "anzi d'un
sogno l'ombra", bensì una concreta e possibilmente prossima realtà.
Intervento dell’Avv. Michele ROSSI
Gentili Signore, Egregi Signori,
spesso parlare di Europa agli Svizzeri è un po’ come parlare
del Lupo cattivo ai bambini. Si genera una certa diffidenza, insicurezza,
paura dell’ignoto. Almeno questa è l’impressione che ho
ricavato in occasione dei miei interventi, soprattutto nell’ambito dell’informazione
sugli accordi bilaterali che la Svizzera ha concluso con Bruxelles. Nel caso
dei bambini la paura del Lupo cattivo scompare man mano che si prende coscienza
della reale natura del lupo. Nel caso degli Svizzeri credo dunque che ci sia
bisogno di parlare di Europa. Ma parlare di Europa non solo in relazione all’attualità,
agli accordi bilaterali, al progetto di costituzione europea,…. Parlare
di Europa invece in relazione alla storia del processo di integrazione europea
per comprenderne le ragioni ed individuarne gli obiettivi. E’ necessario
scollarsi dall’attualità per avere quel distacco necessario che
ci permetta di individuare il movimento, il tracciato dell’avventura
europea.
E questo libro parla di Europa alternando testi esplicativi (euro, le istituzioni,
il progetto di costituzione) e testi di ampio respiro in cui viene evidenziato
lo scopo ultimo dell’UE: la pace e la sicurezza in Europa. Dandoci questa
prospettiva storica ci mette nella possibilità di staccarci dall’attualità
e di scorgere il movimento…
Ed è proprio sul concetto di movimento che intendo sviluppare il mio
breve intervento odierno. Lo spunto me lo dà il titolo VERSO LA NUOVA
EUROPA.
In questo titolo ci sono due parole che indicano movimento: verso (indica
una tendenza), e nuova (indica il passaggio da una fase anteriore ad una posteriore).
L’integrazione europea è iniziata circa 50 anni fa e da allora
non ha cessato di rinnovarsi, di trasformarsi, di estendersi, di approfondirsi.
L’Europa non è una fotografia statica, l’Europa è
un film, in continuo sviluppo.
Ma, e questo è importante capirlo per noi Svizzeri, anche la Svizzera
è un processo, una struttura in movimento. A guardare attentamente
il percorso elvetico non differisce poi così tanto da quello europeo.
I tratti comuni sono moltissimi….
LA SVIZZERA
La Svizzera nasce il 1 agosto 1291 quando 3 comunità alpine, per difendere
al meglio i loro interessi, sottoscrivono un’alleanza perpetua. Si tratta
di un’alleanza che non tange la sovranità delle singole comunità,
ma che obbliga unicamente all’assistenza in caso di attacco e di coordinare
la politica estera. Alle prime tre comunità ne seguirono altre. Si
giunge al 1353 con la Confederazione degli 8 cantoni (Uri, Svitto, Untervaldo,
Zurigo, Lucerna, Glarona, Zugo e Berna). Segue una seconda fase di allargamento.
Nel 1513 i Cantoni sono 13 (Friborgo, Soletta, Basilea, Sciaffusa e Appenzello).
Nonostante queste fasi di allargamento manca un patto multilaterale alla base
di tutti i rapporti tra i cantoni. Esistono invece singole alleanze, ognuna
diversa dall’altra, con ogni cantone. I cantoni continuano inoltre ad
essere parte dell’impero. La loro autonomia di fatto viene riconosciuta
solo nel 1499 con la Pace di Basilea e la loro indipendenza giuridica nel
1648 con la pace di Westfalia.
L’evoluzione della Confederazione prosegue e giungiamo al 1798 con la
Repubblica Elvetica. Sul modello francese in Svizzera viene introdotta una
costituzione unitaria. Termina la Confederazione dei 13 cantoni e nasce una
repubblica che rompe con le tradizioni svizzere fondate sull’autonomia
locale. Gli Svizzeri non si abituano a questa nuova struttura, e nel 1803
Napoleone Bonaparte interviene per mettere fine a 5 anni di disordini con
l’atto di mediazione. Gli antichi baliaggi diventano cantoni (Ticino)
i quali continuano però ad essere Stati sovrani (moneta, esercito,
dogane). Un nuovo patto federale viene concluso nel 1815, con il quale ha
inizio la cosiddetta restaurazione dei principi conservatori che però
si scontrano con le idee liberali. Si giunge quindi alla guerra civile del
Sonderbund che sfocia nella vittoria dei cantoni liberali. Viene adottata
la costituzione del 1848. Si tratta (a parte la breve parentesi dell’Elvetica)
della prima volta in cui la Confederazione assume il carattere di Stato. E’
la prima volta che i Cantoni cedono parte delle loro prerogative ad un potere
centrale. Utilizzando la terminologia comunitaria è il primo passo
verso la sovranazionalità o, parlando della Svizzera, sovracantonalità.
Nel 1848 vengono abolite le barriere doganali tra i cantoni, viene introdotta
la libera circolazione delle persone in Svizzera, viene creata una moneta
unica.
Attualmente in Svizzera stiamo vivendo un piccolo dramma nazionale a causa
dell’accordo bilaterale concluso con l’UE sulla libera circolazione
delle persone. Accordo che proprio una settimana fa è entrato nella
sua seconda fase che prevede l’abolizione della priorità accordata
agli Svizzeri sul mercato del lavoro. Ebbene, noi non dobbiamo dimenticare
che pure la libera circolazione delle persone tra i cantoni, principio che
oggi nessuno osa più mettere in dubbio, è una conquista recente.
Ne è testimone Victor Hugo durante un viaggio in Svizzera nel 1839:
„...in fondo a una valle che s‘intravedeva confusamente, è
sorta all‘improvviso una città, un‘apparizione, un quadro
abbacinante. Era Berna e la sua valle...Via via che scendevo, i bei contorni
della città si sono scomposti e ricomposti più volte, e la visione
si è per metà dissipata. Poi la mia carretta ha attraversato
un ponte e si è femata sotto una porta ogivale; un vecchio buonuomo,
affiancato da due soldati in uniforme verde, è venuto a chiedermi il
passaporto...“ La Svizzera è quindi una struttura in movimento.
Dal 1291 al 1848, 550 anni per creare uno stato, un mercato unico, un’unione
monetaria, la sovracantonalità, la libera circolazione delle persone.
550 anni per allargarsi da 3 a 26 cantoni.
L’EUROPA
Che l’Europa sia in movimento, ripeto, lo dice il titolo
medesimo del libro di Raffaele Lauro.
E ce lo spiega in modo chiarissimo alle pagine 106-108 del suo libro.
Il processo di integrazione costituzionale, tuttora in atto, prese l'avvio,
nel 1951, quando i governi di Francia, Italia, Germania, Belgio, Olanda e
Lussemburgo crearono la Comunità europea per il carbone e per l'acciaio
(CECA), passando successivamente per l'istituzione della Comunità economica
europea (CEE) e della Comunità per l'energia atomica (EURATOM), fino
all'attuale Unione europea (UÈ), che ha riassorbito le tre comunità
precedenti e le ha potenziate. Negli anni Cinquanta prevalse, rispetto ai
più radicali sostenitori di una immediata unificazione politica del
vecchio continente, uscito lacerato da due conflitti sanguinosi, la tesi dei
teorici del funzionalismo, secondo i quali la costruzione dell'Unione doveva
avvenire per gradi, in progress, per tappe, partendo dagli strumenti di inte¬grazione
economica per arrivare poi ad una completa unificazione politica. L'intento
era chiaro fin dall'ini¬zio: fondare, con l'instaurazione di una comunità
economica, le prime assise di una comunità più vasta e più
profonda tra popoli per lungo tempo avversi per divisioni sanguinose.
I costituzionalisti individuano tre caratteri di questa evoluzione:
1) il progressivo allargamento della base sociale del¬l'ordinamento europeo
(dai sei Stati delle origini ai successivi ingressi: nel 1973, la Danimarca,
l'Eire ed il Regno Unito; nel 1981, la Grecia; nel 1986, la Spagna ed il Portogallo;
nel 1995, l'Austria, la Finlandia e la Svezia; nel 2004, Cipro, Estonia, Lettonia,
Lituania, Malta, Polonia, Repubblica Ceca, Slovacchia, Slovenia ed Ungheria;
nel 2007, probabi¬le ingresso di Romania e Bulgaria);
2) il progressivo allargamento delle funzioni (le competenze di attribuzione
originarie; le politiche comuni della CEE; l'ampliamento previsto, nel 1986,
con l'Atto unico europeo; la nascita dell'Unione europea, nel 1992, con il
Trattato di Maastricht);
3) la progressiva complessità del sistema istituzionale, che riassume
tutte le comunità precedenti e si espande, con una soluzione di delicata
ingegneria istituzionale (accanto ai primi pilastri se ne sono aggiunti due
nuovi: la politica estera e della sicurezza; la cooperazione in materia di
giustizia e di affari interni).
Esiste pertanto un primo tratto comune tra la Svizzera e l’Unione europea.
Sono entrambe strutture in movimento, che hanno avuto uno sviluppo costante
e continuo, alternato da successi e insuccessi, ma che non si sono mai fermate.
Dobbiamo quindi diffidare da chi tenta di proporci visioni storiche immobilistiche
idealizzate ed ancorate al passato. Non possiamo ignorare il movimento di
cui siamo parte, come Svizzeri e come Europei.
Dicevo all’inizio del mio intervento che noi Svizzeri, per valutare
appieno il significato del processo di integrazione europea, dobbiamo riuscire
a staccarci dall’attualità per individuare il valore e gli obiettivi
ultimi di questo movimento. Il libro di Raffaele Lauro ci aiuta in quest’impresa:
“Il tessuto della vecchia Europa, fatto di popoli e di lingue diverse,
tuttavia riconducibili alla duplice matrice cristiana e laica, lacerato ed
insanguinato dalle dittature nazi-fasciste e dall’inganno stalinista,
aspira a ricomporsi nella connessione della nuova Europa, in una prospettiva
di equilibrio e di stabilità per il mondo, sulla base dei valori comuni
condivisi di pace, di solidarietà e di giustizia.”
L’obiettivo dei padri fondatori dell’Europa è quindi la
pace e la stabilità sul continente. In un’Europa lacerata da
due conflitti mondiali l’idea di Comunità europea prima e di
Unione europea poi sono riuscite a portare un periodo di pace mai conosciuto
dal nostro continente. Periodo di pace che ha permesso di creare un benessere
economico nuovo e consolidato di cui ha potuto beneficiare anche la Svizzera.
Questo è il contesto che non dobbiamo, noi Svizzeri, mai dimenticare
quando affrontiamo il tema dell’Europa. Se perdiamo di vista questo
aspetto rischiamo di ridurre il tema “Europa” ad una sterile discussione
tecnica, dimenticando il suo grande valore politico.
Cito dal libro
”In che cosa consiste dunque l’unità dell’Europa?….A
mio parere l’unione nella varietà, la varietà delle forze
nazionali e storiche..”
Lo stesso si può dire della Svizzera.
Cito dal libro
”Le radici culturali di questo popolo europeo sono rintracciabili
nella sua articolata e densa storia millenaria: dalla filosofia greca al diritto
dell’antica Roma; dal cristianesimo delle origini al cattolicesimo romano;
dall’illuminismo alle conquiste della rivoluzione francese; dalla Magna
charta libertatum alla tradizione anglosassone; dal pensiero giuridico tedesco
alla musica; dall’affermazione dei principi di tolleranza, di libertà
religiosa, di coscienza, di associazione, di libera partecipazione alla vita
politica, di tutela delle minoranze allo Stato di diritto. Quest’insieme
irripetibile di valori, di ideali, di principi di conquiste e di prospettive
rappresenta il tessuto connettivo, il sostrato autentico, e non rinnegabile,
del popolo europeo.”
Sono i medesimi valori su cui poggia la Svizzera.
Visto da vicino il lupo non spaventa più i bambini. Faceva paura quando
era lontano, demonizzato. Studiato, osservato, capito, il lupo assume la sua
reale dimensione. Il timore irrazionale svanisce, lasciando il posto ad una
comprensibile e pragmatica prudenza.
L’Europa va quindi innanzitutto conosciuta dagli Svizzeri, per quella
che è, per quella che è stata e per quella che sarà.
E’ necessario tener sempre ben presente i nobili obiettivi politici
di questa avventura che ha saputo portare pace e stabilità duratura
sul continente europeo. Stacchiamoci per un momento dall’attualità
e dalle sue speculazioni immediate per intravedere il movimento, la tendenza,
i miglioramenti che ha saputo portare.
Svizzera ed Europa in conclusione sono entrambe strutture in movimento, che,
in tempi e date distinte, sono partite da una collaborazione limitata tra
alcune entità (stati o cantoni) per crescere costantemente verso un
mercato unico, un’unione monetaria e poi verso l’unione politica,
già realizzata in Svizzera, in divenire in Europa. Entrambe poggiano
la loro crescita su valori comuni, condivisi, quelli di un continuo movimento,
anche intellettuale che spinge ad un continuo superamento, ad una continua
ricerca, lontano da verità ritenute assolute. Si cerca non perché
un fine ponga termine al cercare, ma perché nella ricerca cresca l’amore
di ciò che viene cercato. Colui che credesse infatti di essere giunto
a possedere la verità non ne amerebbe più la ricerca. Questa
in fondo è l’anima stessa dell’Europa che ne determina
il movimento di base. Anche in Svizzera.
ROMA (Palazzo Firenze, 8 giugno 2004)
Intervento della Coordinatrice: Lucia CARAVALE
Siamo qui per presentare il libro di Raffaele Lauro “Verso
la Nuova Europa”. I nostri ospiti che faranno gli interventi sono Carlo
Mosca, diciamo alla mia estrema sinistra. Carlo Mosca è Capo di Gabinetto
del Ministro dell’Interno. Poi c’è Daniela Brancati, giornalista;
Vincenzo Scotti, Presidente del Link/Campus University of Malta di Roma; poi
abbiamo Francesco Silvano, Presidente dell’Ospedale Pediatrico “Bambin
Gesù” di Roma e, alla mia sinistra, Massimo Milone, Presidente
dell’Unione Stampa Cattolica Italiana. Il libro, con la prefazione di
Claudio Scajola e la presentazione di Vincenzo Scotti, raccoglie quello che
Raffaele Lauro è andato scrivendo nel corso degli ultimi quattro anni
sul tema Europa. Sono delle riflessioni non storiche a posteriori. Sono delle
riflessioni sullo svolgimento dei fatti.
Egli pone al primo posto il tema dell’Unione europea e la questione
della sua Costituzione: il patto fondante dell’Unione a venticinque
Paesi.
Prima di dare la parola ai nostri ospiti per i loro interventi, prende la
parola Raffaele Lauro per un saluto agli ospiti.
Intervento del Prof. Raffaele LAURO
Desidero, prima che inizi la serie dei relatori, che ringrazierò
successivamente, esprimere la mia gratitudine alle autorevoli personalità
che sono intervenute, anche perché qualche autorevole personalità
avrà necessità di allontanarsi anticipatamente. Devo dire che
considero un vero privilegio, oggi, avervi qui, con me, alla presentazione
di questo libro, che è stato scritto col cuore, da convinto europeista.
Ringrazio, in modo particolare, il Consigliere Antonio Catricalà, Segretario
Generale della Presidenza del Consiglio dei Ministri, che è un uomo
non solo delle Istituzioni, ma un grande studioso. Ringrazio il signor Prefetto
di Roma, l’amico Achille Serra, formulandogli, credo a nome di tutti,
i più vivi complimenti per come brillantemente ha coordinato l’ordine
pubblico in occasione della visita del Presidente Bush. Ringrazio i signori
Prefetti Mario Morcone, Andrea De Martino, Sabato Malinconico, il Generale
Alfiero ora Prefetto della Repubblica, il Prefetto Tavormina, che è
stato, da primo Direttore della DIA, insieme al Vice Gianni De Gennaro,, ora
Capo della Polizia, come ricorderà il Ministro Scotti, colui che ha
interpretato in maniera incandescente la “nuova strada” della
lotta alla criminalità organizzata.
Ringrazio voi tutti, vi rinnovo la mia gratitudine e come sempre puntuali
procediamo.”
Ora prenda la parola Daniela Brancati.
Intervento di Daniela BRANCATI
Bene, dovrei ringraziare Raffaele per avermi dato la parola, ma prima permettetemi di dire che è il terzo libro di Raffaele che sono chiamata a presentare e, per la terza volta, comincio io. Al quarto mi devi promettere che sarò almeno terza. Perché il compito di presentare i libri di Raffaele è sempre un compito non semplice. Non semplice per me che con Raffaele vanto un’amicizia e, quindi, diciamo ci sono analisi che si possono fare in modo spassionato e analisi che si possono fare in modo un po’ meno oggettivo. Allora vorrei cominciare proprio da questa considerazione, ci pensavo oggi venendo qui. Voi ricorderete quella frase del grande Pascal, almeno per me Pascal è un grande, il quale diceva che ci sono ragioni del cuore che la ragione non può comprendere. Allora molte volte nel corso di questi anni io mi sono interrogata se anche la nostra amicizia, Raffaele, non rientri in queste ragioni del cuore. E perché lo dico? Perché, in effetti, due persone apparentemente più diverse di noi è un po’ difficile trovarle. A parte la comune radice partenopea, della quale credo siamo entrambi orgogliosi, Raffaele è quello che si chiama un grande servitore dello Stato. Io rispetto molto lo Stato, ma non riesco a lavorare se non per i privati. Raffaele è cattolico in modo, come dire, organico, strutturale, io sono strutturalmente una laica. E potrei continuare con delle differenze che sono molto evidenti. E poi perché vi racconto tutto questo? Direte ma a noi cosa importa. Beh è perché c’è un motivo, c’è un perché. Quando, poi, vado a leggere i libri di Raffaele - e parlo dei libri perché credo che sia giusto inquadrare anche questo libro, che pure è un libro di grandissima attualità, proprio per il titolo, per il tema che affronta, in questa produzione letteraria di Raffaele che, ha una matrice comune - capisco che non si tratta di ragioni del cuore, si tratta proprio di ragione, si tratta di affinità reali, si tratta di condividere, sia pure da punti di vista tanto diversi, un comune senso dello Stato, delle Istituzioni, della dignità delle persone, un comune senso. Il senso del perché una collettività ha ragione di chiamarsi tale. Ora non voglio essere un po’ esageratamente, come dire, altisonante e poi non mi compete e non è giusto. Però ci sono alcuni tratti che sono secondo me molto importanti e che, come ripeto, vanno al di là del tema, aldilà del singolo argomento che viene trattato. Uno dei tratti, una delle cose che riconosco a Raffaele e nelle quali mi riconosco, scusate la poca modestia, è l’assoluta onestà intellettuale e, quindi, la capacità di dire cose alle volte anche non molto comode, alle volte decisamente scomode. Come testimonia, chiedo scusa, un libro come questo, che per essere una raccolta di articoli, porta la data di quando gli articoli sono stati scritti. E questo è un fatto importante perché quando si sostengono delle posizioni e la data è scritta nero su bianco accanto a queste posizioni, beh, questo è un fatto di onestà e anche di coraggio, di quel coraggio civile il quale io credo sia giusto, oggi come oggi, che tutte le persone che vogliono avere un ruolo riconoscano a se stesse. Quindi questo è il primo dato assolutamente importante. Siccome sono la prima, non voglio approfittare del tempo perché generalmente poi gli ultimi ne risentono, allora voglio soltanto fare un altro paio di citazioni che ritengo interessanti. Qualè il secondo punto, a parte l’onestà intellettuale e il coraggio? Il secondo punto io lo ritrovo in diversi brani del libro, ma particolarmente, in un brano che è a pagina 274 - lo faccio apposta così Raffaele capisce che l’ho letto! Dunque in questo brano che ritengo importante scrive Raffaele: “Quattro sono i nemici in campo da vincere al fine di ridurre a percentuali fisiologiche gli aspetti negativi”. Parla nel caso specifico dell’introduzione dell’autocertificazione, ma vi leggo il brano perché, a parte l’autocertificazione, può andar bene per molti altri aspetti della riforma necessaria dello Stato. E lui dice: “Primo l’ostilità sotterranea, quando non manifesta, del partito della vecchia burocrazia impermeabile a qualunque innovazione nella riorganizzazione amministrativa dello Stato.” E qui si dilunga, spiegando come mai. Il secondo punto è la furbizia italica, e questo è un punto che mi piace sottolineare, il terzo l’ignoranza o la diffidenza dei cittadini verso le grandi opportunità che le riforme offrono e il quarto la poca incisività dei sistemi di controllo sulle amministrazioni pubbliche e sulle dichiarazioni mendaci. Ora vedete, questo è il tipico esempio, a mio parere, di quando si scrive a proposito di un argomento, ma questo argomento, queste argomentazioni anzi, potremmo estenderle a qualunque altro tipo di riforma dello Stato. Perché di problemi ne abbiamo tanti, di soluzioni possiamo cercarne tante, ma se questi quattro punti non verranno risolti indubbiamente qualunque riforma sarà costretta a naufragare. E qui, vedete, c’è un punto generale sul quale richiamo la vostra attenzione: esiste una visione dell’interesse generale, deve esistere una visione dell’interesse generale che riusce a farci superare quella che è una quota di corporativismo della società italiana, corporativismo che ancora permane. Pensate un corporativismo per cui, per capirci, le ferrovie sono dei ferrovieri, l’Alitalia è dei piloti, piuttosto che degli assistenti di volo, la sanità dei medici e dei portantini, il giornale dei giornalisti. Perché nemmeno i giornalisti sono esenti, per carità. Ecco, riuscire a perdere questa quota di corporativismo ed andare verso l’interesse generale, ritengo che sia uno dei principi ispiratori di questo libro ed è uno dei principi ispiratori che assolutamente condivido. L’ultima considerazione riguarda invece il discorso tipicamente europeo. In più punti del libro, Raffaele affronta la domanda “Esiste un popolo europeo?”, che poi vuol dire esiste l’Europa aldilà dell’economia, che pure, per carità, è un fattore fondamentale? Ed affronta anche un discorso per me particolarmente importante e, cioè, “Esiste un’anima europea?” o meglio “Può esistere un’Europa senza un’anima?” Allora io voglio qui ricordare soltanto due cose che mi sembra di aver trovato nel libro di Raffaele. L’Europa è partita da una grande idea, ma è partita, anche, dalla necessità di traghettare una serie di Stati e una serie di economie, che erano basate fortemente sull’idea dell’esistenza e della forza di servizi pubblici in tantissimi settori della vita economica, verso un’economia di mercato, in un senso più aperto, dove la presenza dello Stato fosse meno ingombrante, dove, diciamo, ci fosse una maggiore libertà economica. Via facendo, e questa è la domanda? “È possibile che noi abbiamo conquistato un po’ più di mercato e abbiamo perso un pochino della nostra anima, un pochino di quello che faceva dell’Europa un continente diverso da tutti gli altri, dove alcune parole, come ad esempio solidarietà, non fossero estranee, ma fossero parte di un patrimonio culturale. Ecco queste poche parole che ho detto sono in fondo le ragioni per cui io sento di poter dire che la nostra amicizia si basa su alcune solide basi. Grazie.
Lucia CARAVALE
Grazie a Daniela Brancati per questo suo intervento anche molto affettuoso e amichevole. Ora prende la parola Massimo Milone.
Intervento di Massimo MILONE
Si, grazie. È un onore e un privilegio essere qui con
Raffaele Lauro. È questo un gran bel libro, è un po’ come
un’opera d’arte. Io guardavo questo splendido soffitto, ognuno
ci legge le ragioni del cuore, dell’intelligenza dell’Autore,
così in questo libro. Finissimo saggista, giornalista, intellettuale,
mi piace sottolinearlo, operatore della politica e delle istituzioni, è
stato detto prima e giustamente.
Nel libro Raffaele Lauro, che non è nuovo, ovviamente, a queste esperienze
letterarie, c’è la sintesi di tutto il suo impegno. Parla dell’Europa,
mi piace subito sottolineare la grande attualità di questo libro come
momento che viviamo, momento anche storico, insomma questo nuovo per costruire,
da un lato la Costituzione, dall’altro il nuovo Parlamento Europeo.
Europa perché? Perché si possano ricostruire forse i valori
in cui crediamo e in cui crede Raffaele Lauro. Con questo libro si interroga
e ci interroga fortemente, attinge alle radici, che sono le sue radici, insomma
di fine intellettuale meridionale, anche io sono meridionale, Croce, c’è
Sturzo, poi c’è il De Gasperi, la tensione etica dei primi costituenti,
ma anche l’occhio sempre al futuro.
Mi piace appunto l’attualità sorprendente, ma a chi lo conosce
da decenni, ne segue il percorso personale, culturale, istituzionale al servizio
del Paese, la cosa non sorprende affatto.
Vi lancio alcune questioni. ciascuno in un gran bel libro può attingere
e può leggere più motivazioni. Io a block notes velocissimo
ne voglio lanciare alcune, quelle che mi hanno colpito anche rispetto al momento
storico che stiamo vivendo. Valori fondamentali sono in gioco in queste prossime
elezioni, in questa Europa la cui Costituzione dovrebbe prender corpo finalmente.
Mi chiedo, attraverso il loro voto, in che modo i cristiani, ad esempio impegnati
in politica, abbiamo detto Lauro cattolico, io che tento di essere un cristiano
impegnato nel giornalismo, potranno contribuire a realizzare il sogno che
poco tempo fa ha fatto dire a Giovanni Paolo II: “Speriamo in un’Europa
fatta di uomini e di donne che si impegnino a portare i frutti di questi valori,
ponendosi al servizio di tutti per un’Europa della persona umana.”
E ancora, in un mondo attanagliato dal terrorismo (salutiamo con gioia l’esito
positivo delle ultime vicende internazionali) questa Europa si pronuncerà
a favore di politiche che realizzino l’equilibrio tra il bisogno di
sicurezza e il rispetto della dignità umana, nonché dei diritti
dell’uomo? E ancora, incoraggerà azioni che attacchino alla radice
le cause del terrorismo e favoriranno la risoluzione pacifica dei conflitti
così come il rispetto del diritto internazionale? Per la maggior parte
degli europei, poi, la famiglia è la principale fonte di sicurezza,
stabilità, educazione, benessere. In quale modo l’Europa realizzerà
l’equilibrio tra il rispetto della diversità e il sostegno alla
famiglia fondata sul matrimonio, in quanto componente base della società.
Ed ancora, a fronte di una struttura demografica in mutazione e a fronte delle
pressioni della cosiddetta globalizzazione, il nostro modello sociale, basato
su una crescita economica durevole e sulla solidarietà con i più
deboli e i poveri, si rivela più importante che mai. Come realizzerà
questa Europa l’equilibrio tra le necessarie riforme e questi valori
essenziali? E ancora, e finisco, il Parlamento europeo al tempo stesso espressione
dell’unità e delle diversità dell’Unione, in quale
modo favorirà lo sviluppo di una vera democrazia europea, rispettando
simultaneamente tanto la diversità sociale, culturale e politica dell’Unione
quanto il principio di sussidiarietà?
Ecco a cosa ci fa riflettere questo libro di Raffaele Lauro. De Gasperi sosteneva
che la democrazia senza la giustizia sociale sarebbe una chimera o una truffa.
Lauro indica i principi da salvaguardare a ogni costo in tutte le pagine,
insomma, che sono poi la scansione di tutta una serie di articoli molto belli,
che da cronaca diventano oggi saggio storico.
Mi piace sottolineare i concetti di giustizia, di solidarietà, di sussidiarietà,
anche perché sono i valori, credo, su cui deve fondarsi una democrazia
matura ed effettiva. Cosa sembra dirci Lauro regalandoci questo libro: serve
un ethos collettivo e condiviso. Pensiamo, riferendoci alla nostra Costituzione,
il grande sforzo di collaborazione fatto allora da persone come Croce, Togliatti,
La Pira. Una Costituzione che non ha una matrice cristiana, né marxista,
né liberale, bensì una matrice di valori comuni, fu il grande
sforzo allora. Oggi rischiamo forse il contrario, per essere democratici stiamo
mettendo in atto la democrazia e colgo qui un efficace passaggio, che proprio
in questi giorni ha fatto discutere, farà ancora discutere di un vescovo
intelligente come Monsignor Chiarinelli, che presentava le Settimane Sociali,
“Parliamo della politica del carciofo, diceva, in cui si toglie una
fogliolina, perché dispiace a questo e un’altra perché
dispiace a quello, e alla fine non ci rimane più niente. C’è
il rischio che non ci sia una crescita”. Crescita che invece si determina
laddove, pur nella diversità delle identità, si riesce a stare
con gli altri. Le identità molteplici sono il tessuto autentico della
democrazia. Lauro riflette con questo libro sull’Europa che sarà,
ma sembra anche ben consapevole dello scenario italiano, laddove ogni diversità
rischia di diventare frattura. Per il futuro, però, egli è ottimista.
C’è una società civile straordinariamente ricca che fa
essere ottimista Lauro e noi, leggendo il libro di Raffaele Lauro. E, poi,
c’è, comunque, e crede fortemente anche in questo tessuto connettivo,
in questa ragnatela che ancora oggi è molto forte, quella di un mondo
cattolico che ha ancora molto da dire a riguardo nel nostro Paese, perché
ha dentro di sé, innanzi tutto una grande cultura delle istituzioni
ed è portatore di un’eredità preziosa. E Lauro sempre,
nelle sue pagine, ce lo ricorda: il percorso di elaborazione da De Gasperi
ad oggi, poi l’esperienza della Democrazia Cristiana, il rispetto degli
alleati, gli accordi internazionali, l’atlantismo, l’europeismo.
Pensiamo solo a De Gasperi e alla sua lungimirante visione politico-strategica
sul futuro dell’Italia e dell’Europa unita. Mai come oggi credo
rappresentino un valore per un comune sforzo sociale sul quale anche le nuove
generazioni devono riflettere. E penso questo libro collocato anche in una
posizione appunto di riflessione per i giovani in particolare, fondamentale.
Gli articoli di Lauro, che oggi sono appunto saggio storico, secondo me indicano
alla politica una rotta con una certezza che permea, secondo me, tutto il
volume che mi piace, chiudendo, sottolineare. Quella che stiamo vivendo oggi
è una crisi mondiale innegabile ovviamente, la vediamo nei nostri telegiornali,
leggendo i nostri giornali, insomma in questa informazione globalizzata, visto
che nel perseguire il proprio ideale di sviluppo la società appunto
è il mondo, ma ci siamo, però, resi conto che il mero sviluppo
economico preclude lo sviluppo umano e morale non solo nelle nostre società
cosiddette opulente, ma anche a livello globale. Così questo sviluppo
inarrestabile provoca sfide enormi per noi stessi e per lo stesso pianeta,
minacciando la stessa economia globale. Ancora non sappiamo se i benefici
promessi non causeranno un serio deterioramento della qualità della
vita, ma purtroppo la qualità della vita si è andata degradando
perché si continua a vivere secondo il ritmo dettato dalla quantità
piuttosto che dalla qualità. Soltanto ciò che è quantificabile
rischia di essere percepito o veicolato spesso da noi giornalisti, mea culpa,
come reale, altrimenti tutto viene ignorato.
E nel libro si parla anche della sofferenza, dell’amore, della solidarietà,
della poesia, valori, sembra, di sotteso, ricordarci Lauro con questo suo
excursus, che non sono quantificabili. I nostri pensieri, le nostre ideologie,
la nostra pochezza di azione quotidiana rischiano di vanificare il tutto,
il grande progetto, rischiano di essere inutili. C’è la necessità
di ricomporre una cultura della solidarietà perché la solidarietà
è la risorsa fondamentale dell’etica e senza etica non c’è
vita, ma solo sopravvivenza. Raffaele Lauro ci scuote, insomma, con questo
libro, questo mi piace sottolinearlo fortemente, da una sorta di torpore.
Si, il destino di un’Europa, l’idea di un mondo policentrico,
la rinascita di un nuovo umanesimo, che sono presenti in questi articoli,
appunto nel corso degli ultimi anni, la necessità di una riforma o
meglio il recupero del pensiero in una società debole, per dirla alla
De Rita che ultimamente parla di una società orizzontale, dove rischia
poi di troneggiare il tubo catodico del nulla, come stiamo riflettendo sul
Paese reale, tra gli intellettuali rispetto a tutto quello che anche l’informazione
oggi produce. Tutto questo è filo conduttore del libro di Raffaele
Lauro, che abbandona, appunto, la cronaca per trasformarsi in storia.
De Gasperi, Adenauer, Schuman pensavano all’Europa come ad una famiglia
di Nazioni riconciliate e, insieme, impegnate per la costruzione dell’unità
e della pace dell’intera comunità umana. In parte si è
avverato, ovviamente, e lo abbiamo visto nella storia degli ultimi decenni.
Resta tuttavia un lungo cammino da fare, anche più arduo, perché
oggi, ovviamente, il mondo è cambiato e forse più numerose e
articolate sono le voci da raccontare. Ma il progetto è grandioso e
credo meriti la riflessione e l’impegno di tutti noi. Le prossime elezioni,
le prossime giornate costituiranno un’opportunità da non perdere
comunque. Raffaele Lauro storicizza con la cultura di un finissimo intellettuale
questo momento. Per i giovani è importante questo libro, per la politica
e per le istituzioni, da discreto servitore dello Stato, Lauro indica insomma
una rotta, un cammino. È uno di quei servitori dello Stato che hanno
fatto grande il Paese e, quindi, ancora grazie per avermi fatto leggere il
libro e per essere stato invitato stasera, qui,con affetto.
Lucia CARAVALE
Grazie a Massimo Milone. Prende la parola adesso Carlo Mosca, prego.
Intervento del Prefetto Carlo MOSCA
Penso che la scelta della data di presentazione di questa interessante
raccolta di scritti di Raffaele Lauro sia stata veramente opportuna. Alla
vigilia delle elezioni europee, infatti, parlare finalmente di Europa è
un’occasione da non perdere e quindi è un evento utile. Raffaele
Lauro, con il suo libro, ha, quindi, innanzi tutto, il merito di costringerci
a riflettere sulla questione europea, indicando e prospettando una serie di
itinerari verso una nuova Europa. Ritengo che sia perlomeno singolare che
di Europa si parli tanto poco, soprattutto in questo affannoso periodo elettorale,
comprensibilmente distratti da altro.
Un “altro” certamente rilevante e tale da giustificare la distrazione,
un “altro” che agevola al contempo argomenti per scontrarsi più
che incontrarsi, un “altro” che consente di attaccare e criticare
violentemente altri invece di chiedersi se l’Europa possa o debba avere
un suo ruolo nell’intrigato e complesso scenario mondiale, dove tutti
però, in particolare noi europei, sembriamo voler fare da maestri ad
altri, richiedendo e pretendendo solo dagli altri esercizi di virtù
e di stili valoriali. Forse mi sbaglio e sono disposto a riconoscerlo, può
darsi che anche io mi sia distratto e non mi sia reso conto che invece di
Europa si parla in tutti gli ambienti e se ne parla soprattutto tra la gente.
Eppure la sensazione è questa che vi trasmetto.
Si dovrebbe parlare di più dell’Europa, dei suoi cittadini, di
una nuova forma di cittadinanza, più attiva e più consapevole.
Si dovrebbe discutere della sua costituzione, che per qualche tempo, invero,
è stata oggetto di mirati riflettori, poi subito spenti per timore
di una sottrazione di spazio alle - certo pur interessanti - vicende interne
o internazionali di diverso segno. L’Europa per molti è ancora
un sogno e, forse, come tale, il sogno va coltivato senza una particolare
enfasi, senza immaginare che esso debba avverarsi essendo qualche cosa di
ineludibilmente necessario per il nostro futuro di cittadini. Si dovrebbe
discutere di più delle istituzioni europee che riteniamo lontane, perché
Bruxelles ci sembra lontano. E in effetti lo è rispetto alle questioni
delle nostre istituzioni pubbliche: quelle dello Stato, delle Regioni, dei
Comuni, delle Province, domani pure quelle delle Città Metropolitane.
Questioni complesse certo, drammatiche dinanzi al mancato funzionamento di
quello o di quell’altro settore, dinanzi alle diseconomie, agli sprechi,
all’inefficienza di quella o di quell’altra istituzione pubblica.
Ma invero spesso neanche il privato si distingue per efficacia, efficienza
ed economicità. Raffaele Lauro, nella sua raccolta di saggi, parla
così di questioni di vita quotidiana in una sana chiave europea ed
è questo il suo primo merito. Il suo sforzo è da apprezzare
proprio perché ti costringe a riflettere sull’Europa, sulla cittadinanza
europea, sulle Istituzioni europee, sui nuovi scenari europei e sulle nuove
politiche europee. L’Europa, egli afferma più volte, deve ritrovare
la sua anima e il suo slancio d’origine, non può limitarsi a
gestire l’incontro di interessi economici, deve ritrovare il forte impatto
ideale dei padri fondatori, quello di creare un’Europa alta e nobile,
efficiente e coesa, in modo da essere protagonista. Ma è implicito
in questo suo dire che debbano essere i cittadini europei a ritrovare la loro
anima, a ritrovare la loro coscienza, il loro slancio nel credere nell’utopia
possibile di un’identità comune diversa da quella d’origine,
ma altrettanto importante e da riconoscere.
È implicito nel dire di Raffaele Lauro che le Istituzioni europee (e
ciò può accadere in occasione dell’auspicabile prossimo
varo della Costituzione) debbano ritrovare il sentimento e la forza di sentirsi
funzionali ad un grande progetto utile ai popoli europei, utile strategicamente
per un futuro di equilibri, di concrete prospettive per la civiltà
e per la dignità umana. Penso che, come dicevo innanzi, il primo merito
di Raffaele Lauro sia proprio quello di riflettere e di farci riflettere sul
destino dell’Europa, o meglio di una nuova Europa, di aiutarci a chiedere
a noi stessi, alla nostra cultura, alla nostra sensibilità, al nostro
essere a sentirci cittadini pieni, orgogliosi della nostra cittadinanza, se
crediamo veramente nell’Europa, se crediamo veramente nella funzione
dei rappresentanti che tra qualche giorno voteremo per il Parlamento europeo
- se crediamo veramente che accanto all’Europa dei mercanti possa e
debba coesistere un’Europa dei valori, delle società, della coesione
tra i popoli, un’Europa della sicurezza e della difesa, un’Europa
della politica, una vera Unione europea che, nel rispetto delle singole identità
e differenze, rafforzi però e al contempo la storia dell’idea
europea, ma soprattutto l’agire comune, gli obiettivi comuni, la cittadinanza
comune, le Istituzioni comuni. Ritengo che Raffaele Lauro, con la passione
civile e politica che lo ha sempre contraddistinto, avrebbe piacere che si
rispondesse affermativamente.
Del resto il suo è stato lo sforzo di chi, settimana dopo settimana,
ha raccolto una riflessione dopo l’altra e le ha custodite in una grande
scatola, dove ha avuto la cura di scrivere istruzioni per e verso un’Europa
nuova con l’intento di condividere, poi, a distanza di cinque anni dalla
prima riflessione, con tutti i lettori e, oggi, con tutti noi, il senso delle
sue esortazioni, frutto di una meditata analisi. Lauro è convinto dell’Europa
e della sua potenzialità, ma è convinto pure dei suoi limiti.
La sua è una appassionata difesa delle opportunità che l’Europa
offre a tutti i popoli e a tutti i cittadini europei, ma la sua è anche
consapevolezza di un deficit di cultura europea, di un livello ancora minimale
di partecipazione e di condivisione dell’Europa e delle sue istituzioni
da parte dei cittadini del nostro Paese. Il suo descrivere emozioni, certezze,
perplessità da un segno di una vitalità interiore che vorrebbe
accelerare il tempo per giungere prima, cosciente che la meta di un’Europa
soggetto politico protagonista dello scenario mondiale non è poi così
dietro l’angolo. Ai suoi articoli, che non esito a definire brevi saggi
di riflessione sull’Europa, fa da sfondo la consapevolezza di una situazione
europea, o meglio di un’Età dell’Europa come soggetto economico
e politico, un’Età che risente della troppo breve, storicamente
si intende, esperienza comune e della troppo, invece, consolidata presenza
di una disputa tra i protagonismi nazionali.
I brevi saggi, che sommati insieme fanno un lungo saggio di accompagnamento
verso l’Europa, rivelano le difficoltà che i Paesi e la gente
europea vive quotidianamente. Evidenziano pure la conquista dell’Euro
che i cittadini vorrebbero non solo apprezzare nelle teorie economiche sostenute
dalle scelte politiche, ma anche constatare nei vantaggi derivabili e ricavabili
nella conduzione della vita di ogni giorno. I saggi rivelano i vantaggi e
gli svantaggi dello stare insieme in Europa in una sorta di diario delle vicende
degli ultimi cinque anni vissuti sempre con questo profondo anelito europeo,
quello di chi si sente in Europa, che sente e che vuole l’Europa, ma
che avverte anche la difficoltà di vedere un’Europa in difficoltà.
Raffaele Lauro coglie l’essenza di tutti i vari profili, primo fra tutti
quello dei diritti dei cittadini europei. Su questo vi sono una serie di pacate,
ma penetranti riflessioni in uno degli ultimi saggi raccolti. Egli afferma
infatti, con decisione e perspicacia, che la nuova volontà politica
europea non potrà e non dovrà prescindere dai cittadini, i quali
non potranno a lungo rimanere esclusi dal processo decisionale sulla legge
fondamentale dell’Unione o su altre posizioni strategiche, altrimenti
le Istituzioni europee non saranno percepite come proprie, rimanendo lontane
e inaccessibili. E le decisioni assunte più che condivise rischieranno
di essere subite come un frutto estraneo partorito dagli stretti circoli politici
o da conciliaboli burocratici. L’Europa in sostanza non può soltanto
essere motivo per attivare un corpo elettorale di cittadini che solo, ogni
cinque anni, sono chiamati a riscoprirla o sono inconsapevole strumento per
sondare il gradimento dei governi nazionali. Il sogno democratico europeo
merita molto di più. Merita anzitutto un riconoscimento che, più
che dall’esterno, manca principalmente dall’interno dell’Unione
europea. Presi come sono alcuni Paesi, nel teorizzare la geometria variabile
o le due velocità o altre alchimie per accelerare o rallentare, a seconda
dei momenti storici, il processo di una compiuta Unione europea con una sua
propria politica estera e di difesa pronta alle sfide internazionali, fedele
alle alleanze tradizionali con l’obiettivo primario della pace e della
sicurezza nel mondo contro ogni forma di terrore, di intolleranza e di inciviltà.
I temi filosofici, economici, sociali, politici, istituzionali della vita
nazionale sono esaminati in chiave europea con quella semplicità che
è propria di chi sa, di chi approfondisce, di chi vuole, pertanto,
trasmettere per lasciare un segno, il segno di una militanza culturale, di
una testimonianza, di una volontà di accreditare anche nelle soluzioni
del particolare una visione del contesto generale europeo, che è in
grado di condizionare e risolvere anche i disagi e le difficoltà del
più ristretto ambito nazionale. È questo del resto lo spirito
con cui Raffaele Lauro affronta le due questioni della sicurezza e dell’immigrazione.
Raffaele Lauro è diventato nel tempo un esperto in materia di sicurezza,
ma non è difficile immaginare che, sin dagli anni dell’università
e poi delle sue prime esperienze politiche, questo suo esplorare la realtà,
animato da quella sana curiosità che provoca altre curiosità,
egli abbia sempre avuto la convinzione che il problema della sicurezza costituisca
una questione politica di rilievo. Un rilievo certo accresciutosi negli ultimi
decenni e una questione diventata impellente e fondamentale ai nostri giorni.
Raffaele Lauro ha colto nel tempo, con la sua apprezzata sensibilità,
l’accrescimento dello spessore politico della questione sicurezza, così
legato ad una nuova cultura del cittadino, a quella che oggi ci fa piacere
definire come una nuova cittadinanza attiva, alla qualità della vita
sempre più richiesta, alla partecipazione e alla condivisione reclamate
non solo dal cittadino, ma dalle istituzioni locali ai vari livelli, nel comune
convincimento che fare rete significa gestire meglio un bene essenziale quale
quello della sicurezza, che è bene di tutti e che quindi ogni sinergia
può produrre migliori condizioni di vivibilità. Lauro, fin dalle
sue importanti esperienze ministeriali, da Prefetto a Capo di Gabinetto del
Ministro dell’Interno, ha avuto sempre ben chiara la differenza tra
sicurezza percepita e sicurezza reale e ciò lo ha spinto a coltivare
e ad essere particolarmente attento ai temi della comunicazione. Far passare
il messaggio che la sicurezza è strumento di garanzia per l’esercizio
delle libertà del cittadino, è stato sin dai primi anni novanta
un elemento di fondo del suo quotidiano rapportarsi con i vertici politici.
Una concezione altamente democratica della sicurezza e della libertà
che lo ha portato ad apprezzare e sostenere delicati temi del coordinamento
delle forze di polizia sul fronte della lotta al terrorismo e alla criminalità
organizzata, della lotta alla droga, alla corruzione e all’immigrazione
clandestina. Temi del coordinamento vissuti non solo sul piano culturale,
ma essenzialmente sul piano ordinamentale e organizzativo, cioè su
piano istituzionale. Il suo profondo rispetto per le Istituzioni traspare
nei brevi saggi che sintetizzano il suo pensiero sull’assetto e sull’articolazione
centrale e periferica degli organi preposti alla sicurezza, sul rafforzamento
anche in via amministrativa dei poteri di coordinamento dei prefetti e, a
livello regionale, sull’attribuzione al prefetto del capoluogo di regione
di un ruolo di supercoordinatore ai cui indirizzi vincolare ulteriormente
gli altri prefetti. Raffaele Lauro, in questo, è profondo sostenitore
del ruolo di terzietà del Prefetto, della indiscussa autorevolezza
della sua figura, della sua stessa capacità e tenuta sociale, come
sicuro riferimento (sono le sue parole in un articolo del 1999), come approdo
naturale per la mediazione e la soluzione delle crisi locali a carattere economico
e sociale.
È così agevole per lui individuare ed esaltare le aree significative
dell’intervento prefettizio: dal monitoraggio della dinamica di impresa
e dei settori produttivi a rischio alla conflittualità sindacale e
crisi occupazionale, dalle privatizzazioni all’implementazione dei regolamenti
comunitari, dai lavori socialmente utili al rilancio delle opere pubbliche.
Di fronte a questa significativa presenza del Prefetto nella realtà,
non è poi strano che Raffaele Lauro si chieda come mai ciò non
venga percepito in modo adeguato dalla pubblica opinione e dal cittadino comune.
Ed è altrettanto stimolante la sua risposta quando afferma che ciò
è dovuto a una non sufficiente sensibilità alla comunicazione
istituzionale da parte della pubblica amministrazione.
Nella sua capacità, che non è di questi ultimi anni, di intuire
prima del tempo e di leggere ad alta voce prima oltre il tempo quello che
appare essere lo sviluppo dell’attualità e della realtà,
Raffaele Lauro anticipa la questione delle polizie regionali, avvertendo che
ove i governatori, cooperano con lo Stato, pretendano domani di esserne responsabili
diretti su territorio nazionale, regionale, ciò rischierebbe di indebolire
fortemente le istituzioni nazionali preposte alla sicurezza in un momento
che richiede, invece, il massimo della coesione. Un avvertimento che è
anche la sintesi di una sua difesa appassionata dell’unità e
dell’indivisibilità della Repubblica.
Lauro affronta ogni questione da cittadino europeo, quasi prefigurando che
la dimensione e l’approccio europeo costringano a fare ciò che
altrimenti non si farebbe o si farebbe in maniera non sufficiente ed inadeguata.
È il caso dell’immigrazione, laddove Raffaele Lauro sollecita
una pacata razionalità guidata da due coordinate etiche: il rispetto
che si deve avere per la dignità umana verso persone che, lasciando
i loro paesi, aspirano con il lavoro a migliorare la loro condizione di vita
e l’interesse nazionale ed europeo a mantenere e garantire l’identità
dei valori civili, morali e religiosi tipici della cultura dei popoli d’Europa.
In un articolo del 1999, carico dell’esperienza sofferta proprio nello
specifico ambito, quando organizzò il rimpatrio in Albania di 24mila
clandestini arrivati sulle coste pugliesi, Raffaele Lauro ribadisce che occorre
fermezza nel respingere e nel rimpatriare gli immigrati clandestini, adeguando
e coordinando in sede europea le legislazioni nazionali e i poteri delle forze
di polizia. Ma occorre pure una programmazione sempre in sede europea ed un
ampliamento in modo significativo delle quote annuali di ingresso degli immigrati
regolari, anche con un’idonea informazione nei Paesi di origine e con
incentivi alle vie legali che sottraggano i potenziali clandestini al mercato
dei trafficanti. Ma occorre, dice Lauro, altresì un investimento pianificato,
massiccio, rapido nei bacini di provenienza dell’immigrazione, mediante
una più moderna politica di cooperazione allo sviluppo. Così,
nel settembre del ’99, Raffaele Lauro colloca la questione dell’immigrazione
nello scenario nazionale, ma soprattutto in quello europeo, intuendo l’imprescindibilità
di una politica europea del settore, dinanzi ad un fenomeno visto come risorsa
preziosa per lo sviluppo e il sostegno determinante per lo stesso sistema
previdenziale in crisi. L’anno successivo, nel 2000, Raffaele Lauro
ritorna sull’immigrazione clandestina, affermando che essa costituisce
per l’Unione europea uno dei problemi più difficili e più
complessi del XXI secolo. E sottolinea ancora, lucidamente, l’esigenza
di una disciplina europea dell’immigrazione regolare, poiché
le scelte sull’ampliamento delle quote e sulla tipologia dei permessi
incidono direttamente sulla patologia del fenomeno, rispetto al quale il vecchio
continente non può chiudersi e diventare una fortezza del benessere
assediata dai popoli della povertà e del sottosviluppo.
Da qui il ribadire di una politica comune europea, l’urgenza di questa
politica per controllare i clandestini, per controllare le frontiere in modo
più penetrante, con un’adeguata sinergia delle polizie europee.
L’urgenza, egli sottolinea, della convocazione di un consiglio o di
una conferenza europea sull’immigrazione, avvertimenti e indicazioni
che permangono di straordinaria attualità. Raffaele Lauro accompagna
con le sue osservazioni critiche, a volte pungenti, sempre costruttive, le
domande di chiarimento che sorgono spontanee ad ognuno dinanzi alla complessità
delle vicende quotidiane o alla molteplicità delle questioni irrisolte.
Tra queste ultime cito quella del Segretariato Generale che Raffaele Lauro
intravide come soluzione per il Ministero dell’Interno allo scopo di
semplificare l’architettura ministeriale e ricondurre ad unità
le varie anime del dicastero e le stesse forze di polizia. La penetrante lucidità
nel cogliere i punti deboli del sistema sicurezza, pur apprezzandone le luci
e i profili positivi (ricordo i pregevoli suggerimenti sull’intelligence
e in particolare sull’intelligence economico-finanziaria) esalta ancora
di più il convincimento di molti di noi che, in determinati momenti
della vita istituzionale, occorra forzare gli eventi con coraggiosa determinazione,
evitando la pavidità delle esitazioni che rappresenta il rischio dell’eccessiva
prudenza, da cui con ragionevolezza è necessario prendere le distanze.
Non ho altro da aggiungere, o meglio avrei altre cose da dire, ma ho già
abusato troppo dell’attenzione di tutti. A Raffaele Lauro dico grazie
per questo ulteriore contributo in attesa anch’io di leggere, come auspica
il Ministro Scotti, quel suo libro che è in animo di scrivere da tanti
anni.
Lucia CARAVALE
E adesso la parola a Francesco Silvano.
Intervento di Francesco SILVANO
Grazie. Io mi sento molto a disagio perché dopo interventi
di questo spessore uno si sente piccolo piccolo. Però l’unico
motivo per cui credo di sedere a questo tavolo è il fatto che da venticinque
anni sia legato da una vera amicizia a Raffaele Lauro e venticinque anni sono
molti. Per quanto riguarda gli articoli che compongono questo suo libro devo
anche confessare, se lui me lo consente, che io ne ebbi lettura preventiva,
prima che gli articoli uscissero e questo forse era un segno di amicizia ancora
oppure un desiderio di confronto tra culture che sono di matrici diverse,
portate da storie diverse. Però non mi è mai capitato di dover
correggere qualcosa di quanto lui aveva scritto, perché è stato
detto questa sera quanto equilibrio e quanta capacità di visione lui
abbia nell’anticipare gli eventi e nell’intuire che cosa potrà
accadere nella dimensione storica di sviluppo di questa Europa.
Quello che di lui mi ha sempre colpito è stato questo grande senso
dello Stato, l’equilibrio che lo accompagna sempre e una visione critica
che è sorretta dalla ricerca di un positivo. E questa sua spinta naturale
all’ottimismo, alla possibilità di generare degli sviluppi positivi,
a mio avviso, è anche velato da un senso di malinconia per la coscienza
di una umana fragilità che amplia poi le sue dimensioni per effetto
della ricerca del potere o dell’interesse personale. E non è
un caso che si richiami frequentemente alla figura di De Gasperi, agli insegnamenti
di De Gasperi.
Ora la libertà di giudizio che io vorrei esprimere stasera non è
tanto il rifiuto del considerare tutte le positività che accompagnano
questo processo di sviluppo dell’Europa, ma vorrei mettere in evidenza
come l’Istituzione europea è nata come tutela della libertà
della persona, della pace, dello sviluppo e, a mio avviso, oggi sta attraversando
una crisi profonda perché sempre più si andava consolidando
una superburocrazia europea. E sostanzialmente vediamo come gli Stati tentano
di affermare le proprie aree di influenza più che di sviluppare delle
politiche comuni. In questa analisi sono confortato dal fatto che Raffaele
Lauro a pagina 48 scrive un articolo che ha come titolo “Luci ed ombre”.
Ora io vorrei questa sera guardare anche all’aspetto delle
ombre, non per censurare quello che sta accadendo, ma per sviluppare alcuni
interrogativi di fondo. Perché la prima domanda è se veramente
esiste questa Europa del 2000, se è una realtà associativa,
se è una federazione di Stati, se è coacervo di realtà
antitetiche oppure una illusoria unione. In molti casi, quando si producono
determinati fenomeni, mi sento molto portato a pensare che la conferenza di
Vienna del 1815 non sia molto diversa dalle azioni lobbistiche di un blocco
come Francia, Inghilterra, Germania che sostanzialmente escludono le altre
realtà nazionali. Allora o l’Europa è espressione di una
forte realtà politica comune, come è già stato detto,
come una cultura comune che prende anche il tessuto degli elettori e dei cittadini,
oppure finisce per essere una dimensione burocratica che si inviluppa su se
stessa.
Ora dire queste cose certamente porterà degli scandali. Io avevo detto
al professor Lauro, al mio amico Raffaele Lauro, guarda che dirò delle
cose che possono essere dissonanti rispetto ad una visione generalmente positiva
ed ottimistica, però ho trovato che vi sono degli interrogativi che
hanno un fondamento, infatti, reale e che sono filtrati anche da esperienze
dirette, non sono generati da fattori ideologici. Mi riferisco, per brevità,
a cinque punti che esaminerò molto rapidamente. Il primo è quello
del processo di liberalizzazione e di privatizzazione, il secondo è
il tema della politica monetaria, il terzo è il tema dell’ambiente,
il quarto quello della sanità e della salute, che mi vede per ragioni
d’ufficio particolarmente sensibile, e il quinto quello della ricerca.
Ora nel campo della liberalizzazione e della privatizzazione, cosa è
accaduto in Europa? Che si sono assunti dei riferimenti, a mio avviso, impropri
rispetto ad altre realtà quale quella degli Stati Uniti per affermare
un principio di concorrenza esteso a tutte le dimensioni dei mercati, cercando
di raggiungere il risultato di un abbattimento dei costi e, quindi, il passaggio
da monopolio a libero mercato che aveva come suo obiettivo principale quello
di favorire i consumatori. Però, nelle dimensioni di un Paese piccolo
come il nostro e come, sostanzialmente, non sono di grande rilevanza gli altri
Paesi in termini di forza demografica, che cosa è accaduto? È
accaduto che le organizzazioni precedenti monopolistiche hanno mantenuto tutti
i vantaggi, mentre per difendere le “new entry” si è reso
necessario innalzare le tariffe, sostanzialmente. Ed allora si è verificato
un fenomeno negativo di mercato, tant’è vero che poi Paesi come
la Francia e Germania non hanno affatto seguito le normative comunitarie,
mentre da noi c’è stato un fenomeno di adesione alla politica
comunitaria che si è tradotta in una dispersione di energie, di forze,
di investimenti finanziari realmente preoccupante.
Tutto questo non fa che impoverire un Paese, quindi, tirando le somme, è
anche facile intuire che si è di fronte non certo ad un’innovazione
positiva, ma ad un qualche cosa che non ha un fondamento completo in una capacità
di vedere il mercato reale. Sulla politica monetaria basta vedere come il
volere difendere una moneta come l’Euro rispetto al dollaro, guadagnando
fittiziamente, dico io, trentacinque punti su una moneta forte, in sei mesi,
fa pensare che la valuta di riferimento non sia molto affidabile, non è
una considerazione mia, ma chi è economista monetario, sa perfettamente,
che oscillazioni di questo tipo non stanno a significare nulla se non manovre
speculative al ribasso o al rialzo semplicemente per degli interessi di natura
nazionalistica in chiave di sostegno all’esportazione. D’altra
parte basta confrontare la politica monetaria giapponese con quella che ha
seguito la comunità europea per capire come non sia stato proprio,
come dire, così positiva la gestione dei fattori economici monetari.
Se andiamo poi alla politica dell’ambiente, si dovrebbe parlare di non
politica dell’ambiente perché già vent’anni fa si
era determinato il fenomeno dei pinguini del Polo Sud, che portavano tracce
del DDT, ma, nell’evoluzione del sistema ecologico mondiale, è
peggiorato notevolmente. Si è fatto molto a parole nel definire quali
sono i pericoli che l’umanità corre di fronte a questo problema,
però, poi, se andiamo a vedere la politica d’ambiente europea,
ci troviamo di fronte al fatto che ogni buon proposito è caduto in
funzione di una difesa, forse anche necessaria, del PIL perché fare
una politica ambientale indubbiamente ha dei costi rilevanti e significativi.
E, venendo alla sanità e salute, voi sapete quanto sia ormai generalizzato
il fenomeno dell’allungamento della vita media e quindi questo enorme
problema degli anziani che devono trovare una possibilità di vita accettabile.
E il problema degli anziani non autosufficienti non ha visto nessuna politica
europea di sostegno. Invece l’Europa ha parlato molto dell’obesità,
della lotta all’AIDS, facendo molti convegni , poi, sostanzialmente
non operando nessun intervento. E vengo all’ultimo capitolo che è
quello della ricerca che rappresenta un capitolo di grandi delusioni, poiché
il meccanismo della comunità europea è un meccanismo per cui
tra la definizione del tema della ricerca, prendiamo la genetica, e la conclusione
delle ricerche che vengono assegnate e non certo al nostro Paese, ma ai Paesi
forti di cui ho parlato prima, intercorrono dai sei ai nove anni. Il che vuol
dire vanificare qualsiasi investimento della ricerca perché o la ricerca
produce dei risultati di base significativi in breve tempo, per poi essere
sottoposta a tutto quello che è necessario fare per trasferire la ricerca
in applicazioni che siano a favore dell’individuo, oppure tutto viene
evidentemente reso vano ed inutile.
D’altra parte, leggendo oggi il “Corriere della sera”, mi
ha colpito molto il fatto che siano state pubblicate delle tabelle che mettono
in evidenza come, di fronte alle prossime elezioni, la grande maggioranza
dei Paesi guarda elle elezioni europee come ad un problema di conferme, di
equilibri di Governi nazionali, oppure come un fattore di stabilizzazione
economica, oppure per motivazioni che poco hanno a che vedere con la politica
europeistica. Il che vuol dire che quella cultura del cittadino europeo, già
più volte invocata questa sera, è ancora estremamente lontana
dal potere maturare e mettere radici solide in modo da rendere la realtà
europea una realtà effettiva. Allora, scusatemi se il mio intervento
è andato così banalmente e, se volete, anche troppo superficialmente
contro corrente, però un tentativo di riflessione che, a mio avviso,
va fatto anche perché, se non guardiamo a tutti gli aspetti della realtà
e vediamo solo quelli che possono apparire consolatori o positivi, non andiamo
tanto lontano. Del resto il libro di Raffaele Lauro è, a mio avviso,
una guida molto intelligente a riflettere, perciò è tanto più
valida in un tempo storico che è segnato dalla virtualità e
dal peso dell’immagine. E lasciatemi terminare con due citazioni, una
storica perché purtroppo non si tiene sufficientemente conto di che
cosa è la storia dell’Europa negli ultimi duemila anni, se così
si può dire. Pochi sanno che cosa è stata l’attività
del Papato di Roma nei confronti di Bisanzio, pochi sanno quanti sono stati
i pontefici, i cardinali, i vescovi imprigionati e uccisi, pochi sanno che
il Papato di Roma ha creato il primo fattore di unità dell’Europa,
consolidando la unità tra le Nazioni di allora dell’Occidente.
E questa difesa contro Bisanzio è stata la difesa contro quella che
poi sarebbe stata una Bisanzio caduta in mano all’Islam.
Questo dovrebbe fare riflettere sul significato dei valori che vengono portati
a tutela della dignità dell’uomo che non è un problema
puramente confessionale, ma un qualcosa di più ampio. Del resto è
gia stato ricordato stasera, ma a me piace leggere l’intera citazione
di quanto ha detto il Santo Padre quando gli è stato conferito il Premio
Internazionale “Carlo Magno” dalla città di Aquisgrana.
Sono quattro parole, però parole dense di contenuto. Dice: “L’Europa
che ho in mente è un’unità politica, anzi spirituale,
nella quale i politici cristiani di tutti i Paesi agiscono nella coscienza
delle ricchezze umane che la fede porta con sé. Uomini e donne impegnati
a far diventare fecondi tali valori, ponendosi al servizio di tutti per un’Europa
dell’Uomo, sul quale splende il volto di Dio.” Ecco questo credo
che sia il messaggio di maggiore speranza perché è la strada,
non una strada, affinché la ricchezza umana generata dalla fede possa
essere veramente il fattore di crescita e di sviluppo dell’uomo nell’Europa.
Grazie.
Lucia CARAVALE
Grazie a Francesco Silvano. So che Raffaele vorrebbe subito intervenire per rispondere, ma prima prenda la parola Vincenzo Scotti.
Intervento di Vincenzo SCOTTI
Ho già avuto il privilegio di scrivere le mie considerazioni
sul libro di Raffaele. Vorrei qui sviluppare invece alcune sollecitazioni
e riflessioni che al termine della lettura del libro ho ricavato. Noi viviamo
un’età dell’incertezza. Leggendo il libro di Raffaele mi
è venuto subito in mente una metafora di un grande fisico moderno che,
parlando della condizione della scienza, oggi scrive: “Noi siamo di
fronte alla necessità di cambiare la forma della nostra nave da tozza
a più affusolata, ma non possiamo farlo tirando la barca in un cantiere,
ma dovendo cambiare nel pieno della tempesta e dovendo utilizzare i legni
della vecchia imbarcazione.” Conclude: “Questa è la nostra
condizione di scienziati moderni.” Io dico questa e la condizione di
noi uomini di questo terzo millennio.
Qual è questa grande sfida? Perché questa necessità del
cambiamento della barca? Questo è l’interrogativo. Io ho apprezzato
Raffaele perché uno di fronte a questo interrogativo, su cui verrò
subito, poteva scrivere un saggio sistematico e invece lui pubblica con coraggio
le riflessioni che ha svolto giorno dopo giorno e le pubblica a distanza tempo.
Io non credo che molti sono in grado oggi di ripubblicare le cose che hanno
scritto dieci anni fa perché forse oggi si vergognerebbero di averle
scritte. Raffaele ha il coraggio di pubblicare quello che ha scritto giorno
per giorno, trovandosi in pieno mare aperto, con i flutti, cioè non
avendo il tempo di sistemare, ma scrivendo di getto. Qual’è la
grande sfida? Noi non ce ne siamo ancora resi compiutamente conto. Le generazioni,
i grandi leader politici del mondo, all’indomani della seconda guerra
mondiale, si trovarono di fronte alla sfida: traghettare il mondo dai totalitarismi,
fascismo e comunismo, alla democrazia. Fu la grande sfida, dai grandi leader
degli Stati Uniti ai grandi leader europei fecero questa grande costruzione
politica. Oggi qual è la sfida? Noi oggi ci troviamo di fronte a una
nuova sfida terribile, che è la sfida della globalità.
Noi ne parliamo così, credo tutti quanti, con abbastanza superficialità.
Abbiamo di fronte a noi il problema di traghettare il mondo dagli Stati nazionali,
dalle economie nazionali all’Unione europea, allo Stato globale, all’economia
globale. E dobbiamo fare questa operazione continuando, come diceva il fisico,
a farla nel pieno della tempesta, senza avere la possibilità di portare
la barca in cantiere e di costruirne una nuova.
No, questa è la grande sfida, che investe l’economia, la società,
la cultura, la criminalità, l’illegalità. Tutto è
cambiato e tutto sta cambiando ad una velocità spaventosa. Noi non
ci rendiamo conto, ma nel nostro Paese sta scomparendo la grande industria
sotto i colpi della globalità. La nostra società è totalmente
squinternata. Questa è la condizione nostra di uomini contemporanei,
questa è la grande sfida ai leader politici di questo mondo. Ma diciamo
la verità, oggi il livello delle cancellerie del mondo appare del tutto
inadeguato rispetto a questa sfida. Gli Stati Uniti, da Roosevelt a Truman,
alla fine della guerra ebbero una grande prospettiva e un grande disegno strategico
che ha retto e ha consentito il passaggio dai totalitarismi alla democrazia,
allo sviluppo. In Europa, i grandi leader intuirono, perché noi parliamo
di Europa oggi, ma era il modo con cui l’Europa affrontava il traghettamento
dai totalitarismi alla democrazia, cioè ebbero dei grandi disegni e
delle grandi visioni e continuarono.
Oggi noi ci rendiamo conto della debolezza delle cancellerie mondiali di fronte
a questa sfida. L’Europa è un tentativo dentro questo governare,
che da una parte ha portato alla destrutturazione dello Stato che abbiamo
conosciuto, cioè tutto quello che abbiamo ereditato che cede sovranità
e deve sempre più cedere sovranità, e dall’altra il premere
dal basso di quello che viene chiamato poi dagli esperti un loca globalismo.
E le istituzioni saltano. L’inadeguatezza culturale e politica di fronte
a questa sfida è mostrata, lasciatemelo dire, dal modo con cui si è
affrontata la riforma costituzionale del nostro Paese. Il toccare un disegno
non con un disegno alternativo, ma con processi di razionalizzazione meccanica.
Ma questo perché? Lauro, io sto dicendo cose tutte contenute nel testo
di Lauro, non fuori, parte da una grande illusione che è l’illusione
degli anni ’90. Negli anni ’90 il mondo cade di fronte ad una
tragica illusione, quella di immaginare la fine della storia e la fine della
politica e di ritenere di essere approdati al momento in cui avevamo bisogno
solo della cultura che l’impresa aveva costruito, della cultura della
gestione della cosiddetta managerialità. Si è considerata la
fine, insieme alle ideologie che cadevano, della politica e della cultura
politica ed è prevalsa ed esplosa l’idea che il mondo potesse
essere governato da manager, cioè da persone che avevano preso dalla
lezione del capitalismo moderno l’efficienza non come strumento di giustizia,
ma come finalità dell’azione. L’effetto è stato
devastante da questo punto di vista, perché tutte le cose che Silvano
ha detto sull’Europa e che io condivido profondamente, che non è
pessimismo, ma realismo vero, sono il frutto di questa cultura. Il modo con
cui il mondo sta affrontando la sfida proprio della globalità come
se fosse un problema di gestione aziendale del mondo, è un problema
di sconvolgimento radicale di tutti gli equilibri, economici e sociali, e
non ci aiuta nessuna delle culture tradizionali a poterla affrontare. Questo
è il punto della situazione. Nessuna delle culture tradizionali ci
aiuta ad affrontare e a costruire un mondo che sia un mondo globale. Ma voi,
che siete operatori della sicurezza a livello del nostro Paese, vi rendete
conto di come affrontare il problema della sicurezza che è un problema
globale e che è una rete e che avrebbe bisogno di una rete in contrapposizione?
Noi siamo come le istituzioni sovranazionali che sono ancora molto deboli
nel far fronte e dominare e guidare il cambiamento e senza una guida politica
di questo cambiamento noi non ne veniamo fuori.
Faccio una indicazione: io ho molta considerazione certamente sugli errori
di una guerra, sulle insufficienze, sugli sbagli tattici di aver affrontato
una guerra, ecc ecc, benissimo, tutto vero, ma dentro questa globalità
il dato nuovo è l’apparizione di un totalitarismo nuovo, un terzo
totalitarismo. Il terrorismo è il terzo totalitarismo dopo quelli del
nazismo e del comunismo. Perché è una concezione, non è
soltanto un atto militare di guerriglia. E’ una concezione totalitaria
con tutta l’attenzione spesso anche del mondo pacifista, del mondo di
non capire ancora una volta che non è un problema di guerra, cioè
gli errori della guerra sono davanti a tutti in Iraq. Ma non è quello
il problema, il problema è del modo con cui costruiamo un processo
di globalità e di sicurezza mondiale dentro un attacco nuovo che è
l’attacco del totalitarismo, che è in altre parole il terrorismo,
non è soltanto un dato militare, un’organizzazione di quattro
persone. E’ un nuovo totalitarismo che si è affacciato nel mondo
dopo quelli che hanno dominato il secolo trascorso. Io credo che dentro queste
provocazioni c’è la lettura di Lauro, che è tutta problematica.
Lauro è ricco di sfumature, non è ricco di certezze, anche se
le vede con molta chiarezza.
Ha ragione il Prefetto Mosca nell’aver posto in risalto tutte le varie
questioni che Lauro affronta, molto concrete, molto specifiche, non fuggendo
mai alla concretezza dei problemi e delle scelte che sono davanti a lui. Ma
alla fine Lauro arriva alla questione di fondo: l’Unione europea è
una risposta parziale, ma è una risposta alla sfida globale, ma è
una risposta che ha i suoi limiti e le sue debolezze, poste in luce da Silvano
prima, proprio perché non ha una visione ed una strategia globale,
proprio perché l’Europa rischia di essere uno Stato nazionale
più grande, ma non di essere una risposta nuova alla sfida globale
che c’è nel mondo. Per questo l’Europa non riesce ad avere
una sua politica di innovazione e di sviluppo, una sua politica estera, alla
fine, una sua politica militare. Perché, qual è la ragione di
fondo che la anima? Vengo qui alla conclusione, con una riflessione che viene
fuori dal libro di Lauro. Noi abbiamo due grandi illusioni che abbiamo coltivato
nel Paese dopo il ’92: la semplificazione, lo slogan e lo spot. La risposta
alla complessità della sfida è quella della semplificazione
dello spot, del massaggio televisivo per intenderci. La seconda è quella
di pensare che possano costruire delle istituzioni in grado di governare,
di gestire questi processi senza una grande idea politica dominante, cioè
senza avere di fronte a sé una strategia verso cui andare. Io ho ripetuto
e torno a raccordare, il periodo immediatamente dopo la guerra e oggi. C’è
un’analogia fortissima!
Due sfide diverse, due risposte diverse, la prima una grande risposta politica
mondiale dei grandi leader, delle risposte oggi prive di grande strategia
e di grande futuro. Questo è il punto, la pace nel Mediterraneo. Ma
qual’è l’idea politica intorno a cui costruirla? Possiamo
riprendere lo slogan del piano Marshall per riempire un titolo di giornale,
lo facciamo pure, ma questo è il dato del vuoto che noi sentiamo. Ecco,
io credo che la lettura di Lauro, ahimè, mi ha spinto a queste riflessioni.
Adesso gli potremmo dire un po’ calmati a scrivere da una parte o dall’altra
no sbrigati a scrivere. Io quello che gli dico è sbrigati a scrivere,
perché adesso devi raccogliere le fila di tutto questo. Devi arrivare
ad un lavoro sistemico che contribuisca a riprendere un dibattito di prospettive
e di strategie che, ahimè, è debole nonostante tutta la buona
volontà che le persone ci stanno mettendo.
Grazie.
Lucia CARAVALE
Grazie. Prenda la parola Raffaele Lauro.
Intervento del Professor Raffaele LAURO
Un Ministro veramente democratico, autorevole, non autoritario
è stato Vincenzo Scotti. Cari amici, ringrazio Lucia ancora per l’ospitalità
generosa della Società “Dante Alighieri” e mi auguro, visto
l’invito del Ministro Scotti, di poter essere di nuovo ospitato in questa
preziosa sala, culla d’arte. Voglio ringraziare, sinceramente, tutti
i relatori che non hanno accettato l’invito perché dovevano fare
una cortesia all’Autore del libro. Hanno parlato con i loro convincimenti
e credo che tutti gli interventi siano intessuti di un filo d’oro di
coerenza di valori, che sono stati richiamati anche sotto il profilo linguistico.
Non a caso io mi onoro dell’amicizia delle persone che hanno preso la
parola e vorrei darvi un’esplicitazione di questo mio giudizio, partendo
da una premessa: la mia visione del mondo. Per un piccolo professore di provincia
di filosofia che è stato cresciuto nella lettura di Benedetto Croce,
di Vittorio De Caprariis, di Gaetano Salvemini, laicista, ma anche di Sturzo
e di Alcide De Gasperi, il quesito è stato sempre lo stesso: il limite
dei filosofi? Il limite dei filosofi, almeno dalle radici della nostra cultura
occidentale fino a Hegel e agli epigoni di Hegel, a Marx e via cantando, è
stata la pretesa di volere ridurre in un sistema la complessità del
reale.
Parlo del limite del filosofo sistematico, il cui esponente massimo che ha
dominato la cultura europea e ha prodotto figli buoni e figli cattivi, cara
Daniela; è stato Hegel, che nella sua sovrana intelligenza ha preteso,
lui, con la sua mente, di esaurire non solo la complessità dell’uomo,
caro Francesco, ma la complessità della storia, delle scienze. Ha preteso
di esaurire la complessità del reale, caro Vincenzo. Ed è chiaro
che dal ventre di questa cultura, sono venuti fuori i totalitarismi, che voi
avete richiamato. Non c’è un rapporto diretto, tuttavia la pretesa
di esaurire la realtà sotto il profilo filosofico, ha prodotto, nei
suoi frutti peggiori, la logica di identificare lo Stato come valore etico
e il passo, cara Daniela, è stato breve, sia sul fronte nazista che
su quello comunista.
Mi riferisco alla logica di un solo pensatore, Karl Marx, pur in un’analisi
legittima, scientifica di una realtà drammatica come era quella della
classe operaia in Inghilterra agli inizi dell’ottocento, perché
vedere bambini morire a dodici anni in una miniera era certamente un affronto
alla libertà di intellettuali come Engels o Karl Marx. Tuttavia dov’è
il limite che io dico hegeliano? La pretesa successiva di delineare una società
futura di giusti. E, in nome di quella società di uguali, di giusti,
sono stati uccisi milioni di uomini! Sono stati mandati da Hitler sei milioni
di ebrei alle camere a gas. Stalin ha mandato in Siberia milioni di contadini
a morire. Ecco il risultato della nostra cultura occidentale, ecco il risultato
dei mostri che ha partorito la nostra storia, ecco il discorso che faceva
Vincenzo sulla visione totalizzante, sulle conseguenze di una visione totalizzante.
Però Vincenzo Scotti, che non è stato solo un grande Ministro
del Lavoro, dei Beni Culturali e dell’Interno, è un finissimo
intellettuale ed è l’erede della grande tradizione intellettuale
del meridionalismo italiano, ha messo in guardia, nelle sue ultime battute,
dall’altro pericolo dominante che è quello della semplificazione.
Perché, a fronte di una visione totalizzante, quella semplificatrice
è ancora peggiore, perché omologa tutto, riduce e imbambola
le menti. E noi stiamo qui a discutere di Europa e io, non lo dico per mio
prestigio personale, ma vorrei sfidare e vedere in quali luoghi d’Italia
o d’Europa in questo momento si stia discutendo, come si è discusso
qui, di Europa. Io ho un ospite illustre svizzero presente che è venuto
qui dopo aver presentato il mio libro a Lugano domenica scorsa, Marco Solani,
che è Presidente del Festival del Cinema di Locarno e che mi onora
di averlo come amico. Egli ha discusso di fronte ad una platea svizzera dei
dubbi che hanno gli svizzeri nel voler entrare nell’Unione europea,
dei dubbi di voler “consegnare” i loro cinquecento anni di storia
democratica, dove hanno saputo, diciamo, mediare la complessità delle
situazioni con delle istituzioni idonee e non vogliono annullarsi nel superburocraticismo
di Bruxelles. Domande legittime in un dibattito veramente di fuoco che ci
è stato a Lugano domenica sera. Allora i due mostri della mente, la
visione totalizzante e la visione semplificatrice. E qual è allora
l’atteggiamento da assumere? Un atteggiamento umile che è stato
sempre suggerito dal Ministro Scotti, e voi, amici Prefetti, che siete stati
a lavorare con lui, tanti di voi collaboratori lo sapete. E’ l’atteggiamento
popperiano, se vogliamo richiamare un filosofo, che pur partito da un’educazione
comunista arriva al convincimento che nessuno riesce ad esaurire il reale,
ma che si può tentare di innestare solo elementi di razionalità
nel reale. Forse questo è un atteggiamento di maggiore efficacia, piuttosto
che descrivere mondi perfetti distaccati dalla realtà. Ebbene questa
è la premessa, ma volendo scendere a qualche battuta perché
non voglio ancora approfittare della vostra pazienza, vorrei dire a Daniela,
che la nostra amicizia è un’amicizia di valori perché
se è vero che tu hai richiamato le nostre differenti matrici culturali,
però noi abbiamo avuto sempre una sintesi convergente, non solo sui
fini, ma anche sui mezzi. E quando tu richiami il problema della solidarietà
in Europa, richiami il problema principe che ha ripreso Massimo, che ha ripreso
Carlo. Ecco il filo d’oro che intesse le vostre relazioni. Hai posto
il problema dell’anima, un problema che vuol dire quello che ha ripetuto
Vincenzo Scotti. Senza un’idea grande, tutto si riduce a burocrazia,
tra virgolette. Ed è certamente, come tu hai detto, il problema della
burocrazia un problema fondamentale. Se alle burocrazie nazionali arretrate
sostituissimo da un lato, verso il basso, nuove burocrazie regionali, neocentralismi
regionali ancora più arroccati di quelle statuali e se dall’altro
creassimo il mostro iperburocratico di Bruxelles, il cittadino si troverà
schiacciato tra due mostri burocratici: il mostro che va verso giù
e il mostro che cresce verso l’alto. E allora il problema è sempre
lo stesso, caro Massimo. Oggi ci possiamo interrogare se la costruzione europea
è stata una costruzione fatta nel modo giusto, perché gli uomini
che l’hanno ispirata nel secondo dopoguerra avevano chiara la consapevolezza
dei mostri partoriti dal ventre della storia d’Europa e volevano immediatamente
che il beneficio di una forte idea trainante diventasse patrimonio della comunità,
intesa come comunità dei cittadini. Invece, come ha richiamato Francesco,
è iniziata la strada dei mercanti. Si disse che forse non era matura
la possibilità di accedere ad una unificazione politica, di preparare
una costituzione con una costituente europea, che io richiamo continuamente
nel mio libro, con la possibilità che i cittadini votassero sulla legge
fondamentale dell’Unione europea. No, si preferì l’altra
strada, quella dell’economia.
Facciamo passo dopo passo, andiamo avanti con gli accordi e molti dei personaggi
della burocrazia italiana ne conoscono le difficoltà. Io vorrei richiamare
un unico episodio, non per ascrivere a me il merito, ma per ascriverlo al
legittimo autore, cioè a Vincenzo Scotti. Voi tutti, e qui c’è
Malinconico, c’è Morcone, ci sei tu, caro Carlo, e tanti altri
amici che hanno vissuto quel momento straordinario della grande produzione
legislativa contro la mafia. L’episodio che tu hai richiamato del rimpatrio
dei 25mila albanesi non fu un episodio, ti ricorderai, di vero respingimento,
ma una grande visione del Ministro dell’Interno dell’epoca, che
ha dormito nella stanza del Capo di Gabinetto sul divano per delle notti (forse
non è più di moda di questi tempi). Ebbene, l’idea del
Ministro dell’Interno che noi tentammo di tradurre era quella proprio
che hai avuto la capacità, caro Vincenzo, di richiamare e di attribuire
a me. Te ne ringrazio. È una visione che ancora oggi stenta ad affermarsi
a livello di Istituzioni europee, cioè la corresponsabilità
nella difesa delle frontiere, nella politica delle quote, nella politica degli
investimenti nei bacini di provenienza, nell’informazione verso queste
popolazioni che vengono ingannate e sfruttate. Per far capire che, forse,
attraverso la via legale, è più opportuno entrare per il portone
principale, piuttosto che essere soggetti a vessazioni. E questo è
un merito di Vincenzo Scotti. Se io scriverò un libro sull’esperienza
al Vicinale, lo dovrò fare, innanzi tutto, per rendere merito a chi
ha avuto queste visioni anticipate, a chi ha avuto sempre una visione moderna
come quella che oggi Vincenzo Scotti ci ha illustrato. Non c’è
democrazia, caro Massimo, senza giustizia sociale, questo è un altro
limite dell’Europa. Noi parliamo solo di regole. Siamo preoccupati che,
tra pochi giorni a Bruxelles, si perda la possibilità che la bozza
di trattato costituzionale, preparato dalla Convenzione possa essere approvata
dopo il “cosiddetto fallimento” del Governo italiano, nel suo
Semestre di presidenza. Da quello che si sa, da quelle cancellerie richiamate
da Vincenzo Scotti, non più all’altezza delle vecchie tradizioni,
le difficoltà non sembrano essere state tutte superate, né sul
problema dei sistemi di votazione, né su altri problemi di rappresentanza
e di funzionalità.
Tuttavia queste regole sono necessarie perché abbiamo creato una grande
realtà, l’Europa si è allargata a venticinque, si allargherà
a ventisette e poi a vent’otto ed altri due o tre scalpitano all’esterno.
Ma se i meccanismi decisionali delle Istituzioni europee saranno incapaci
di governare questa dimensione, se si passerà, attraverso le posizioni
direttoriali della Francia e della Gran Bretagna, ad una posizione dominante
rispetto ai Paesi più piccoli o se le decisioni saranno ostacolate
da veti o da maggioranze inidonee, allora questa grande costruzione andrà
all’indietro. Allora avranno fatto bene, caro Marco, gli amici svizzeri
ad aspettare, a rimanere alla finestra perché loro si pongono la domanda:
“Ma riuscirete, anche approvando questo trattato costituzionale, a governare
bene questa realtà?” E intanto sono entrati 70 milioni di nuovi
abitanti con un reddito pari a quello dell’Olanda. Sono entrati ma hanno
una situazione di PIL pari a quello dell’Olanda, di crescita annuale,
ma di reddito individuale che dovrà essere adeguato. Abbiamo queste
nuove realtà statuali che devono assorbire, lo dicevo ieri ad alcuni
banchieri svizzeri, 80mila pagine di norme. Nessuno può pensare che
Cipro, Malta, la Polonia ed altri, possano adeguarsi rapidamente. Quindi,
abbiamo una situazione di movimento, di passaggio. Abbiamo bisogno delle regole
costituzionali, ma, caro Massimo, non basta questo, non basteranno regole
costituzionali funzionali alla efficienza degli organi decisionali, all’interazione
tra Parlamento, Commissione e Consiglio europeo. Vi assicuro che approfondire
la complessità delle funzioni, perché i poteri tradizionali
non sono ripartiti, come nel criterio di Montesquieu, diventa veramente complicato
anche per chi ha una certa dimestichezza. Ma noi non possiamo tornare indietro.
Questo è il punto.
Quando Vincenzo Scotti ha richiamato la splendida metafora del governare,
mettere a posto, ristrutturare la barca in navigazione, ha colto nel giusto.
Noi non ci possiamo consentire il lusso di fermarci o di tornare indietro.
Allora quel deficit di cultura europea lo dobbiamo colmare noi stessi. Noi
siamo a pochi giorni dalle elezioni, ma chi parla dell’Europa? In che
modo i cittadini europei vengono informati? E allora è vera la provocazione
che io ho calato in questo libro. Qualunque cosa si decida a livello di trattato
costituzionale, questo deve passare attraverso un referendum europeo, fatto
nello stesso giorno da tutti. Lo so che è ben poca cosa, ma perlomeno,
in un solo giorno, i cittadini diranno si o no. Altrimenti lo approviamo,
lo ratificheranno i Parlamenti, poi avremo un referendum in Gran Bretagna,
che ce lo ostacolerà e torneremo punto e daccapo. I cittadini devono
introitare questo bisogno di Europa, quel deficit che tu hai richiamato, perché
se non procederà l’Europa anche sulle gambe dei cittadini, allora
effettivamente diventerà un mostro ingovernabile che non servirà
neppure per i nuovi equilibri del Mondo, richiamati da Vincenzo Scotti. Concludo
dicendo che questo è tanto più necessario, e con questo ringrazio
tutti voi che avete partecipato, di fronte a quel terzo totalitarismo di cui
parlava il Ministro Scotti. Oggi sono stati liberati dalle forze della coalizione
gli ostaggi. Siamo tutti felici che queste persone siano state restituite
alle loro famiglie. Ma nessuno si illuda perché la questione, come
ha detto Vincenzo, è una questione di fondo. E’ una questione
di una visione totalizzante che vuole abbattere quei valori per i quali noi
abbiamo lavorato e nei quali crediamo.
In che modo dobbiamo procedere? Proprio irrobustendo e rendendo concreto questo
sogno europeo, perché nel momento in cui tutti noi potremmo dirci,
oltre che cittadini della nostra nazione, cittadini europei, cittadini consapevoli
delle istituzioni e dei loro obiettivi, forse avremmo in mano le armi positive
istituzionali, culturali e politiche (quell’idea politica di cui parlava
Vincenzo Scotti) per fronteggiare e sconfiggere questo terzo totalitarismo.
Vi ringrazio.
Lucia CARAVALE
Grazie a Raffaele Lauro per aver scritto questo libro. Grazie a tutti voi e a tutti i nostri ospiti.