"Sapevo che l'avresti dipinto", gli dico; e lui risponde:" Il mio Cristo è morto, ma adesso abbandona la croce e scivola
in un grande abbraccio verso di noi".
Un cielo pezzato, a vapori cromatici, sostiene due immagini. Quella del ladrone, serrata in una luce fredda e
distante, sembra quasi accogliere la protezione che il grande corpo di Cristo, pur avanzando verso lo spettatore,
vuole ancora concedergli. Su di lui si china il Crocifisso, col capo reclinato, in un gesto istintivo d'amore per la sua
creatura, che va oltre la morte.
Nell'anatomia a lungo tormentata dal dolore fisico, una vera spirale di dolore, di cui la carne conserva le tracce
impietose, la materia si accende di cupi riverberi rosseggianti e intanto svanisce in un segno che suggerisce il suo
prossimo passaggio nell'incorporeità dello spirito.
L'immagine germoglia nella tensione di rapporti simbolici con una realtà indipendente dall'opera.
La figurazione si carica di significati che ritrovano un'antica continuità tra natura e verbo estetico.
L'artista risale a più remote matrici romantiche.
Nella pienezza del colore e in una certa durezza nella composizione
questa pittura si dimostra non del tutto insensibile a certe caratteristiche della migliore pittura tedesca attuale, con
una maggiore ambizione per lo spessore pittorico che risale fino ai fauvisti della pittura francese.
La luce si deposita sul colore e sul volume.
Da tutto ciò ricava ispirazione per una nuova, più umana, forma di classicità da sempre legata ad una concezione
superiore della pittura.
Questo quadro è stato dipinto da Marcello Mondazzi in memoria di Eduardo Apreda.