Titolo: La pesca del venerdì.
Film: Cortometraggio in 16mm a colori.
Soggetto, sceneggiatura e regia: Raffaele Lauro.
Produzione: Nuova Università del Cinema e della Televisione - Via del Tritone, nr. 61 - 00187 Roma (tel.06-6790668, fax 06-6784562, e-mail universi@tin.it).
Per la produzione
di questo e di altri cortometraggi, la NUCT ha vinto il Nastro d'Argento 1999.
Interpreti: Franco Franci, Maria Parravicini Bassetti, Stefano Serafinelli, Mauro Lorenz e Giorgia Costantino.
Due persone anziane, marito e moglie, Ercole ed Estia, attraversano, tenendosi teneramente per mano, Ponte Sublicio, da Testaccio a Trastevere, per recarsi l'uno a pescare sull'argine del Tevere e l'altra a fare delle spese in Trastevere. Ercole è attrezzato da pescatore del venerdì, con canna, carniere e cappelletto. Estia porta sottobraccio la borsa per la spesa. Mentre procedono, sfiorano una coppia, un ragazzo ed una ragazza che amoreggiano appoggiati al parapetto del ponte. I due anziani ammiccano maliziosamente tra di loro, guardando la coppia di giovani. Successivamente si salutano, con raccomandazioni reciproche, le quali denotano l'affetto e il sentimento di protezione che li legano. Ercole, novello Charlot, scende verso l'argine ed Estia, prima di andar via verso Trastevere, lo saluta dall'alto del ponte. Ercole risponde gioiosamente con il gesto della mano. Mentre Ercole è applicato a pescare (o, meglio a fingere di pescare), sopraggiunge alle sue spalle un bullo trasteverino, soprannominato er Ricotta, perché la madre ha una rivendita di formaggi. Il sopraggiunto aggredisce verbalmente Ercole fino all'insulto, rovesciando il carniere e provocandolo sul fatto che il vecchio non pesca mai niente e che è un'illusione quella di tentare di pescare nel Tevere. In un primo momento, Ercole risponde irritato a quella aggressione che non deve essere stata la prima. Passa del tempo, e allo scambio violento tra i due, si sostituisce, quasi di colpo, l'invito di Ercole al suo aggressore a non urlare, perché la moglie Estia, che sta per ritornare da Trastevere, potrebbe sentirlo. Ercole è costretto così a rivelare la verità: egli finge di pescare per non deludere la moglie, la quale ancora sogna che il Tevere sia sacro e pescoso. Si tratta di un inganno d'amore. In effetti, i due pescetti che il venerdì Ercole porta a casa, li compra dal pescivendolo. Sopraggiunge Estia, che, festosa, saluta dall'alto il marito e chiede con un gesto rassicurazione sulla pesca. Ercole dal basso la risaluta e la rassicura sui due pescetti pescati. Estia si allontana verso casa e ritorna in campo er Ricotta: "Mi sembrate due matti" urla nei confronti di Ercole, riferendosi alla stranezza di quel gioco. "Peggio per te" gli replica Ercole. "Peggio ché?" controreplica er Ricotta. Il bullo non può capire la tenerezza di quell'inganno d'amore. La battuta conclusiva di Ercole, mentre si allontana per rientrare a casa (non senza aver comprato due pescetti) è lapidaria: " Peggio pe' te che nun sei bono ad essere matto". Come per dire, tu non sei capace di cogliere un vero sentimento d'amore.
Non a caso l'Autore ha scelto Ponte Sublicio, tra Testaccio e Trastevere. Ponte Sublicio è il più antico ponte sul Tevere, per questo sacro ai Romani. Esso prendeva il nome dalle sublicae, cioè dalle tavolette di legno, di cui era costituito il ponte. Esso era considerato sacro, perché, anticamente, i Romani delle origini vi compivano sacrifici umani in onore degli dei. Successivamente, la leggenda narra che l'intervento di Ercole abbia portato alla sostituzione dei sacrifici umani con dei fantocci di foglie. Infatti, in alcune occasioni dell'anno, il Gran Sacerdote, seguito dal corteo delle Vestali, si muoveva dal Tempio di Vesta per raggiungere, lungo gli argini del Tevere, Ponte Sublicio. Dal ponte, le Vestali lanciavano fantoccini di foglie in onore della dea e come buon auspicio per i raccolti e la pesca. L'attuale Ponte Sublicio non è quello antico, né è quello ricostruito. In effetti, pur chiamandosi Ponte Sublicio, esso è il Ponte Aventino. Ciò nonostante, l'Autore non ha voluto rinunciare alla suggestione del nome, a sottolineare chiaramente un punto sacro della città eterna. Né è da trascurare il riferimento ai due protagonisti, che vanno da Testaccio a Trastevere. E' notorio, infatti, che, tra tutti gli antichi quartieri di Roma, questi due, il Testaccio e Trastevere, sono rimasti i più fedeli alla tradizioni, in termini etnologici. L'Autore, collocando i due protagonisti a cavallo tra questi due quartieri, su uno dei punti più antichi della città, ha inteso rendere un omaggio alla leggenda, ai miti, alla storia ed alle tradizioni popolari di Roma. Tutto ciò risulta ancor più chiaro dai nomi assegnati ai protagonisti: Ercole, Estia ed er Ricotta.
Il nome del protagonista maschile è Ercole, con evidente riferimento alla leggenda di Ercole. Eppure l'Autore non sceglie un uomo dal fisico ancora possente, alto e muscoloso, ma un omino basso, piccolo, quasi gracile. Perché? Evidentemente, l'Autore vuole assegnare al protagonista, al di là della fragile apparenza fisica, una grande forza interiore. Tutto ciò emerge progressivamente, per cui la personalità di Ercole, agli inizi quasi schiacciata dall'incombenza fisica di Estia prima e di er Ricotta poi, cresce, di battuta in battuta, di immagine in immagine. Ercole appare, alla fine, un vero gigante buono, un gigante del sentimento contro la brutalità e la rozzezza quotidiana. Il nome della protagonista femminile è Estia, con evidente riferimento al culto della dea Vesta e delle Vestali, così diffuso nell'antica Roma, sia in età repubblicana che imperiale. Ne sono testimonianza i Templi dedicati al culto della dea. Con il nome di Estia (sarebbe stata un'anacronistica semplificazione chiamare la protagonista Vesta, cioè con il nome della dea), l'Autore compie un'operazione glottologica, con la quale il nome della dea sembra essersi trasformato, corrotto e radicato, di generazione in generazione, nella tradizione popolare. Anche con Estia, l'Autore porta a compimento la stessa operazione di Ercole. Infatti, Estia è più alta di Ercole, quasi lo sovrasta, per cui "apparentemente", ad una prima lettura, in quella coppia, sembra essere Estia la dominatrice ed Ercole il soccombente. Non è così. Dalla prima battuta di Estia, in riferimento ai due ragazzi abbracciati, si coglie la tenerezza sognante della donna, così come dal colloquio di commiato con il marito e dalla raccomandazione, "Non mi deludere", mentre Ercole sta scendendo per pescare verso l'argine del Tevere. Anche dalle inquadrature successive, in particolare nella soggettiva di Estia che guarda il Tevere dall'alto, si precisa la visione del mondo della donna. Una visione mitica, sognante, sacrale. Estia guarda, dall'Aventino al Tevere, un paesaggio che ama profondamente, che per lei è sacro. Il nome del coprotagonista maschile è un soprannome, er Ricotta. Anche questa scelta dell'Autore è legata alla tradizione più autentica del luogo. Nessuno ignora, infatti, che gli argini, sotto San Michele a Ripa e sotto l'Aventino, fino al Testaccio, costituivano il Porto di Ripa Grande, cioè il più grande porto fluviale nel cuore di Roma, collegato ai depositi annonari della città, situati intorno al mattatoio. Nei secoli successivi, quando i ponti furono distrutti o per qualche ragione non erano agibili, nacque l'uso dei barcaioli (i barcaroli) che trasbordavano le persone da un argine all'altro, mediante pagamento. Questi barcaioli, o barcaroli, alternavano l'attività di trasporto alla vendita delle ricotte, cioè di piccoli cestelli che contenevano il prodotto. Oltre a questo riferimento, non è senza significato il legame del soprannome del bullo con un'altra tradizione alimentare di Roma, quella dell'allevamento delle capre e delle pecore nella campagna romana e della vendita conseguente di latticini nei quartieri popolari. Anche con il soprannome di er Ricotta, l'Autore non rinuncia al gioco dell'apparenza e della realtà. Il soprannome suggerisce qualcosa di leggero, quasi inconsistente. Al contrario il bullo è l'espressione della incomprensione, della ignoranza, della "coattagine" e della rozzezza, quanto di più lontano dalla levità della ricotta.
I tre protagonisti rappresentano tre diversi approcci alla realtà: il livello più alto è quello di Estia (il sogno); il secondo livello, intermedio, è quello di Ercole (la consapevolezza della realtà che, per amore, alimenta il sogno); il terzo livello, più basso, è quello di er Ricotta (la bruta realtà che tenta di distruggere il sogno). Estia richiama i personaggi di Calderòn de la Barca. Estia vive nel suo mondo, un mondo di piccole cose, un mondo di tenerezza, che esclude da sé violenza e negatività. Un personaggio fuori dalla realtà, una folle, parlando con Pascal. Un personaggio del tutto anacronistico, rispetto allo spettacolo di violenza di sangue, di sopraffazione di cui è piena la vita quotidiana di una metropoli. Ma è proprio così, sembra interrogarsi ed interrogarci l'Autore? Non è forse Estia, con il suo straniamento, più vicina di noi tutti alla sostanza del reale? alla verità?
Ercole rappresenta il livello della consapevolezza della realtà, che alimenta il sogno, per un sentimento d'amore. In un primo momento, quando i due anziani procedono sul ponte, tenendosi per mano, sembra sia Estia a proteggere il piccolo Ercole, e non viceversa. Dalle battute e dalle immagini successive, si capisce che la situazione è perfettamente opposta. E' Ercole il custode ed il protettore di Estia. E' Ercole il custode ed il protettore del "sogno" di Estia. Rivelatrice è la raccomandazione alla moglie di stare attenta quando attraversa il Tevere. Rivelatrice è l'invito al bullo, controllando una grande irritazione, a non distruggere il sogno della moglie. Tutta la forza di Ercole è in questo giganteggiare del suo sentimento di amore, di protezione e di tenerezza nei confronti di Estia. Egli ha il dovere di proteggere la moglie e di continuare ad alimentare quel tenero inganno: fingere di pescare ogni venerdì e comprare, ogni venerdì, i due pescetti dal pescivendolo. Ercole appare il sacerdote ed il custode della sacralità del passato, di fronte alla noncuranza e all'ignoranza del presente.
Er Ricotta rappresenta il terzo livello, il livello più basso, cioè la crudezza, l'asprezza e la brutalità del vivere quotidiano. Il bullo, sottolineato dall'abbigliamento, dall'orecchino e dal piercing al naso, irrompe nella vita di Ercole per distruggere il sogno. La soggettiva di er Ricotta, incombente sulla nuca di Ercole, e lo stridore verbale degli insulti rappresentano l'assalto al sentimento di Ercole. Il bullo è l'universale concreto della volgarità, anzi sembra personificare lo spettacolo di ogni giorno, moltiplicato dai massmedia, di un mondo fatto di sopraffazione e di mancanza di valori. Se Ercole è il valore, er Ricotta è l'antivalore. Se Ercole è il custode del sogno, er Ricotta ne è il minaccioso attentatore. Il contrasto è irrisolvibile, come si desume dalla sconsolata battuta di Ercole: " Ricò, tu non puoi capire".
La coppia dei giovani rappresenta la continuità del sentimento d'amore. La scelta dei due giovani, lui alto, lei bassina (al contrario di Ercole ed Estia), sembra sottolineare che l'amore e la tenerezza tra un uomo ed una donna non dipendono dall'altezza fisica, né dall'età. In questa scelta, l'Autore annuncia la sua visione ottimistica della umanità. Sembra dire allo spettatore, al di là delle brutalità quotidiane: il sentimento d'amore sopravviverà a tutti gli attentati, a tutti i lenocini e a tutte le manipolazioni. L'universo dei giovani non è semplificabile nel ruolo di er Ricotta. Un filo sottile collega la tenerezza di Ercole ed Estia con quella dei due ragazzi. La battuta del ragazzo, rivolto alla sua ragazza, dopo che insieme hanno lanciato una sguardo complice ai vecchietti che si allontanano tenendosi per mano, è la prova di questa continuità: "Giorgia, hai visto come sono teneri !". E' la stessa battuta di Estia nei loro confronti. Con questa magistrale invenzione, l'Autore ha sottolineato la continuità del sentimento d'amore, in tutte le generazioni.
L'inganno d'amore tra Ercole ed Estia non subisce soltanto l'assalto della brutalità di er Ricotta, ma anche l'assedio di due dominanti, l'una sonora e l'altra visiva: il martellante rumore del traffico automobilistico e la busta di plastica pescata nel Tevere da Ercole. L'Autore sembra porre la vicenda tra queste due polarità negative, in chiave ecologica e di salvaguardia delle dimensioni vitali della città e della natura. Si tratta di un appello a liberare la vita quotidiana dei cittadini da quel mostro opprimente e martellante del traffico, che insidia non solo i polmoni ma, spesso, la più elementare capacità di movimento dei cittadini. La conseguenza è l'impossibilità di fruizione della bellezza dei luoghi, della memoria storica dei monumenti e di uno spazio vitale che assuma una dimensione di bene culturale. La busta di plastica, pescata nel Tevere, è un grido di dolore contro l'inquinamento del fiume, che potrebbe ritornare a vivere, non soltanto nelle sue funzioni antiche di via di trasporto sull'acqua, ma nella sua entità biologica, come ecosistema naturalistico di flora e di fauna, inserito nel cuore della città. L'Autore utilizza queste due dominanti, sonora e visiva, assedianti il sentimento di Ercole ed Estia, come simboli negativi di una modernità distruttrice dei valori della convivenza, nei confronti della quale l'uomo metropolitano del terzo millennio deve fare i conti. Chi, da pedone, non è costretto a fare i conti, quotidianamente, con il traffico di Roma? Chi, passeggiando sul Lungotevere, non ha scorto, impigliate sugli argini o galleggianti sulla superficie delle acque, elementi di plastica, dissacratori dell'ambiente?
In tutte le inquadrature, l'Autore ha tenuto presente delle coordinate estetiche, sia che la scelta sia stata frutto di una razionale determinazione, oppure di una predisposizione naturale al gusto artistico. Specie nelle inquadrature in campo lungo, vi è un modo di comporre ad unità armonica il cielo, la vegetazione e le costruzioni, in un raccordo cromatico ed in un impasto di colori che ricordano le lezioni pittoriche della Scuola Romana. La trasparenza dei cieli cilestrini, accentuata dal contrasto con le nuvole, rende appieno la freschezza dei sentimenti delle due coppie, una sorta di primavera della vita, al di là dell'età e della condizione sociale dei protagonisti. Magistrale è, a tal proposito, l'inquadratura in fuga del San Michele a Ripa, il cui colore caldo, esaltato dai raggi del sole, riesce a trasferire nello spettatore il calore e la tenerezza dei sentimenti; soave è la presenza, sulla destra della prima e dell'ultima inquadratura, di fiori selvatici gialli. La soggettiva di Estia e l'inquadratura di Ercole, che scende sull'argine, sono due quadri di Ottone Rosai. Provoca, infine, profonda emozione il gabbiano volante, simbolo di libertà, sullo scenario della vegetazione del Tevere e delle arcate di Ponte Sublicio.
Perfettamente integrata con le immagini e con il messaggio del film è la colonna sonora: un successo del gruppo "Frankie goes to Hollywood". The power of love. La forza dell'amore. La musica e il testo sembrano essere stati composti, venti anni fa, per Ercole ed Estia.
L'Autore di questo cortometraggio è riuscito a confermare non solo che la compiutezza di una storia può essere realizzata in un film di pochi minuti, ma anche che una storia può assumere un significato universale. Da sottolineare come questo film sia in netta controtendenza rispetto ai temi del cinema di oggi, zeppi di trash, pulp e violenza gratuita. Eppure, esso riesce a non scadere mai nella retorica dei sentimenti o nel flaccido sentimentalismo. Da questo punto di vista è un film essenziale ed asciutto, senza inutili indugi. Da sottolineare la scelta indovinata del cast, in particolare di Ercole, che, nel suo dondolante ritorno a casa, esprime la stessa poesia del personaggio di Chaplin. Ercole è uno Charlot contemporaneo!
Mauro Lorenzi (e-mail malory@tin.it)